Massimo Olivero
"Nei
film di Wilder ci sono momenti di cinema d'esilio, come spero anche
nei miei. Questi momenti non sono lontani dall'eresia, si iscrivono
in un codice, in un genere, ma lo deviano attraverso l'ironia.
Prendete l'incidente che decide il destino dei personaggi di Sabrina.
Il protagonista si siede sul vetro e si ferisce il sedere. Wilder
porta questo piccolo détour fino alla fine, ci ritorna in
continuazione, visto che il suo eroe non smette di cadere e farsi
male in quel punto. È questa ironia un po' triviale che determina il
seguito del film [...]. Solo un europeo un po' spostato potrebbe
farlo: questo è il tocco europeo" (1).
Con
questa affermazione, Polanski coglie l'aspetto - tipico del cinema di
Wilder - della deviazione rispetto a un codice prestabilito prodotta
dall'elemento comico, mettendo in evidenza la presenza dell'oscenità,
della trivialità, come elemento perturbante all'interno degli
stilemi della comicità hollywoodiana.
La gag descritta da Polanski
nel film Sabrina è solo una delle gag "deviate" rispetto
ai codici dominanti che si possono trovare nel cinema wilderiano. In
essa troviamo quei tipici elementi che caratterizzano la comicità
"oscena in senso lato [...] il cui denominatore comune è
individuabile nell'esorcismo delle potenziali minacce di
manifestazioni proibite o inibite della sessualità e nel secondo
fine implicito di consentirne l'impune e, anzi, apprezzata fruizione"
(2).
Infatti, nel processo di costituzione di una qualsiasi società,
è estremamente importante che ciò che concerne l'ambito sessuale
sia inibito, sublimato in forme meno esplicite attraverso
l'allusione, specie in pratiche simboliche quali il cinema e le arti
visive in genere.
Nell'individuo coesiste, oltre all'aspetto del
sesso come istinto naturale di conservazione della specie, l'aspetto
culturale dell'erotismo come gratificazione e piacere manifesti, non
solo nell'atto in sé, ma anche nell'esplorazione e nella pratica
aggressiva della conquista. Pratica che possiamo ritrovare
nell'incipit di Quando la moglie è in vacanza, in cui un branco di
"scapoli estivi", dopo aver lasciato moglie e figli al
treno, si mette ad inseguire una giovane e bella ragazza.
In questo
gruppo si trova anche il protagonista Sherman che, dopo essersi unito
al branco, si ferma ricordandosi le ferree regole morali che ha
deciso di seguire. In questa scena si può osservare il meccanismo
inibente che condiziona l'esibizione dell'eros in campo
cinematografico, ovvero il fatto che si possano mostrare solo gli
aspetti intenzionali, ma non le conclusioni, che devono rimanere
fuori scena.
L'osceno viene infatti condannato dalla tradizione
culturale a non poter essere mostrato per via di un'irriducibile
inadeguatezza rispetto ai canoni prestabiliti dalla morale comune.
La
scena di Sabrina in cui David/William Holden si ferisce, sedendosi su
dei bicchieri che teneva in tasca, è da ritenersi appunto oscena in
senso lato in quanto insistentemente richiamata per tutto il film,
già da quella immediatamente successiva, che si apre con una
panoramica che passa dal ventilatore al secchio del ghiaccio, mezzi
utilizzati per alleviare il dolore di David.
Manifestazioni
di comicità così scurrili e basse vengono accettate dall'industria
cinematografica perché inserite in una commedia, anche se romantica,
e quindi meno indicata per questo tipo di gag: senza l'ausilio del
comico e del suo aspetto narcotizzante, una gag così insistita
costituirebbe un caso di quello che viene teorizzato da Cappabianca,
a proposito del cinema di Stroheim, come un ritardo nella suturazione
di un testo irrispettosamente aperto.
Nel
cinema di Stroheim, che ha esercitato una grande influenza sull'opera
di Wilder, vi è una forte tendenza a infrangere l'aura mitica e
innocente del mondo hollywoodiano in favore di una rappresentazione
più cruda ed esplicita della realtà, che risulta quindi priva del
fascino e di quella sostanziale ipocrisia che le leggi non scritte
(ma poi ratificate nel codice Hays) del cinema americano tentavano di
preservare in nome di una rispettabilità necessaria alla conquista
del pubblico di massa.
Il cinema e la società americana si
proponevano dunque di occultare tutto ciò che veniva ritenuto
inappropriato e ardito per essere mostrato, trattando i temi a sfondo
erotico nei termini dell'allusività e della rimozione, nelle forme
della latenza.
"Fin dall'inizio, dunque, vocazione del cinema
americano sarebbe stata una scrittura perversa, proprio nella misura
in cui il tema sessuale, represso nelle sue manifestazioni evidenti,
non poteva non rifluire debordando, mascherato, nel testo stesso del
film" (3).
Questo
particolare tipo di scrittura, da una parte si tutelava nei confronti
della morale conformista e puritana, dall'altra costruiva un
meccanismo, perverso appunto, in cui il testo filmico proliferava di
discorsi che, in un modo o nell'altro, alludevano all'ambito
sessuale. In pratica
"tutti questi elementi negativi - divieti,
censure, negazioni - che l'ipotesi repressiva raggruppa in un grande
meccanismo centrale destinato a dire di no, sono probabilmente
soltanto degli elementi che svolgono un ruolo locale e tattico [...].
L'essenziale è la moltiplicazione dei discorsi sul sesso, nel campo
d'esercizio stesso del potere: incitazione istituzionale a parlarne
sempre di più" (4).
Dato che è proibito parlare esplicitamente
di erotismo, il discorso viene deviato dal significato al
significante, ovvero su di una scrittura filmica che, in virtù della
sua peculiare fascinazione del visibile, rende erotico tutto ciò che
mostra. Per garantire il piacere di una simile scrittura
cinematografica sarà però necessario che il testo non sia scontato
e
prevedibile, ma che contenga invece delle rotture inaspettate, degli
squarci al suo interno che vengano poi progressivamente e
repentinamente ricuciti.
"Potremmo così caratterizzare quella
di Hollywood, come una pratica di chiusure immediate e perfette d'una
miriade di aperture proliferanti nel testo, regola e costanza d'una
superficie standard per quanto continuamente cangiante" (5).
A
questa pratica non si attiene il cinema di Stroheim, in cui troviamo
numerose smagliature nel testo filmico che faticano a ricucirsi in
tempo, prima di provocare rotture irreparabili. Così facendo egli
non fa che trasgredire ed infrangere continuamente la regola del
cinema classico dedita alla costruzione del piacere e
dell'appagamento dello spettatore, mediante la ripetizione di alcune
formule rassicuranti, nella sostanza immutabili, a cui il pubblico si
è abituato.
Stroheim
si sofferma invece, volutamente e voluttuosamente, a osservare i
danni da lui prodotti nel tessuto narrativo senza intervenire e
correre ai ripari. In Queen Kelly Stroheim ci mostra una scena in cui
alla protagonista Patricia (Gloria Swanson) cadono le mutandine
mentre si trova di fronte al principe Wolfram, scatenando le risate
dei presenti e la vergogna della protagonista, a tal punto che la
ragazza, infuriata, getta addosso al principe tale indumento; egli
immediatamente lo porta al volto e ne aspira l'odore.
Subito dopo al
passaggio d'un carro di fieno, sia la ragazza che il principe
afferrano un pugno di fieno e, ridendo, lo portano alle narici,
aspirando.
Vediamo qui espressa una metafora erotica tanto più
ardita quanto meno viene mascherata da un
"contro-codice, genere
ecc., nonché il suo scivolare verso il coté meno "distinto"
del sesso, quello olfattivo" (6).
Ma la trasgressione non sta
tanto nella scena in sé, che rientra pienamente nella definizione
freudiana di denudazione fortuita, perché grazie all'ilarità che
suscita, sia nei personaggi che nello spettatore, la provocazione
verrebbe esorcizzata attraverso il riso. Il problema consiste nel non
fermare l'allusione, che si protrae troppo a lungo: Stroheim non si
affretta a ricucire lo strappo del tessuto narrativo e delle
convenzioni, se non troppo tardi rispetto alla norma, che ha ormai
perso ogni credibilità e validità.
Emerge così una
rappresentazione esplicita del desiderio sessuale che nasce tra i due
personaggi e ciò
non
può che apparire scandaloso, specie se si tratta di un film inserito
in una logica produttiva (quella di una Major) che non accetta
digressioni tanto ardite e lontane da quella che viene considerata la
formula standard, a cui tutti i prodotti si devono rifare.
Non è un
caso se tra i motivi dell'estromissione di von Stroheim dal sistema
hollywoodiano c'è proprio l'aver "sprezzantemente"
trasgredito le sue leggi, esibendo, per troppo tempo e con brutale
realismo, quegli elementi scandalosi e inaccettabili per la comunità,
che sarebbero stati invece ammissibili se formulati in modo velato.
Wilder
può invece osare nelle provocazioni grazie alla comicità e alla
"commedia", unico fra i generi che permetta alle falle, che
si aprono all'interno del tessuto narrativo del film, di chiudersi
senza provocare quei danni che, in differenti registri linguistici,
si verrebbero inevitabilmente a creare.
La differenza sta dunque nel
diverso approccio esercitato sul materiale narrativo utilizzato:
Stroheim esibisce sconsideratamente, mentre Wilder gioca a
nascondere, ma in definitiva riesce a ostentare, dietro la maschera
della comicità, ciò che non è permesso mostrare.
Wilder
applica in sostanza
"il meccanismo peculiare del comico, che
risolve il segnale d'allarme nell'esorcismo della conclusione
tranquillizzante, [che consiste] nella presa di coscienza di una
sostanziale incongruità sotto l'apparente congruità della minaccia"
(7).
Egli
costruisce delle situazioni che, se prese alla lettera,
innescherebbero dei meccanismi difensivi, di rigetto, da parte delle
istituzioni e della morale pubblica, ma che vengono accettate
in
quanto espressione di una incongruità sostanziale rispetto alle
logiche della realtà.
Quando la moglie è in vacanza è un film che
ridonda di metafore sessuali, legittimate però, al contrario che in
Stroheim, dall'utilizzo di quella che abbiamo definito scrittura
perversa, nonché protette e giustificate dall'uso della comicità.
Wilder
opera infatti nell'ambito del simbolico e del potenziale ed è
evidente che nulla di ciò che viene rappresentato possa essere
oggetto di realizzazione: il film abbonda di simboli fallici (la
pagaia, i pattini allungabili, la bottiglia di latte fra le gambe,
l'indice incastrato nella bottiglia di champagne), allusioni sessuali
(Marylin mette l'alluce nel foro del rubinetto della vasca da bagno e
le rimane incastrato, tiene l'abbigliamento intimo in frigorifero per
placare il caldo estivo), frasi a doppio senso come "non si
solleva il mondo senza leve" o Marylin, che si presenta come "la
patata del piano di sopra", riferendosi al fatto che aveva
lasciato cadere inavvertitamente nel cortile di Sherman un vaso con
una pianta di patate.
Il protagonista viene a sapere che la moglie
durante la villeggiatura è andata in gita su un carro di fieno con
l'amico scrittore, di cui è geloso; per giustificare il suo
desiderio di infedeltà, egli immagina la moglie e l'amico
intimamente abbracciati. Il carro di fieno non è un luogo casuale,
ma è anch'esso legato all'ambito del desiderio sessuale e rimanda
alla scena sopra descritta in cui i protagonisti annusano del fieno
in Queen Kelly.
Nel
contesto wilderiano tutto è basato sull'assurdità dei dialoghi e
della situazione, enfatizzati come se si trattasse di un melodramma
hollywoodiano ai limiti del grottesco (il carro è senza carrettiere,
non ci sono altre persone ad assistere "all'adulterio" e
anche i cavalli hanno i paraocchi per non essere indiscreti), cosa
che permette al film di mantenersi sul piano dell'allusione senza
divenire mai esplicito. Wilder riesce in questo modo ad aggirare la
censura modificando la scrittura filmica, senza per questo intaccare
il proprio spirito dissacratore. Ha imparato a mimetizzarsi per
beffare le regole stabilite, imitando il modo in cui l'inconscio
produce i sogni attraverso la capacità di
"truccarsi, di
mascherarsi, [di essere] il cavallo di Troia che gli stessi difensori
condurranno nelle proprie mura" (8).
Note:
(1)
A. Scandola, Roman Polanski, Il Castoro Cinema, Milano,
n°
455-456, maggio 1992.
(2)
G. Calasso, Ipotesi sulla natura del comico, La Nuova
Italia,
Firenze, 1992, p. 130.
(3)
A. Cappabianca, Erich von Stroheim, Il Castoro, Firenze,
(4)
M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, 2003, p. 18, tratto
da "Cahiers du cinéma", 1979, p. 9. Milano, 1978, pp. 17 e
20.
(5)
A. Cappabianca, Erich von Stroheim, Il Castoro, Firenze, 1979, p. 10.
(6)
A. Cappabianca, Erich von Stroheim, Il Castoro, Firenze, 1979, p. 11.
(7)
G. Calasso, Ipotesi sulla natura del comico, La Nuova Italia,
Firenze, 1992, p. 3.
(8)
A. Carotenuto, Freud il perturbante, Bompiani, Milano, 2002, p. 143.
L'inconscio, infatti, beffa i divieti del Super-Io, mettendo in scena
una fiction apparentemente innocua e di pura fantasia, nella quale -
come si legge in coda a certi film - "vicende e personaggi non
hanno alcun riferimento con la vita reale".