uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

mercoledì 3 giugno 2015

Che fare?

Capitolo finale della seconda parte di "Al cuore della Terra e Ritorno" di Piero Paglini.





Che Fare?



We have lingered in the chambers of the sea
By sea-girls wreathed with seaweed red and brown
Till human voices wake us, and we drown


1. La causa della crisi sistemica attuale non è la finanziarizzazione capitalistica.
 Le sue radici profonde si devono rintracciare
nel grande ventennio di sviluppo materiale  che seguì la II Guerra Mondiale. I caratteri della potente  finanziarizzazione indotta dalla crisi di quello sviluppo materiale 
sono dovuti al particolare
rapporto di aggiunzione (1)  che si è stabilito a partire dal 1979 tra il potere territoriale statunitense e la grande finanza.
La globalizzazione finanziarizzata non si deve quindi interpretare né come l’identificazione dei fini della politica con quelli dell’economia finanziaria, né come una subordinazione dei primi ai secondi. E’ invece necessario tenere distinti  T (potere politico) e D (potere economico finanziario) perché solo così si possono scoprire e utilizzare le contraddizioni all’interno del rapporto di aggiunzione dominante, di quelli subordinati e dei rapporti di aggiunzione tra loro. Mentre Reagan e la Thatcher hanno dato l’avvio al nuovo rapporto di aggiunzione globale del Potere, l’Europa è andata alla sua rincorsa, ma solo nella dimensione D, surclassando spesso gli Usa per vis deregolatoria, trainata dall’iniziativa della Francia che da una parte voleva tenere sotto controllo il neomercantilismo tedesco e dall’altra concorrere con gli Stati Uniti sul piano della forza finanziaria. Questa ricorsa ha una matrice decisamente di sinistra: nel Regno Unito, dopo la Thatcher si è assistito all’accanimento del duo laburista Tony Blair-Gordon Brown, mentre nell’Europa continentale l’avanguardia è stata formata dal duo Mitterand-Delors, entrambi socialisti, e poi dal socialista Pierre Bérégovoy, dopo la fallita corsa di De Gaulle all’oro di Fort Knox, lo sparigliamento del Nixon shock e il nuovo patto reaganiano tra Potere e alta finanza. A loro volta gli Usa risposero con la tornata clintoniana di deregolamentazioni. Tramite la CommissioneEuropea, presieduta da Jacques Delors per tre mandati consecutivi (1985-1995), la risposta europea, chiamata “Consenso di Parigi”, fu propagata alla Germania di Helmut Kohl, all’Italia dei “governi tecnici” di CiampiAmato sostenuti dalla sinistra, e poi dei governi “post-comunisti”, alla Spagna di Felipe González Márquez, anch’egli socialista (2). Il Trattato di Maastrich fu firmato sotto il “regno” di Delors. Al momento della crociera tirrenica del panfilo Britannia (vedi Capitolo VI della PartePrima) sul nostro Paese convergevano dunque due linee: la finanza anglosassone e la politica di euro-egemonia della Francia. La costruzione dell’Euro risente di questa duplice impostazione e del fallimento della strategia francese che ha infilato i Paesi europei in quella che abbiamo definito “doppia trappola”: una interna incardinata sul neomercantilismo tedesco e una esterna incardinata sulla finanza a guida anglosassone. Sono due aspetti da tenere contemporaneamente presenti, anche se non hanno la stessa potenza e lo stesso significato politici. Purtroppo, invece, o si vede solo uno e non l’altro o vengono addirittura confusi. Ritorneremo tra poco sulla doppia trappola. Ora soffermiamoci su alcuni aspetti salienti di quella finanziaria,
 quella cioè più esterna.



2. Vari aspetti concorrono alla grande difficoltà che si incontra sia a rendersi conto dell’errore sia a correggere la rotta. Un fattore preminente è il fatto che il fallimento stesso del disegno ha ribadito la subordinazione dell’Europa alla politica estera statunitense. Un secondo elemento è il timore di cosa succederà, dati i rapporti di forza, qualora si cercasse di cambiare rotta. Legata a questo timore c’è indubbiamente anche una difficoltà di ordine ideologico: i decisori si sono formati sul pensiero unico della globalizzazione finanziarizzata e da esso sono stati selezionati. Si tenga poi conto che il rapporto di aggiunzione T-D dà luogo a un interscambio di personale tra la finanza e la politica cementato da una «comunanza di linguaggio, di schemi interpretativi, di sensibilità per talune questioni e insensibilità per altre» (3). Infine, il rapporto di aggiunzione all’insegna della finanziarizzazione si erge davanti agli stessi attori politici e finanziari come un mondo oggettivo, fatto di proprie regole. I motivi sono essenzialmente due. Il primo, e più importante, è che la finanziarizzazione nasce dalle contraddizioni e dai conflitti dell’accumulazione capitalistica e che la sfera finanziaria, oggi dominante, è essa stessa percorsa da contraddizioni e da conflitti che premiano chi vi si conforma e la usa accortamente (ovvero con la violenza, la spregiudicatezza, l’astuzia e l’inganno), mentre punisce chi non ci riesce. Prova ne è il numero e le dimensioni dei fallimenti e delle fusioni che caratterizzano la crisi nel settore finanziario, che come già si sa è un contesto potente per la centralizzazione dei capitali (4). Il secondo motivo è il fatto che il mondo finanziario è diventato talmente complesso e ramificato che nemmeno i grandissimi attori hanno una qualche possibilità di tenerlo sotto controllo. Se questo è un risultato del modo di operare conflittuale teso alla valorizzazione infinita, esso fa supporre che solo l’azione politica cosciente ha qualche possibilità di intervento. Abbiamo visto, però, che un intervento cosciente dall’alto non sarà indolore. La Storia ci insegna il contrario. Di fatto solo un’azione cosciente di segno opposto alle finalità capitalistiche può indirizzare l’uscita dalla crisi in una direzione non distruttiva. Alcuni confidano in una sorta di “vendetta” della Natura che renderebbe impossibile operare ad oltranza nell’attuale direzione (. Ma ne siamo così sicuri? Sappiamo che potremmo esserlo se potessimo applicare un dualismo cartesiano tra natura e progetti sociali. Ma non è così. Come abbiamo illustrato all’inizio della Sezione, i limiti naturali sono immediatamente intrecciati ai limiti sociali, politici e geopolitici. La competizione globale tra enormi attori, infatti, ha ridotto per tutti lo “spazio esterno” dove finora è stato possibile scaricare le contraddizioni sociali, politiche, economiche, biologiche e fisiche del sistema. Esistono ormai larghi spazi “capitalisticamente vergini” solo in pochi continenti: in Africa, in Antartide e in misura sempre minore in Asia e in America Latina. Ciò porta a una crescente concorrenza su tali spazi e a quello che abbiamo descritto come una sorta di autocannibalismo” (5). In un quadro generale, la progressiva chiusura di esternalità e la concorrenza su di esse fa sì che lo sviluppo del sistema sia fortemente ipotecato anche dai limiti delle risorse del pianeta, limiti che ormai sono da annoverare come interni al sistema stesso (seppur non ancora in modo completo). In questo contesto la finanziarizzazione è un modo per “girare attorno al problema”, che però non riesce realmente ad aggirarlo perché, in un senso lato ma non metaforico, la natura, come il lavoro, è un “collaterale” fondamentale
 per la crescita finanziaria.



In altri termini il capitalismo è alla ricerca spasmodica di assets reali che possano coprire in qualche misura la massa sterminata di ricchezza virtuale generata dalla finanziarizzazione. E lo fa cercando di svalorizzare al massimo i fattori sociali e valorizzare quelli materiali, sfruttando in modo irresponsabile la natura e attaccando il «sistema socio-demografico [...] luogo fisico e simbolico dove si riproducono  le persone e le loro forme base di convivenza», cioè alla comunità in senso generale. L’avvicinamento progressivo ai limiti fisici delle risorse è dovuto alla necessaria e crescente occupazione della sfera ecologica da parte di più attori in conflitto tra loro, finalizzata alla sua ipervalorizzazione. E’ per questo motivo che ad onta della crisi del grande sviluppo materiale del dopoguerra assistiamo a una prolungata mobilitazione senza precedenti di risorse fisiche e sociali che sta portando a un degrado sempre più ampio e profondo degli ecosistemi, a conflitti geopolitici tra Paesi o gruppi di Paesi e a una feroce “lotta di classe dall’alto” sia di carattere nazionale sia di carattere transnazionale (6) . Ciò che infatti chiamiamo “esterno” non solo esiste storicamente, ma viene riprodotto. Ovvero vengono costantemente riprodotti, con la forza, i differenziali, vitali per il capitalismo. La “costruzione dell’esterno”, come la possiamo definire, non segue necessariamente i confini nazionali e nemmeno quelli delle alleanze. La lotta di classe dall’alto è un esempio di costruzione e ricostruzione di differenziali di sviluppo all’interno degli stati nazionali. Il capitalismo ha bisogno di creare e ricreare aree geografiche o sociali depresse (ed eventualmente spopolate). Il percorso imposto alla Grecia, a Cipro, quello seguito con decisione da Mario Monti in Italia e che conduce alla recessione, ben lungi da essere degli errori, rappresentano  altrettante implementazioni di questa costruzione dell’esterno. 
Chi se ne avvantaggerà?


3. In questo la finanziarizzazione esprime tutto il suo paradosso. Infatti, se sulla carta essa favorisce l’autovalorizzazione dei capitali tramite il ciclo D-D’ che formalmente non presuppone la trasformazione materiale simboleggiata da M, tuttavia la domanda che ci siamo posti fin dall’inizio, cioè fino a quando ciò può durare? fino a quando gli elefanti possono volare? si ripropone qui in tutta la sua drammaticità. E questa drammaticità risiede nella natura stessa del denaro nel sistema sociale e di produzione capitalistico. Partiamo da una definizione di Luciano Gallino: il denaro è promessa di valore, rapporto sociale, mezzo di scambio e linguaggio. Ora però cerchiamo di strutturare questa definizione. Nella sua valenza di rapporto sociale il denaro, come abbiamo ripetuto frequentemente, è innanzitutto potere, possibilità di mobilitazione di risorse fisiche, sociali, politiche, diplomatiche, militari e culturali. Dal nostro punto di vista questa funzione sussume tutte le altre e le garantisce. Non solo, mentre storicamente il denaro in quanto puro mezzo di scambio può essere sostituito dal baratto, nella società capitalistica le quattro funzioni non possono avere una esistenza autonoma. Formalmente il processo D-D’ avviene nella dimensione linguistica del denaro, per la precisione, come si è già accennato, nella dimensione 
della sintassi dei campi-di-flussi.


Da questo punto di vista siamo in presenza della trasformazione simbolica di un simbolo. Ma questa trasformazione non è un puro gioco linguistico, dove ad esempio un insieme di crediti (e quindi di debiti) viene venduto da un attore A a un attore B che a sua volta lo rivenderà a un attore C e così via in un gioco di derivazioni dagli asset sottostanti, ovverosia di allontanamento da essi. La funzione radice, quella di Potere, a un certo punto può essere costretta a rivendicare la sua “semantica”, ovvero quella che dice che il denaro deve poter mobilitare risorse. Ecco allora che la funzione del denaro in quanto “promessa di valore” getta sul tavolo da gioco i propri diritti, vuole cambiare le fiches. Ai tempi di Marx questa rivendicazione si poteva tramutare nella ricordata “assurda pretesa” di trasformare la ricchezza “in potenza” in oro e in argento .  Ai nostri tempi, inaugurati dalla dichiarazione d’inconvertibilità in oro della moneta internazionale, questa “pretesa” assume tre forme: lo scoppio delle bolle finanziarie, che lasciano sul campo sconfitti e vincitori, il tentativo di valorizzare tutto l’esistente, dagli atomi e dai geni umani a intere formazioni sociali e allo spazio cosmico, e infine il consolidamento della funzione principale, ovvero quella di Potere alla quale sia la prima sia la seconda forma sono subordinate  e dipendenti. Ciò avviene per la ricchezza finanziaria privata, che rivendica potere sui “sottostanti”, ovvero il rapporto debitorio dei singoli, nel settore privato dove la rivendicazione diventa immediatamente aumento dello sfruttamento della forza-lavoro, peggioramento delle condizioni di lavoro e sfruttamento intensivo delle risorse fisiche, e in quello pubblico, dove diventa privatizzazione del dominio pubblico, normative che  ampliano a dismisura la discrezionalità del settore privato e rapina di beni comuni. Ed avviene per la ricchezza pubblica ancora oggi predominante, che è rappresentata dal debito pubblico statunitense e dal Dollaro e che rivendica ciò che dopo il Nixon shock è il suo “sottostante” di ultima istanza: l’ampliamento dei rapporti di forza globali a favore degli Stati Uniti, o se si vuole la 
“valorizzazione” della potenza degli Usa.


4. Da quanto sopra esposto, l’azione politica non può basarsi su assunzioni semplificanti e su riduzioni della realtà a modelli astratti, o addirittura su una lettura meccanica di questi modelli. Un’azione politica credibile e coerente deve essere la prosecuzione del metodo dell’astrazione determinata. In quanto tale deve prendere in considerazione tutti gli snodi critici tra i principali fattori che, almeno finora, hanno definito il Capitalismo in quanto a) rapporto sociale, b) modo di produzione e c) modo di accumulazione. Indicativamente ne possiamo elencare tre: Potere - Stato - Capitale / Stato - Nazione - Comunità / Capitale - Impresa - Lavoro. Tali rapporti dovranno essere analizzati nel contesto internazionale, tenendo conto del ruolo giocato dalla Natura, intesa come sfera ecologica, come oggetto della trasformazione del lavoro e come elemento della dialettica interno/esterno dei sistemi dissipativi capitalistici. L’obiettivo di fase dovrebbe essere quello di una gestione transitoria emancipativa della crisi in modo da mantenere una sufficiente coesione sociale per non permettere derive autoritarie e reazionarie. Rispetto ai mezzi e agli obiettivi bisogna allora tener distinti i seguenti piani per poter poi collegarli: a) efficacia sociale, b) efficacia economica, c) efficacia politica, d) efficacia ecologica. Occorre approntare dei mezzi interpretativi, degli schemi, dei metodi che sappiano valutare gli impatti a catena (e non le riduzioni a catena) tra i vari piani, a partire dalle azioni su ciascuno di essi e tenendo conto degli effetti di feedback. Siamo alla vigilia di un drastico cambiamento di fase nella gestione capitalistica della crisi sistemica. Questi tipi di cambiamento sono storicamente stati caratterizzati da una rivoluzione dall’alto. Bisogna prendere sul serio il termine “rivoluzione” perché saremo di fronte a fenomeni molto insidiosi: obiettivi, parole d’ordine e persino abiti mentali che fino ad oggi sembravano progressivi possono diventare veicoli dei progetti di questo o quell’agente del capitale, mentre obiettivi, parole d’ordine e abiti mentali che sembravano conservatori possono rivelarsi essenziali per mantenere  linee politiche e sociali emancipative.



Per navigare in questa tempesta è indispensabile avere un punto di vista politico autonomo sia da chi falsamente privilegia l’efficacia sociale,  sia da chi privilegia l’aspetto economico. Un punto di vista politico autonomo e capace di proporsi come alternativa alle soluzioni regressive (che siano ammantate da bandiere di destra o di sinistra non conta) deve quindi basarsi proprio sulla più volte invocata capacità di richiamare i vari elementi di una critica ontologica all’economia politica. Questa critica, alla quale occorre mirare, implica tuttavia una teoria organica del capitalismo che non è possibile sviluppare in un periodo di caos sistemico. Con la consapevolezza perciò che per ora di teoria organica anticapitalistica non si può parlare, ma solo di teoria della crisi sistemica, il compito è dedurre le politiche da approssimazioni teoriche successive e temporanee, cercando di evidenziare i pro e i contro di fase e i pro e i contro strategici, sapendo che questi ultimi sono più difficili da definire. In definitiva, un rilancio dell’elaborazione teorica e politica anticapitalistica deve avere un referente sociale, gambe reali su cui appoggiarsi anche solo limitatamente alla fase, evitando però che i limiti della fase gettino le loro “ombre” anche sulla visione strategia col pericolo di una stagnazione o involuzione teorico-politica. Il termine “diavolo” - dal greco “diaballein” - significa colui che si frappone, si mette di traverso. Nel nostro caso il Diavolo è ciò che non permette di capire la realtà. La nuova epoca che ci aspetta, che sarà segnata dalla deglobalizzazione, sarà un’epoca di pace garantita da nuovi equilibri o sarà un’epoca di guerre devastanti? La risposta non è : “Non lo possiamo sapere”. La risposta dipende da noi. Ma il pensiero critico è in grande sofferenza. Ogni atteggiamento identitaristico non fa altro che aggravarla. Non è quindi una sorpresa che raccolga consensi politici decrescenti. C’è bisogno di un rinnovamento, che non significa rinnegare la storia dei movimenti che hanno cercato l’emancipazione dal capitalismo. Una storia fatta da eventi e da persone che hanno avuto una grandezza da riconoscere anche nella loro tragicità. Milioni di uomini e di donne che hanno fatto la loro parte, in base alle condizioni che a loro si presentavano e alle conoscenze critiche che allora si avevano dei processi politici e sociali. Ora siamo noi a dover fare la nostra parte. E il primo dovere è capire con rinnovati strumenti qual è la realtà, per non fare immani disastri, magari con le migliori intenzioni, mentre si sgrana il rosario di note formule. Altrimenti avremo solo l’illusione di lottare per l’emancipazione, la pace, la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo,
 finché le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.



Note
1) Il rapporto tra potere finanziario (D,denaro) e potere politico (T, territorio) è uno dei centri del discorso analitico di Pagliai. Vedi nota 1 del post precedente Leggere la nuova fase. In estrema sintesi: “…rapporto di aggiunzione vuol dire che c’è una relazione stretta tra le dinamiche che si producono in T e quelle che si producono in D, così che i due termini si determinano  eciprocamente attraverso la loro rispettive relazioni con un termine intermedio. E’ come dire “suocera” e “nuora”: Roberta è suocera di Giovanna se e solo se Giovanna è nuora di Roberta…” (nota di ubu).
2) Così mentre gli intellettuali e i politici di sinistra puntavano il dito sul conflitto d’interessi berlusconiano e indicavano come soluzione il comportamento negli Stati Uniti, la sinistra
stessa, sia negli Usa sia in Europa, preparava la strada a un conflitto di interessi globale di
dimensioni gigantesche.
3) Si noti però che Gallino propende a interpretare ciò che noi chiamiamo “rapporto di aggiunzione” come un asservimento del potere politico da parte di quello finanziario o a volte come una loro identificazione.
4) Secondo i dati della Fed il numero di banche commerciali negli Usa è passato da 15.100 nel
1990 a 3.426 nel 2007. Nel settore finanziario mondiale il numero delle fusioni tra il 1985 e il
1988 è incrementato debolmente tenendosi sempre sotto quota 700 mentre si è impennato fino
a superare la quota di 2300 del 1995 per mantenersi sempre poco sotto o poco sopra le 1.500
fino ai nostri giorni. Si noti tuttavia che mentre fino al 1996 il valore delle transazioni era
piuttosto modesto e non cresceva proporzionalmente alle fusioni, dal 1996 alla crisi del 2000
esso passò da circa 130 miliardi di dollari a 500 miliardi, proporzionalmente alle fusioni, per
ripiombare ai livelli del 1996 con la crisi, risalire a 600 miliardi nel 2007 in modo più che
proporzionale alle acquisizioni, e ritornare ai livelli precedenti dopo la crisi dei subprime.
5) In Italia un esempio bio-fisico chiarissimo di questo fenomeno è l’uso prolungato dell’area
di Napoli come discarica dei rifiuti tossici delle industrie del Nord grazie a connivenze
criminal-politiche. Un esempio sociale è invece l’attacco, comune a tutto il mondo occidentale,
alle condizioni economiche e di lavoro che investe non solo i lavoratori subordinati ma tutto il
ceto medio, laddove per circa trent’anni dal secondo dopoguerra il loro innalzamento non solo
è stato tollerato ma entro certi limiti anche trasformato in fattore di sviluppo.
6) Il World Resource Institute calcola che il 60% dei servizi resi all’umanità dagli ecosistemi 
(fornitura di acqua, materie prime, energia, smaltimento dei rifiuti, regolazione del clima, fotosintesi, eccetera) si sia degradato in soli cinquant’anni.
ps dipinti di Masaccio

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