uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

domenica 29 gennaio 2017

La Morte Piatta. (Roland Barthes)





Tutti questi giovani fotografi che si agitano nel mondo, consacrandosi nella cattura dell’attualità, non sanno di essere degli agenti della Morte. Tale è il modo in cui la nostra epoca assume la Morte: con l’alibi che nega lo smarrimento del vivente, di cui il Fotografo è in un certo senso il professionista.
 
Storicamente parlando, la Fotografia deve infatti avere qualche rapporto con la “crisi della morte” che ha inizio nella seconda metà del XIX secolo; e,  per quanto mi riguarda, preferirei che invece di situare continuamente l’avvento della Fotografia nel suo contesto sociale ed economico, ci s’ interrogasse anche sul rapporto antropologico tra la Morte e la nuova immagine. 

Infatti bisogna pure che in una società la Morte abbia una sua collocazione; se essa non è più (o è meno) nella sfera della religione, allora dev’essere altrove: forse nell’immagine che produce la Morte volendo conservare la vita. 





Contemporanea della regressione dei riti, la Fotografia potrebbe forse corrispondere all’irruzione, nella nostra società moderna, di una Morte asimbolica, al di fuori della religione, al di fuori del rituale: una specie di repentino tuffo nella Morte letterale.

 La Vita / La Morte: il paradigma si riduce ad un semplice scatto: quello che separa la posa iniziale dal rettangolo di carta finale.
 
Con la Fotografia , entriamo nella Morte Piatta. Un giorno, alla fine di una lezione, qualcuno mi disse : “ Lei parla piattamente della Morte”. - Come se l’orrore della Morte non fosse precisamente la sua piattezza!

 L’orrore, è questo: niente da dire sulla morte di chi amo di più, niente da dire sulla sua fotografia, che io contemplo senza mai poterla approfondire, trasformare.
 
Il solo “pensiero” che io possa avere, è che all’estremità di questa prima morte è iscritta la mia propria morte; fra le due morti, più niente: solo un’attesa; non ho altre risorse
 oltre a questa ironia
parlare del “niente da dire”.






Da "La Camera Chiara", Roland Barthes, Einaudi, 1980.

Immagini da " Rusty il Selvaggio", F.F. Coppola, 1983.


domenica 22 gennaio 2017

I vecchi computer sono come giovani puledri


Ci sono. 
Il mio vecchio Fujitsu Siemens AMILO Pro V3505, con cui per un buon lustro ho lavorato e sperimentato con incoscienza ma tanta soddisfazione decine di distribuzioni linux, ha iniziato ad avere qualche difficoltà. 

Nulla di irrecuperabile, spero (vi farò sapere). Ma mi son visto costretto comunque ad acquistare, per restare in questa piazza, un datato  e rigorosamente usato Dell Latitute D630. 

Ho "piallato"  senza pietà, giacobinicamente e irresponsabilmente, il pur veloce ma a me  estraneo Windows 10 con cui girava,
 e dopo qualche tentativo non troppo riuscito 
(lo sappiamo i vecchi computer sono come giovani puledri)
 ho installato Debian Jessie con Kde. 

Ora ci sono. Un abbraccio ai miei paesani, sepolti nella neve... o bombardati nel deserto.


domenica 1 gennaio 2017

Joy Division: Here the Young Men. Visioni dall'inferno (tatcheriano)


I Joy Division sono il grande gruppo della nostra adolescenza, quella degli anni '80, ma sono anche il gruppo della sempiterna e dolorosa adolescenza umana. Vivono nel presente perchè, i più giovani non possono saperlo, siamo sempre -e forse disgraziatamente per sempre- dentro gli anni '80.
Ian Curtis sapeva? Forse per questo è uscito fuori dal gruppo... e fuori dal tempo.

Buon 2017.




Ecco i giovani, un peso sulle loro spalle
Ecco i giovani, dove sono stati?
Abbiamo bussato alle porte delle camere più scure dell’inferno
Spinti al limite, ci siamo trascinati a forza
Guardammo dalle quinte mentre venivano rifatte le scene
Ci vedemmo ora come non ci eravamo mai visti
Il ritratto dei traumi e delle degenerazioni
Le pene che avevamo sofferto e di cui non ci eravamo mai liberati
Dove sono stati?
Stanchi dentro, ora i nostri cuori sono persi per sempre
Non possiamo rimpiazzare la paura o le emozioni dell’inseguimento
Queste cerimonie svelarono la porta per il nostro vagabondaggio
Aperta e chiusa, poi sbattuta sulla nostra faccia
Dove sono stati?
(Decades 1980)







Con queste parole, sulle note di un nastro rallentato fino all’arresto finiva, con Closer (1980), la parabola artistica dei Joy Division. La loro avventura umana si era già tragicamente infranta, poche settimane prima della pubblicazione dell’album, nelle risacche della coscienza di Ian Curtis, voce e immagine della formazione, che pagò con la vita stessa la propria ansia di vivere e di dare un senso nuovo e necessariamente diverso alla propria esistenza.

E’ un tragico momento quello del passaggio dalla giovinezza alla vita adulta, un passo delicato che si compie in genere con la disillusione e la rinuncia ai propri sogni, con l’accettazione di nuove regole e di un nuovo modello di vita. Ian , novello eroe romantico, non volle o non seppe saltare questo steccato e perse la battaglia decisiva contro i fantasmi che si portava dentro, gli stessi fantasmi che avevano in fondo generato la sua Arte. E’ essenzialmente per questo, per questa malattia inguaribile di cui soffrono gli animi sensibili, che i Joy Division sono e saranno sempre una spina in fondo al cuore per chi, adolescente allora, temporeggia ancora oggi nel crescere e nell’accettarsi adulto, come del resto per chi, adolescente oggi, si accosta per la prima volta alla loro musica.


Perché dobbiamo essere repressi quando cerchiamo di fuggire
Perché dobbiamo tutti crescere quando potremmo solo giocare e giocare

Più tardi – sarò terribilmente grande.

(At A later Date 1977)






La loro stagione brevissima fu contrassegnata da due soli album più una manciata di singoli ed EP, nonché da poco più di un centinaio di concerti che difficilmente potranno essere scordati da chi ebbe il privilegio di assistervi ( la scenografia scarna ed essenziale, le luci basse, le movenze di Ian quasi da marionetta impazzita…) ma il solco tracciato nella nnstoria della “nostra” musica è profondo e fecondo come se ne sono rivelati solo pochissimi altri.

I futuri Joy Division debuttano, con il nome Stiff Kittens, all’ Electric Circus di Manchester il 9 dicembre 1976, in formazione tre compagni di scuola: Bernard Dicken (in seguito Albrecht), Peter Hook e Terry Mason: la loro fugace apparizione non sfugge a Sound che ne darà una pessima recensione. Con l’ingresso di Ian Curtis e di un batterista fisso, Steven Brotherdale (poi Steve Morris), la band assume la sua line-up definitiva e muta il nome in Warsaw, in omaggio al David Bowie decadente della seconda facciata di Low.






Dopo una apparizione con il brano
At A Late Date, prima testimonianza vinilica del gruppo su 10” Short Circuit-Live At The Electric Circus, registrato in occasione di un concerto al famoso locale di Manchester il 2.10.77, i Warsaw registrano nel dicembre 1977 il mini-lp An Ideal For Living, contenente quattro pezzi (Warsaw, No Love Lost, Leaders of Men, Failures (Of The Modern Man)) il disco vedrà però la luce - a spese del gruppo - solo sei mesi più tardi. Nel frattempo, i Warsaw, per evitare problemi di omonimia con un gruppo londinese che aveva appena debuttato sul mercato con un disco a nome Warsaw Pakt, mutano il nome in Joy Division, termine mutuato dal romanzo “The House Of Dolls” di Ka Tzetnik (che già in precedenza aveva offerto spunti per il testo di No Love Lost) con il quale vengono indicati i reparti dei campi di sterminio nazisti occupati dalle prigioniere sulle quali gli ufficiali tedeschi sono soliti soddisfare i propri istinti sessuali.
 
Tali elementi uniti mal look piuttosto grigio del gruppo, contribuiranno a fomentare, una volta raggiunta una certa notorietà, ricorrenti accuse di filo-nazismo da parte della stampa musicale “ufficiale” britannica, che non perdona al complesso la dignitosa chiusura alle leggi della società della comunicazione, ovvero a quella del marketing.


Nei primi mesi del 1978, a seguito di un interessamento da parte della RCA, i
Joy Division si rinchiudono in studio ed incidono undici brani: non se ne farà nulla a causa dei termini altamente insoddisfacenti del contratto sottoposto al gruppo e quei nastri andranno, anni più tardi, a costituire il bootleg semi-ufficiale Warsaw.



Dopo un concerto per la neonata
Factory Records al Russel Club di Manchester i Joy Division conoscono il produttore Martin Hannett che, da quel momento, non lascerà più il gruppo, divenendone a tutti gli effetti il quinto membro ufficiale; altri demo, piccole pubblicazioni e –naturalmente– concerti prima della grande occasione: il 31 gennaio 1979 John Peel invita i Joy Division a suonare nel suo celeberrimo show alla BBC, i quattro pezzi -Exercise One, Insight, Trasmission, She’s Lost Control– vengono trasmessi con grande successo il 14 febbraio 1979 sotto la guida di Martin Hannet, negli Strawberry Studios di Stockport: da quella session usciranno quindici pezzi, dieci dei quali costituiranno l’esordio ufficiale dei Joy Division.
 
Unknown Pleasures esce nel giugno di quell’anno e altro non si può dire se non un monumento di inenarrabile e inarrivabile bellezza. Dalla enigmatica copertina di Peter Saville –da quel momento responsabile unico della grafica del complesso– destinata ad essere ricordata, accanto alla banana dei Velvet o alla mucca dei Pink Floyd, tra le più famose della storia del rock, alla geniale produzione di Hannett, capace di individuare l’esatto punto di equilibrio fra irruenza quasi punk dei vecchi Warsaw e le atmosfere oniriche, ipnotico-decadenti che avrebbero caratterizzato la produzione futura dei Joy Division, tutto di questo disco è ormai storia.




E la musica naturalmente. Sono davvero piaceri sconosciuti già dall’intro dell’iniziale
Disorder, con quell’attacco di batteria e quel basso secco e ipnotico, la chitarra ruvida e tagliente e poi la voce magnetica di Ian 

Ho aspettato che venisse una guida e mi prendesse per mano/ Potrebbero queste sensazioni farmi provare i piaceri di un uomo normale?


a declamare liriche intense e struggenti in una atmosfera plumbea e inquietante che sovrasta l’ascoltatore fino all’ultima nota, accompagnandolo in un viaggio ideale attraverso il disfacimento della moderna civiltà urbana, fra edifici in degrado e capannoni industriali abbandonati, fra muri che si scrostano e gocce di umidità che cadono incessanti dai soffitti ammuffiti…

Questo pezzo, tra i più rappresentativi dell’album, contiene già tutti gli elementi che faranno di
Unknown Pleasures uno dei quattro/cinque dischi definitivi della prima new-wawe, ideale capostipite di una ininterrotta serie di avventure sonore e originale mai eguagliato.




Ma come tacere poi della solennità di Day Of The Lords, della cupa e rabbiosa poesia di New Dawn Fades

Un cambio di velocità, un cambio di stile/un cambio di scena, senza rimpianti/un’opportunità di guardare, di ammirare la distanza/…/Di tutti gli errori che abbiamo commesso ho preso la colpa/senza meta, così facile da vedere/una pistola carica non ti renderà libero, così dici…
 
della melodia scarna e ipnotica di She’s Lost Control, delle geometrie spigolose di Shadowplay e di Insight


Abbiamo sprecato il nostro tempo/proprio non avevamo tempo/ma tutti gli angeli di Dio stiano attenti/e voi giudici state attenti/figli del caso abbiate buona cura/di tutta la gente là fuori non ho più paura

della tensione doorsiana di I Remember Nothing

Dopo l’uscita di Unknown Pleasures da segnalare la pubblicazione dei singoli inediti Transmission/Novelty (7/79) e Atmosfere/Dead Souls (10/79), di diritto fra i loro pezzi migliori di sempre. Atmosphere soprattutto, meravigliosa canzone dai timbri onirici e maestosi, costituisce, con la sua solenne drammaticità, un ponte ideale verso la produzione dei Joy Division di lì a venire.

Dopo i memorabili concerti dell’ 8/9/79 al primo Futurama di Leeds, dove ottengono uno strepitoso successo, e del 27/10/79 all’Apollo di Manchester, dal quale sono tratti filmati che costituiscono il video VHS “Here Are The Young Men” del 1982, unica testimonianza visiva del gruppo, i Joy Division registrano il 28/11/79 la seconda Peel Session, in onda il 10/12/79 con i pezzi 24 Hours/Love Will Tear Us Apart/Colony/Sound Of Music.







L’11 gennaio 1980 il complesso tiene al Paradiso di Amsterdam uno dei propri concerti più famosi, documentato da svariati bootleg; al ritorno, in una pausa del tour, vengono composti i pezzi che costituiranno il flexi-disc Komakino. Le sessions per la registrazione del singolo Love Will Tear Apart/These Days (il disco uscirà con due versioni differenti LWTUA percè Ian Curtis e Martin Hennett non erano d’accordo sull’incisione migliore) e del secondo album Closer si protraggono per tutto il mese di marzo; al termine le condizioni fisiche di Ian, già affetto da epilessia, peggiorano notevolmente tanto da non consentirgli di portare a termine più di un concerto.

Il 2 maggio 1980 i Joy Division tengono il loro ultimo spettacolo alla High Hall di Birmingham. Il 18 maggio 1980, all’alba dello sbarco del gruppo negli Stati Uniti per il primo tour oltreoceano e per la firma di un contratto di distribuzione americana con la WEA del valore di un milione di dollari, Ian Curtis viene trovato impiccato nella sua casa di Macclesfield.
 
 E’ la fine dei Joy Division e - inevitabilmente – l’inizio del loro mito. Nel luglio del 1980, preceduto dalla struggente melodia del singolo Love Will Tear Us Apart che, con la sua dolente immediatezza pop, diventerà il brano manifesto del gruppo - anche attraverso una miriade di omaggi, dagli Swans a Paul Mc Cartney – esce il secondo album Closer.

Già, che dire di Closer? Disco cruciale per l’evoluzione del rock degli anni ’80? Fondamenta di tutto il movimento dark britannico della prima metà della decade?



Closer è tutto questo e molto altro ancora, ma è soprattutto l’urlo disperato di un uomo solo, urlo che non è richiesta di aiuto ma, come purtroppo tragicamente dimostrato, accettazione irrimediabile di una sconfitta.

Dalla funerea copertina (che tutti giurano decisa quando
Ian era ancora in vita) ai ritmi rallentati e avari di melodia, dalle angoscianti verità dei testi alle atmosfere rarefatte e tanto dense da sembrare palpabili, si respira ovunque aria di morte e di desolazione.


Questa è la crisi che doveva arrivare/ a distruggere l’equilibrio che avevo conservato/…/ Sono stato pazzo a chiedere così tanto/ senza la protezione e la difesa dell’infanzia/ va tutto a pezzi al primo tocco

(Passover 1980)


La freschezza e l’irruenza di
Unknown Pleasures cedono quindi il passo a toni più ovattati, a parole e musica lanciati come stiletti nel cuore dell’ascoltatore: dall’omaggio a Ballard dell’iniziale Atrocity Exibition, con il suo basso pulsante e la chitarra schizofrenica, ai pugni nello stomaco di The Eternal


Sdraiato vicino al cancello in fondo al giardino/il mio sguardo spazia dalla siepe al muro/Nessuna parola potrebbe spiegare/Nessuna azione potrebbe risolvere/Posso solo guardare gli alberi e le foglie che cadono.

Decades, con le quali si chiude l’album con un pathos quasi insostenibile, ammorbidito solo dalla glaciale bellezza delle canzoni.





“Così questa è la stabilità, l’amore ha distrutto l’orgoglio
Quella che una volta era innocenza è passato dall’altra parte
Una nube incombe su di me, segue ogni movimento
Profondo nella memoria, quello che una volta era amore…
Andiamo a fare un giro e vediamo cosa possiamo trovare
Una collezione senza valore di speranze e desideri passati

Ora che mi sono reso conto di come tutto sia andato storto
Devo trovare una terapia, la cura richiede troppo tempo
Nel profondo del cuore dove domina il cordoglio
Devo trovare il mio destino prima che sia troppo tardi”

(24 Hours 1980)


 
La storia dei Joy Division finisce quindi così, con una morte pienamente e vanamente annunciata: con quella che, a secondo dei punti di vista, può essere considerata una sconfitta nei confronti della vita o, nella fredda determinazione di essere giudici unici del proprio destino, l’unica vittoria possibile contro di essa. Dopo la fine dei Joy, gli altri componenti, come era stato stabilito nel caso qualcuno per un motivo o per l’altro avesse lasciato il gruppo, cambiano il nome in New Order e cominciano una carriera che, fra alti e bassi, è continuata fino ai nostri giorni: ma questa è certamente un’altra storia…



Da segnalare infine fra le uscita postume (trattate grazie al cielo con estremo rispetto alla memoria del gruppo, evitando inutili e inappropriate speculazioni) oltre alle due
Peel’s Session, Still (1981) e Substance 77-80 (1988). Il primo, doppio album, raccoglie i pezzi scartati da Unknown Pleasures e altri inediti oltre alla registrazione integrale dell’ultimo concerto dei Joy Division del 2/5/80 (durante il quale vengono eseguite per la prima e unica volta dal vivo Ceremony e Decades) e a una curiosa cover live di Sister Ray dei Velvet. Substance invece contempla, nella versione CD, tutti i pezzi facenti parte dei singoli ed EP del gruppo, dando così ampia reperibilità a tutto - o quasi – il materiale pubblicato dai Joy Division.

Marco Tagliabue



***





Closer
esce nel luglio 1980, scalzando i Rolling Stones dal primo posto nelle classifiche in Gran Bretagna, il più venduto disco indipendente della new wawe inglese.

Il 18 maggio un
Ian Curtis provato da problemi personali e dall'epilessia curata con forti dosi di barbiturici si era impiccato nella sua casa di Macclesfield; pur con tanti possibili moventi, le ragioni del suo gesto non saranno mai del tutto chiarite. Closer finisce per essere il suo monumento funebre.

L'iscrizione del povero
Curtis alla mitologia rock è però secondaria rispetto al contenuto immortale delle canzoni: i ritratti del trauma e della degenerazione di Ballard (The Atrocity Exhibition) e Kafka (Colony), l'implosione delle emozioni (Means To An End), la pulsazione a orologeria di Isolation e quella in controtempo di Heart And Soul, soprattutto il fatale viaggio nello smarrimento di Twenty-Four Hours, fine ultimo di una ricerca di senso che non trova sbocchi.

Il gruppo e il produttore
Martin Hannet ampliano l'uso dei sintetizzatori per donare spazio e un'atmosfera plumbea, maestosa quanto presbiteriale, che scorre cinerea e lenta in The Eternal per stagnare nel golfo mistico acceso da Decades, dove le porte della percezione sono "aperte, chiuse e quindi sbattute in faccia" per l'ultima volta. Per sempre.


da "24.000 dischi", a cura di Riccardo Bertoncelli con Cris Thellung.
Zelig editore




Discografia

Album
1979 – Unknown Pleasures
1980 – Closer


EP
1978 – An Ideal for Living
1986 – The Peel Sessions
1987 – The Peel Sessions

Live
1999 – Preston 28 February 1980
2001 – Les Bains Douches
2001 – Fractured Box
2004 – Re-fractured Box

Raccolte
1981 – Still
1988 – Substance
1990 – The Peel Sessions
1994 – Warsaw
1995 – Permanent
1997 – Heart and Soul
2000 – Joy Division The Complete BBC Recordings
2007 – Martin Hannett's Personal Mixes
2007 – Let the Movie Begin
2008 – The Best of Joy Division
2010 – Singles 1978-80
2011 – Total: From Joy Division to New Order
 

Singoli
1979 – Transmission
1980 – Licht und Blindheit
1980 – Komakino
1980 – Love Will Tear Us Apart
1980 – Atmosphere/She's Lost Control
1988 – Atmosphere





Videografia

Videoclip
1982 – Here Are The Young Men
1988 – Substance

Film
2002 – 24 Hour Party People (regia di Michael Winterbottom)
2007 – Joy Division (regia di Grant Gee)
2007 – Control (regia di Anton Corbijn)


Bibliografia
Deborah Woodruff Curtis, Così vicino, così lontano. La storia di Ian Curtis e dei Joy Division, Giunti Editore, 1996, ISBN 88-09-03951-3.
Mick Middles, Lindsay Reade, Ian Curtis. La vita e i Joy Division, Odoya, 2007, ISBN 978-88-6288-089-3.
Chris Ott, Unknown Pleasures, No Reply, 2007, ISBN 978-88-89155-31-8.
Marco Di Marco, JoyDivision. Romance. Testi commentati, Arcana Editrice, 2007, ISBN 978-88-6231-001-7.

Link

http://www.thejoydivision.altervista.org/
http://www.ondarock.it/dark/joydivision.htm
https://allucineazioni.wordpress.com/tag/joy-division/
https://carminemangone.com/2016/06/13/punk-anarchia-rumore-estratti-2-joy-division/
http://www.womade.org/shes-lost-control-joy-division/
http://videodrome-xl.blogautore.repubblica.it/2010/11/22/joy-division-un-peter-hook-esclusivo/
http://www.beat-bit.it/la-storia-dei-joy-division/