uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

lunedì 29 maggio 2017

Dall'odore della carta: Superficie del Pianeta (Daniel Drode)








***

Si sforzò di riconoscere questa voce, e fissò avidamente il viso che lentamente s ’innalzava verso di lui. 

Nessuna rassomiglianza con quelli della Visione. Lui conosceva il proprio viso, poiché l’aveva visto, nella cella, riflesso su qualche minuscola superficie metallica, e confrontò il ricordo con l’immagine che gli si stava rivelando, scoprì quant’erano simili: la stessa tinta pallida e molliccia e tempie incavate, l’identico colore vetroso degli occhi. 


Mormorò: “Un essere umano, visibile, qui, nel Sistema? Carne... vera carne?”
L’altro ormai sfiorava i suoi piedi: “Voglio vedere la Superficie.” 

Lui non liberò il passaggio: “Tu sei...?” L’altro l’interruppe: “lo sono Rana... almeno attualmente. Tu mi conosci.”

Lui pensò a tutte le conversazioni, laggiù:
“Ma è possibile parlarsi senza l’interfono?”
“Si,” lei disse. E ripeté: “Voglio vedere la Superficie. ” Salì un altro gradino.

“Non mi devi toccare, ” aggiunse lui, vivacemente.
“Perché? Niente lo proibisce. ” .
 

L’eventualità d’un contatto umano lo sconvolse. Il fatto, inspiegabilmente, lo irritò. 

Finalmente, si fece da parte sulla sbarra metallica, permettendole di affacciarsi all’esterno. Non riuscì a reprimere un gesto di disappunto, quando lo sfiorò. 
In apparenza insensibile, lei fronteggiò la luce abbagliante del sole e le raffiche del vento.






Lanciò un grido: “Lassù!” Indicò con la mano e lui vide un uomo, l’incredibile spettacolo di un uomo sulla Superficie. Era appollaiato sul punto più alto di una roccia... completamente inserito nel mondo esterno; fissava il cielo o l’orizzonte. All’ improvviso saltò nel vuoto.

“Si è suicidato,” osservò Rana. Indicò una massa confusa, più vicina: 

“Alberi (alberi), villosità della terra, vergogna della roccia che li nutre.”






mercoledì 17 maggio 2017

Il Blues e la logica del ghetto urbano*



(Billie Holiday)


E’ Vero, bimbo. Io parlo. Io ho. Blues. Steamshovel Blues.
Blues. Io ho. Più Blues di quelli per i quali tu puoi dimenare le chiappe. Kierkegaard Blues, eccoli qui, ragazzo, un sussulto e una Contorsione. Ho persino il Blues del giornale. O, completamente folle, il Blues del Blues. Niente mi sfugge. Tutti questi Blues sono cose nelle quali ti imbatterai. Io ho soltanto visioni e parole e ombre. lo ho la tua visione nelle mie dita. Qui è tutto ciò che tu pensi. E fuori di questa tenda, il resto della tua vita.”(1)



Lonesome Day Blues**

Con Sartre, un uomo bianco, è
all’ultimo respiro. Noi preghiamo che muoia
prima d’essere ucciso. Non abbiamo
plastico, solo aguzze eroiche lame. Il
rasoio. La nostra frusta su di loro, perché
portate dei coltelli? o informi
blocchi di cuore‘? Perché restate dove loro
possono arrivare?
***
...possa un perduto dio damballah darci salvezza o quiete
contro i ben conosciuti assassini contro i
figli di lui bianchi perduti! Dada,
negro, nichilismo negro, black dada nihilismus.





La logica del ghetto urbano

Avevo una donna, un tempo, che abitava sulla collina,
Avevo una donna, un tempo, che abitava sulla collina,
Impazziva per me perché lavoravo all’acciaieria di Chicago.
                                                                                                                                     Peetie Wheatstraw



Una vasta serie di motivazioni, non solo storico-economiche, ma anche di carattere psicologico, si trovava a monte del fenomeno migratorio delle comunità nere del Sud verso le metropoli del Nord, quale andò verificandosi fra il 1910 e il 1920, dopo che per secoli il Sud aveva rappresentato il centro rurale più consistente entro cui collocare un consapevole stato di degradazione umana. 

E certo che sul fenomeno ha influito notevolmente il processo di trasformazione degli USA da paese artigiano in paese industrializzato, ed è anche vero che, almeno alle apparenze, andava realizzandosi una parallela opera di pacificazione fra i due fronti, che la guerra civile aveva diviso, ma accanto a tali individuazioni va considerato un contemporaneo riscatto della coscienza che spinge l’afroamericano a riconoscere nelle grandi città quella terra promessa che il vecchio e decrepito Sud, con tutte le sue secolari anomalie persecutorie, non poteva più configurare. 

Quando Leroi Jones parla del Nord come di un "nuovo Giordano" sostitutivo di quel Padre-Fiume che per l’afroamericano rappresentava "la scena del delitto", consumato dai bianchi attraverso tutta una densa accumulazione di repressioni morali, civili e materiali, coglie nel segno di una condizione psicologica che va mutando e che troverà almeno all’esterno una nuova connotazione. 

Sovraccarica e ingombra del gran peso dei ricordi di dolore e di pena, di miseria e di morale devastazione, la mente del nero, di fronte al sentore di liberazione, e di guadagno, che il Nord va configurando davanti alla sua coscienza, finisce per marcare i toni del proprio rancore verso la terra del delta, vista ormai come luogo di dannazione, come un infernale paesaggio da dimenticare.



La fuga dai luoghi dove era stato consumato il crimine della schiavitù, e poi della fittizia emancipazione, ebbe inizio appunto all’alba degli Anni Dieci e spinse una massa enorme di neri verso le città di Chicago, Detroit, New York, Filadelfia, alla scoperta di un’America diversa e più umana, individuabile nella pubblicistica del tempo in tre concetti, Lavoro, Casa, Dignità che rappresentavano per gli afroamericani altrettanti motivi di identificazione di se stessi e di liberazione. 

Perde così il Giordano-Mississippi la sua soprannaturale configurazione, e assume la più reale parvenza di area liberatoria entro la quale poter sistemare la forte esigenza di ricostruire quel nucleo comunitario che i campi di fango e di trementina avevano rapidamente dissolto. 

È chiaro che al nodo di tali motivazioni, è possibile individuare tutta una serie di concause che servirono ad accentuare il fenomeno, come ad esempio il desiderio di una maggiore libertà, e magari di poter uscire la sera dopo le dieci, consuetudine proibita in molte città del Sud. Racconta Leroi Jones

“Ci fu qualcuno, come mio padre, che se ne andò dopo una serie di sterili alterchi con le zelanti maschere di vari cinematografi; altri, come mio nonno, per mettersi in affari un po’ più fortunati, perché due drogherie e un’impresa di pompe funebri gli erano state bruciate in Alabama; insomma, le ragioni potevano essere molte, ma comunque il Nord era divenuto sinonimo di una nuova vita, forse più umana.” (2) 




Furono soprattutto le grandi fabbriche del Nord a configurarsi come la materializzazione del sogno accarezzato nelle capanne del Sud e fra i campi di cotone: ma la smentita non tardò molto ad arrivare e si colorò delle fosche tinte di una nuova sopraffazione: 

“Nelle acciaierie molti lavori erano limitati ai bianchi, ma ‘ai forni’ - racconta Paul Oliver - c’era sempre posto per i neri; pochi altri, infatti, avrebbero accettato di lavorare a quel calore quasi insostenibile. I lavoratori dei campi soppesavano bene gli svantaggi prima di allontanarsi dalle loro case; ma le fabbriche di Bessemer e di Gary avevano bisogno di manodopera, e loro partivano.” (3) 

Una condizione umana degradante, come si vede, sulla quale tuttavia agiva come momento alienante e al contempo liberatorio, il senso di gratificazione che proveniva all’afroamericano dall’assunzione di responsabilità mai avute fino ad allora. Sarebbero bastati cinque dollari al giorno, amava dire Mr. Ford, per far muovere un nero da qualunque luogo del Sud e farlo mettere in coda davanti agli uffici di collocamento. Tutti i blues dedicati alla Ford, del resto, testimoniano fino a qual punto il miraggio funzionava per intere comunità vissute per tanto tempo nella più assoluta miseria.

Se Detroit, con la Ford e la prospettiva dei cinque dollari al giorno, rappresentò un richiamo irresistibile per tante masse di afroamericani in fuga verso le regioni del Nord, fu Chicago indubbiamente il maggior punto di riferimento del fenomeno migratorio. In dieci anni, non meno di sessantamila neri si diressero verso la “Black Metropolis” dell’Illinois, alla disperata ricerca di un lavoro, di una responsabilità, di una liberazione. Ma soprattutto di una identificazione in grado di affrancarli definitivamente da quella prigione della nothingness che per anni aveva rappresentato il più drammatico tema dell’ esistenza. 

C’è anche da dire che il fenomeno, pur essendosi accentuato fra gli Anni Dieci e Venti, si era già iniziato prima, all’indomani della guerra civile, e non aveva riguardato soltanto le comunità nere del Sud, ma più vastamente anche popolazioni provenienti dall’Europa, e specialmente dall’Irlanda



Statistiche molto attendibili parlano di una escalation di incredibili proporzioni: nel 1900 Chicago contava 1.698.575 abitanti, con una presenza di trentamila neri; nel 1920, su due milioni e mezzo circa di abitanti, i neri sono già più di centomila, divengono più di duecentomila nel 1930 e nel 1940, su una popolazione di 3.396.808 abitanti, i neri sono 337.000.

 Un processo di massificazione, come si vede, al quale inutilmente i bianchi, anche immigrati, cercarono di porre rimedio opponendosi duramente: in alcuni casi, venivano persino accusati di essere incitati e assoldati da spie tedesche, un luogo comune quest’ultimo molto in voga presso la popolazione razzista della città, secondo il quale i tedeschi si servivano dei neri per sovvertire l’ordine costituito negli USA. Fu, proprio tale circostanza a dar vita a quella “cintura” di sicurezza che prese poi il nome di “ghetto”, ad indicare il recinto entro il quale una comunità umana viene ad essere segregata, con tutti i contraccolpi psico-sociologici che si possono immaginare.

Col passare degli anni, il fenomeno della segregazione nel ghetto urbano assume aspetti sempre più macroscopici e alienanti, a Chicago come a New York, a Pittsburgh come a Cleveland, a Detroit, anche se si deve aggiungere che tale processo di coagulazione entro quartieri e confini ben precisi, determina talune forme di innovazione e di miglioramento nelle strutture sociali delle comunità afroamericane. 

Pur non avendo trovato quella terra promessa che pensavano di incontrare muovendosi dal Sud, i neri immigrati non si trovarono di fronte un muro di ostilità come era accaduto sulle rive del Mississippi, almeno in un primo tempo: essi infatti, all’alba del flusso migratorio, ebbero i loro giornali, i loro circoli ricreativi, le proprie organizzazioni culturali.

 Solo in un secondo tempo la discriminazione si accentuò e cominciò ad assumere gli aspetti esasperanti che sappiamo: e non sembri ciò un paradosso, se si pensa che la popolazione bianca cominciò ad essere impensierita e preoccupata dal dilagare di forme di promiscuità caratterizzate da un buon numero di matrimoni misti e di altre forme di convivenza. 



Il contraccolpo di tale situazione fu l’irrigidimento e un più severo controllo che determinò un accentuarsi della logica del ghetto urbano, cui i neri risposero con tutta una serie di strategie disperate nelle quali l’universo della segregazione razziale finì per assumere un ruolo sempre più drammatico. È vero infatti quanto afferma Gorlier

“La grande, fondamentale differenza tra la condizione negra nel Sud e nel Nord consisteva nel fatto che al Nord il negro poteva essere segregato, respinto in molti lavori pubblici, assalito a tradimento, ma rimaneva in possesso pieno dei suoi diritti politici”; (4) 

ma è anche vero che la realtà del ghetto urbano determina una congerie di fenomeni sociologici e psicologici di notevole entità, che agiranno sui comportamenti e che si rifletteranno poi nei contenuti dei blues nati da tale nuova condizione di vita.

Lo psicologo nero Kenneth B. Clark ha esaminato attentamente le strutture sociopsicologiche del ghetto urbano, ricavandone notazioni di fondo essenziali per comprendere da un canto la strategia del comportamento dell’afroamericano soggetto all’universo della recinzione, dall’altro le ragioni di una scelta tematica come quella del classic blues, in bilico fra una condizione umana subliminare e disperata e quel fondo di nostalgia che sospinge di continuo il blues-singer urbano verso il ricordo del suo fiume e delle terre del Sud che ha dovuto lasciare. 


Jimmy Rushing


Il senso percettivo del distacco fra realtà e sogno opera in modo determinante sulla coscienza del nero che vive nel ghetto, perché la possibilità che gli viene offerta di uscirne quando vuole e di osservare i moduli di vita del bianco provoca in lui una facoltà di ribellione che altrimenti non avrebbe: in tal senso è legittima l’osservazione di Clark secondo cui 

“se il ghetto potesse essere completamente isolato le possibilità di una rivolta sociale diminuirebbero o addirittura scomparirebbero del tutto,” (5) 

poiché il bombardamento a tappeto cui viene sottoposto dai miti della classe media americana agisce su di lui come notazione alienante che altera e deforma l’equilibrio fra il vero e l’immaginario, e quindi fra realtà e sogno: 

 “Gli oppressi non sapranno mai con certezza se il loro fallimento riflette una inferiorità personale o la realtà del colore della pelle.” (6) 

Tale logica coinvolge gli abitanti del South Side di Chicago come quelli di Harlem a New York, e ancora i segregati di Detroit, di Cleveland, Filadelfia: si tratta di un processo ritardato e disgregatore della maturazione che coinvolge soprattutto i giovani e in questo senso l’autobiografia di Malcolm X è molto probante. Ma l’universo di alterazione psicologica non si esaurisce entro tale contesto, bensì finisce per ampliarsi e impegnare altri fantasmi e più drammatiche realtà...


Jimmy Yancey

***

* Tratto da Il Blues e l’America nera di Walter Mauro. Garzanti 1977

** Lonesome Day Blues. Jesse James, voce e piano, Chicago 3 giugno 1936Con questo nome (o pseudonimo) si presentò ad uno studio di incisione della Decca un carcerato probabilmente in libertà provvisoria. Incise quattro brani ( di cui solo tre apparsi) di straordinaria asprezza ed intensità, accompagnati da un pianoforte in vigoroso stile barrelhouse; quindi fu di nuovo inghiottito nell’oscurità. James ha fuso insieme con pregnante originalità strofe della tradizione carceraria con altre che di solito vanno sotto il titolo si Stop ad Listen o di Smokestack Lightning. (nota da Il Blues,  Rurale – Jazzistico – Urbano, di Alessandro Roffeni, Editoriale Sciascia 1978)


note
1 Leroi Jones, The System of Dante’s Hell, New York 1965; trad. it. Il Predicatore Morto.
2 Leroi Jones, Il Popolo del Blues
3 Paul Oliver, Blues Felt This Morning, London 1960.
4 Claudio Gorlier, Storia dei negri degli Stati Uniti
5 Kenneth Clark, Dark Ghetto, cit.
6 ibidem









martedì 2 maggio 2017

Il carattere di classe del processo lavorativo (e distributivo)

diciottobrumaio



 
Il percorso dell’avventura umana non è per nulla ineluttabile, lo sappiamo bene. Se 66 milioni di anni or sono non fosse piovuto dal cielo un certo sassolino, a dominare in questo pianeta sarebbero probabilmente ancora dei rettili giganteschi. 

E chissà quanti altri analoghi petardi ci hanno mancato per un colpo di vento divino. Del resto era già tutto scritto, altrimenti Gesù e Maometto non sarebbero mai nati. Se poi siamo passati dalle palafitte ai grattaceli, dalle lucerne ad olio alle lampade a Led, da Michelangelo Buonarroti a Michelangelo Pistoletto, qualcosa vorrà pur dire.

Anche se forse non ce ne rendiamo ancora ben conto, stiamo incominciando a vivere tempi molto interessanti. Almeno noi che non viviamo sotto i cieli intensi di Siria e Afghanistan. Per molti aspetti è in atto non solo una cesura col Novecento ma con gran parte della nostra storia precedente. 

Nonostante miliardi d’individui stentino a campare, si fa sempre più leggibile la possibilità di separare l’economia dalla vita, dal nonsenso dell’impero del valore di scambio, dalla funzione che aliena il lavoratore, dalla curva variabile dei mercati che decide a distanza il destino dell’umanità.

Il capitalismo esibisce la sua verità e la sua menzogna e mette in scena il proprio fallimento con la stessa dedizione con la quale aveva messo in piedi lo spettacolo del benessere per tutti e senza fine. Ormai sono degli organismi privati che si sostituiscono allo Stato borghese vacillante, gestiscono tutto, dalle carceri alla miseria, dalla previdenza sociale al gioco d’azzardo, dall’acqua a ogni tipo d’inquinamento. 

Ciò segnala l’imminenza del diluvio e la necessità di costruirci un’arca dove trovare posto. È già ciò che hanno fatto, mentre molti di noi s’attardano con elezioni e sondaggi, i ricchi nei loro rifugi esclusivi e sorvegliati.




La disoccupazione e il precariato di massa sono aspetti della contraddizione crescente tra sviluppo delle forze produttive e vecchi rapporti di produzione, contraddizione che deflagrerà per alcuni dei motivi apparentemente casuali che si sono andati accumulando. 

E, al solito, si guarderà a quei motivi trascurando il fattore dinamico per eccellenza del capitalismo, quel fattore che il professor Cacciari chiama “risparmio di lavoro necessario”. E tutto ciò non perché la produttività del lavoro cade ma anzi perché è aumentata enormemente.

Questa realtà in qualche modo si sta chiarendo anche al senso comune, insinuando possibilità che però non avranno futuro se non si procederà con un violento rovesciamento dell’attuale sistema coercitivo di estrazione del plusvalore e dunque, cosa che ogni benpensante piccolo borghese trascura, con il superamento del carattere di classe del processo lavorativo (e distributivo). 

È tutto interesse degli ex rigattieri del marxismo, al servizio della borghesia, far credere ai fanciullini che blaterano di salario di cittadinanza che attraverso un riformismo di facciata sia possibile risolvere le catastrofi della società borghese.




Questi fanciulli pensano che siano fatti neutrali la scienza e la tecnica, le relazioni mercantili, il processo lavorativo capitalista e, per analogia, quello di ricevere dei sussidi per campare senza lavorare. Che ciò non implichi invece l’assoggettamento e l’esautorazione dei proletari dalla sfera economica, il controllo e il ricatto politico di qualsiasi loro iniziativa. 

Allo Stato, espressione degli interessi della borghesia, per esercitare le proprie prerogative e rigori, basterà, in nome delle sovvenzioni accordate ai cittadini, escludere o revocare i suoi benefici a coloro i quali avranno demeritato i suoi temibili favori (il terrorismo previdenziale, anche se vicenda assai diversa per certi riguardi, dovrebbe illuminare).