uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

venerdì 26 giugno 2015

Europa senza euro o euro senza Europa. L'inessenzialità dei popoli


"Madre, madre, dormii settecent'anni
settecent'anni; e vengo di lontano.
Non mi ricordo più della mia culla"*

"...Quando con emozione ci si accorge degli anni
Senza emozione, vissuti tra le rovine
Di quello in che si credeva con maggior fiducia...
E dunque meglio si presta ad esser ripudiato."**




 Caro Franco
 Che dire ?
Innanzi tutto che apprezzo il fatto che tu abbia voluto rispondermi (spero in qualità di amico e non di psichiatra!). Poi che vorrei che questo intervento, come il precedente, venisse considerato per quello che è: un colloquio fra amici. Quindi che mi scuso per le citazioni, che sono la mia passione, soprattutto se "casuali". Infine che cercherò di essere più conciso e meno barocco, per il sollievo di tutti quelli che avranno pazienza di leggere.

Rispondendo a Nando. La lenta apocalisse dell'euro(pa)

Io amo i coraggiosi: ma non basta essere bravi guerrieri, si deve anche sapere chi colpire. E spesso c'è maggior coraggio nel trattenersi e passare oltre, per risparmiarsi per il nemico più degno. „




Caro Nando,

ti ringrazio per costringermi a uno sforzo intellettuale improbo che ha il suo equivalente fisico in Stallone che sfida  Apollo Creed (le mie citazioni sono un po' all'ingrosso e meno apocalittiche, tanto per non prendermi sul serio). 
Apollo è l'establishment, un buffone forte e baldanzoso che mena fendenti, schernendo con i suoi balletti il proletario Stallone, che è forte di cuore e con la volontà di un asino affamato, ma in possesso di una tecnica approssimativa. 
Ecco dilettante per dilettante, la nostra tecnica l'abbiamo appresa da noi, come autodidatti, ma non è la tecnica in sé che conta alla fine, ma battere l'avversario.

mercoledì 24 giugno 2015

Rispondendo a Franco. La lenta apocalisse dell'euro

Rispondendo a Franco.
Visione semiprofetica di un dilettante in merito alla lenta apocalisse dell'euro.
Ovvero:"Chi saprà placare il pianto delle madri?"


I re della terra che si sono prostituiti
 e han vissuto nel fasto
 con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei,
 quando vedranno il fumo del suo incendio, tenendosi a distanza
 per paura dei suoi tormenti e diranno:
"Guai, guai, immensa città,
Babilonia, possente città;
in un'ora sola è giunta la tua condanna!"

L'Apocalisse di Giovanni

Caro Franco, approfitto del nostro ultimo breve colloquio sul tuo blog per dilungarmi un po'. 
Decisamente concordo con te: la politica è complicata (come la vita d'altronde, e come non lo sono i commenti sui blog e a volte i blog stessi,  non per nulla l'Eco li deplora). Ma, banalità per banalità, dato che siamo fra amici, posso dire che forse l'euro è, sotto certi aspetti, più semplice da decifrare di quanto si possa immaginare. Naturalmente non prima di avere, con fatica, sgombrato il campo da tutte le frottole di destra e soprattutto di "sinistra" che ci sono state propinate in questi lunghi decenni di progresso. E non prima, soprattutto, di aver potuto verificare le opinioni e le divulgazioni di persone abituate a pensare e a utilizzare gli strumenti della scienza economica. Persone, conservatrici e progressiste, che per di più hanno sensibilità per i destini umani. Cosa dicono in sostanza queste persone? L'euro è l'elefante che vola (e prima o poi cadrà sulla tua testa). O forse meglio, l'euro è il carro davanti ai buoi, ma non per tutti, naturalmente. 

domenica 21 giugno 2015

East Coker


Da
Quattro quartetti
di T.S. Eliot




East Coker

[...]
Presi da un vortice che porterà
Il mondo al fuoco distruggitore
Che brucia prima che regni il ghiaccio.

Questo era un modo di presentare la cosa... e non molto soddisfacente:
Uno studio perifrastico in una maniera poetica d'altri tempi,
Che ci lascia ancora in preda alla lotta intollerabile
Con le parole ed i significati. La poesia non importa
Non era (per ricominciare) quello che ci si aspettava.
Quale doveva essere il valore della tanto aspettata,
Tanto sperata calma, la serenità autunnale
E la saggezza dell'età avanzata? Avevano ingannato noi
O ingannato se stessi, gli antenati dalla voce pacata,
Lasciandoci in eredità nient'altro che una ricetta d'inganni?
La serenità, solo una deliberata ebetudine,
La saggezza, solo la conoscenza di segreti morti,
Inutili nel buio nel quale figgevano lo sguardo
O dal quale volgevano gli occhi. C'è, così ci pare,
Nel migliore di casi, solo un valore limitato
Nella conoscenza che deriva dall'esperienza.
La conoscenza impone una trama, e falsificata,
Perchè la trama ogni momento è nuova,
E ogni momento è nuova e sconcertante
Valutazione di tutto ciò che siamo stati. Solo non c'inganna
Ciò che ingannandoci non potrebbe più nuocerci.
Nel mezzo, non solo nel mezo del cammino
Ma per tutto il cammino, in una selva oscura, tra i rovi,
Sull'orlo di un pantano, dove il piede non è sicuro,
E tra minacce di mostri, luci fantastiche,
Col rischio dell'incantamento. Non voglio sentir parlare
Della saggezza dei vecchi, bensì della loro follìa,
Della loro paura della paura e della frenesìa, la loro paura del possesso,
Di appartenere a un altro, o ad altri, o a Dio.
La sola saggezza che possiamo sperare di ottenere
E' la saggezza dell'umiltà: l'umiltà è sconfinata.

Le case sono andate tutte sotto il mare.

I danzatori sono andati tutti sotto la collina.


III

O buio, buio, buio. Tutti vanno nel buio,
Nei vuoti spazi interstellari, il vuoto va nel vuoto,
I capitani, gli uomini d'affari, gli eminenti letterati,
I generosi patroni dell'arte, gli uomini di stato e i governanti
Gli esimi funzionari, i presidenti di molti comitati,
I capitani d'industria e i piccoli imprenditori, tutti vanno nel buio,
E bui il sole e la luna, e l'Almanacco di Gotha
E la Gazzetta della Borsa, l'Annuario delle Società Anonime
E freddo il senso e perduto il motivo dell'azione.
E tutti noi andiamo con loro, nel funerale silenzioso,
Funerale di nessuno, perchè non c'è nessuno da seppellire.
Ho detto alla mia anima: taci, e lascia che scenda su di te il buio
Che sarà l'oscurità di Dio. Come in un teatro,
Si spengono le luci, per poter cambiare la scena
Con un cupo rombo d'ali, con un moto del bio sul buio,
E noi sappiamo che le colline e gli alberi, il panorama lontano
E l'ardita facciata imponente, tutto viene arrotolato e messo via...
O come quando un treno della ferrovia sotterranea si ferma troppo a lungo tra due stazioni
E s'anima la conversazione, poi un po' per volta si perde nel silenzio
E si vede che dietro ogni faccia si spalanca il vuoto mentale
E non resta che il crescente terrore di non aver nulla a cui pensare;
O quando, sotto l'etere, la mente è cosciente, ma cosciente di nulla...
Ho detto alla mia anima: taci, e attendi senza speranza
Perchè la speranza sarebbe speranza mal collocata: attendi senza amore
Perchè l'amore sarebbe amore mal collocato; rimane la fede
Ma la fede e l'amore e la speranza stanno tutti nell'attesa.
Attendi senza pensiero, perchè non sei pronta al pensiero:
Così il buio sarà la luce, e la quiete la danza.
Mormorio di correnti ruscelli, e lampi d'inverno.
Il timo selvatico non visto, e la fragola dei boschi,
Le risa nel giardino, eco di un'estasi
Non perduta, ma che richiede, che tende all'agonia
Della nascita e della morte.
                                         Voi dite ch'io ripeto
Qualcosa che ho già detto prima. Lo dirò di nuovo.
Devo dirlo di nuovo? Per arrivare là,
Per arrivare dove voi siete, per andare via da dove voi siete,
     Dovete fare una strada nella quale non c'è estasi.
Per arrivare a ciò che non sapete
     Dovete fare una strada che è quella dell'ignoranza.
Per possedere ciò che non possedete
     Dovete fare la strada della privazione.
Per arrivare a quello che non siete
     Dovete andare per la strada nella quale non siete.
E quello che non sapete è la sola cosa che sapete
E ciò che avete è ciò che non avete
E dove siete è là dove non siete.

IV

Il chirurgo ferito maneggia l'acciaio
Che indaga la parte malata;
Sotto le mani insanguinate sentiamo
L'arte pungente e pietosa di chi guarisce
E scioglie l'enigma del diagramma della febbre.
La nostra unica salute è la malattia
Se obbediamo all'infermiera morente
La cui cura costante non è di piacere
Ma di ricordarci la maledizione nostra e d'Adamo,
E che per guarire la nostra malattia deve peggiorare.

Tutta la terra è il nostro ospedale
Finanziato da un milionario in rovina,
Dove, se va bene, moriremo
Dell'assoluta cura paterna
Che non ci lascerà mai, ma ci prende dappertutto.

Il freddo sale dai piedi alle ginocchia,
La febbre canta nei congegni della mente.
Se voglio aver caldo, devo gelare
E tremare nei frigidi fuochi del purgatorio
La cui fiamma è di rose, il fumo di spini.

Nostra sola bevanda il sangue che stilla,
Nostro solo cibo la carne sanguinosa:
E a dispetto di ciò ci piace pensare
Che in sostanza siam fatti proprio di carne e di sangue...
E ancora, a dispetto di ciò, parliamo di venerdì santo.


V

E così eccomi qua, nel mezzo del cammin, dopo vent'anni...
Vent'anni in gran parte sciupati, gli anni dell'entre deux guerres...
A cercar d'imparare l'uso delle parole, e ogni tentativo
E' un rifar tutto da capo, e una specie diversa di fallimento
Perché si è imparato a servirsi bene delle parole
Soltanto per quello che non si ha più da dire, o nel modo in cui
Non si è più disposti a dirlo. E ogni impresa
E' un cominciar di nuovo, un'incursione nel vago
Con logori strumenti che peggiorano sempre
Nella gran confusione dei sentimenti imprecisi,
Squadre indisciplinate di emozioni. E quello che c'è da conquistare
Con la forza e la sottomisione, è già stato scoperto
Una volta o due, o parecchie volte, da uomini che non si può sperare
Di emulare - ma non c'è competizione - 
C'è solo la lotta per ricuperare ciò che si è perduto
E trovato e riperduto senza fine: e adesso le circostanze
Non sembrano favorevoli. Ma forse non c'è da guadagnare né da perdere
Per noi non c'è che tentare. Il resto non ci riguarda.

La casa è il punto da cui si parte. Man mano che invecchiamo
Il mondo diventa più strano, la trama più complicata
Di morti e di vivi. Non il momento intenso
Isolato, senza prima né poi,
Ma tutta una vita che brucia in ogni momento
E non la vita di un uomo soltanto
Ma di vecchie pietre che non si possono decifrare.
C'è un tempo per la sera a ciel sereno
Un tempo per la sera al paralume
(La sera che si passa coll'album delle fotografie).
L'amore si avvicina più a se stesso
Quando il luogo e l'ora non importano più
I vecchi dovrebbero essere esploratori
Il luogo e l'ora non importano
Noi dobbiamo muovere senza fine
Verso un'altra intensità
Per un'unione più completa, comunione più profonda
Attraverso il buio, il freddo e la vuota desolazione,
Il grido dell'onda, il grido del vento, la distesa d'acqua
Della procellaria e del delfino. Nella mia fine è il mio principio.


venerdì 19 giugno 2015

L’altrove dell’Occidente


Da
di Iain Chambers


Ulisse e le Sirene


Estraneo in casa
       Vorrei cominciare trattando un problema che, in un modo o nell’altro, ci riguarda tutti, tanto nella nostra attività intellettuale quanto nella vita quotidiana: forse la sovranità nazionale non si sta sgretolando in quel modo così spettacolare previsto dai profeti del capitale trans-globale e del flusso di informazioni. Né tantomeno si sta sfaldando per lasciare il posto a un senso d’identità trans-nazionale. I curdi, i baschi, i palestinesi, i tibetani, reclamano tutti quanti il loro diritto all’autogoverno. Si scopre che “la nazione è sempre una realtà in divenire, piuttosto che una realtà già consolidata”. Per quanto già istituita, pare sempre che la nazione stia sempre a un passo dal compimento, ma senza mai arrivarci del tutto. Di certo, come ha asserito Arjun Appadurai (1996), i media e l’emigrazione dei nostri tempi hanno alterato profondamente sia l’immaginazione pubblica che quella privata, in ogni luogo, modificando profondamente gli orizzonti potenziali dell’identità. Eppure, in un mondo in cui la volontà di combattere, uccidere, e persino di morire per un’astrazione chiamata “patria” o “nazione”, è spesso indissolubilmente legata a una precisa appartenenza etnica o fede religiosa, le forze complesse che configurano sostanzialmente il senso dell’appartenenza e della “casa” rimangono prepotentemente al loro posto. Continua a esistere
una vicinanza inquietante e, come osserva Ghassan Hage, persino un immaginario nazionalista strutturato in maniera simile che accomuna le identità etniche, spesso costituite come “nazioni” e “pulizia etnica”. In altre parole, c’è una vicinanza inquietante tra apparentamento e sterminio .


domenica 14 giugno 2015

Ornette Coleman. La Filosofia è Jazz.

Da Alias, supplemento settimanale de "Il Manifesto" del 15 novembre 2014. Jacques Derrida intervista Ornette Coleman
Voglio semplicemente dire, sull'orlo dell'abisso: chi saprà sostituire Ornette?



Riaffiora una storica intervista apparsa in Francia nel ’97. Dall’incontro dell’autore de «La voce e il fenomeno» con il sassofonista scaturisce un curioso e inatteso contraddittorio su composizione, improvvisazione, lingua e razzismo.

L’OCCASIONE FURONO I TRE STORICI CONCERTI ALLA VILLETTE DI PARIGI

di JACQUES DERRIDA*

Questa intervista - di cui si sono perse le trascrizioni originali - è stata realizzata dal filosofo Jacques Derrida il 23 giugno 1997. Ornette Coleman, sassofonista e compositore, maestro dell’avanguardia nera si trovava a Parigi per tre concerti alla Villette, museo e sede per le arti performative (tra le quali il Conservatorio). Il filosofo intervistò Ornette Coleman che era al momento impegnato con il progetto «Civilization», una serie di esibizioni che comprendevano esecuzione della partitura sinfonica Skies of America, su composizione, improvvisazione, lingua e razzismo concerti in trio con Billy Higgins e Charlie Haden, membri del suo Quartetto «storico», e infine un concerto di Prime Time, il gruppo elettrico e «free funk». Composizione, improvvisazione, lingua, razzismo sono le tematiche principali dell’intervista riaffiorata di recente, apparsa nel '97 in Francia sulla rivista Les Inrockuptibles e a cui si è fatto riferimento in questa sede.

martedì 9 giugno 2015

Wagner e il velo di Maya del capitalismo occidentale


Attraverso l'opera di Wagner, un'analisi sorprendente sulle origini della crisi sistemica, delle ideologie e delle teorie in gioco. Il mito come mezzo di comprensione della Civiltà e delle sue contraddizioni. Dal Valhalla di Wagner all'Overlook Hotel di Kubrik, dalla coscienza infelice borghese alla presa del Palazzo d'Inverno, dalla tragedia di Tristano e Isotta alle false soluzioni nichilistiche. Le nostre scelte.
Un saggio da leggere per capire i motivi e i meccanismi profondi di ciò che sta accadendo. Pubblicato da Megachip, nel novembre 2014.

di Piero Pagliani.

Mathilde Wesendonck

And Now for something completely different  (1)
Dalle dissonanze armoniche alle dissonanze sociali. Dalla discesa di Wotan nel Regno dei Nibelunghi, all'assalto del bolscevicobohémien Vladimir Antonov-Ovseyenko al Palazzo d'Inverno. Dal velo di Maya allo svelamento dei meccanismi dello sfruttamento. L'origine sociale e politica della coscienza infelice. La coscienza  infelice positiva di Verdi e la coscienza infelice negativa di Wagner. Il mito come mezzo d'indagine del nucleo più interno del capitalismo. Dagli oscuri misteri della Civiltà all'illuminazione del Nulla. Dall'antisemitismo alla cattiva coscienza della modernità. Dal Valhalla all'Overlook Hotel: Schein e shining. Le critiche di Nietzsche e l'ammirazione di Baudelaire. L'opera d'arte totale di Wagner come autoassoluzione. L'utopia come rimedio al nichilismo. Andare oltre le apparenze o vivere dentro Matrix. Le nostre scelte.

... è stato necessario in Francia l'ordine di un despota per far eseguire l'opera di un rivoluzionario
Charles Baudelaire, "Su Wagner" (2).


mercoledì 3 giugno 2015

Che fare?

Capitolo finale della seconda parte di "Al cuore della Terra e Ritorno" di Piero Paglini.





Che Fare?



We have lingered in the chambers of the sea
By sea-girls wreathed with seaweed red and brown
Till human voices wake us, and we drown


1. La causa della crisi sistemica attuale non è la finanziarizzazione capitalistica.
 Le sue radici profonde si devono rintracciare
nel grande ventennio di sviluppo materiale  che seguì la II Guerra Mondiale. I caratteri della potente  finanziarizzazione indotta dalla crisi di quello sviluppo materiale 
sono dovuti al particolare
rapporto di aggiunzione (1)  che si è stabilito a partire dal 1979 tra il potere territoriale statunitense e la grande finanza.