Altro post dal monumentale e straordinario "Al cuore della Terra e Ritorno" di Piero Pagliani. Dalla seconda parte, una lettura del "presente" (2013) lucida, sferzante e drammatica.
Leggere
la nuova fase
1.La prospettiva di un progressivo blocco del ciclo virtuoso della
globalizzazione finanziarizzata, ci obbliga a immaginare nuovi
scenari e abbandonare le vecchie acquisizioni sul viale del tramonto
storico. Partiamo da dove tutto inizia: quali sono le opzioni per gli
Usa, il cui rapporto T-D egemone (potere del territorio/potere del denaro) (1) è oggi messo in crisi? Il blocco tendenziale del ciclo
globalizzato di creazione, appropriazione e redistribuzione del
valore creato mondialmente mina la costruzione finanziaria
internazionale. A questo punto lo scenario più plausibile che si
presenta è questo:
1) Gli Usa devono
evitare default disordinati in Europa, così come li devono evitare i
subdominanti europei, per limitare perdite reali sui conti
finanziari.
2) Il ricorso ai
quantitative easing e ai bailout (2) privi di contropartite per T deve
essere progressivamente limitato, perché si ripercuotono sulla
sostenibilità della finanziarizzazione di Stato basata sul doppio deficit e sull’egemonia del Dollaro.
3.1) La Germania
dovrebbe acconsentire a liberalizzare l’acquisto da parte della Bce
dei titoli di stato invenduti, ad effettuare dei quantitative easing
per salvare selettivamente gli istituti finanziari europei e ad
emettere eurobond. In altre parole dovrebbe soccorrere i debiti dei
Piigs. Le conseguenze per la Germania sarebbero pesanti:
3.1.1) aggravio delle
condizioni fiscali
3.1.2) peggioramento
dell’economia reale
3.1.3) peggioramento
delle condizioni sociali
3.1.4) fuga dei
capitali tedeschi verso i Treasury bill statunitensi (3)
3.1.5) interruzione di
qualsiasi prospettiva di Ostpolitik tedesca ed europea; come
conseguenza di quest’ultimo punto gli Usa otterrebbero un
indebolimento della contraddizione pushmi-pullyu (4) tramite:
3.1.5.1) ripresa
da parte degli Usa del controllo dei rapporti tra Ovest ed Est (dalla
Russia all’Oriente asiatico, e in particolare la Cina che avrà
necessità di negoziare con gli Usa che la assedierebbero a Sud e nel
Pacifico) e tra Ovest e America Latina.
4) In una situazione
geopoliticamente sotto controllo, o per lo meno temporaneamente
favorevole, gli Usa potrebbero procedere a una svalutazione del
Dollaro e quindi del loro debito pubblico detenuto all’estero.
5) Parallelamente si
potrà procedere alla definanziarizzazione, iniziando con la
svalorizzazione del capitale fittizio privato. In realtà non è
chiaro se essa possa essere precedente, seguente o concomitante alla
svalorizzazione degli asset creati dalla finanziarizzazione di Stato.
Molto dipende da chi farà le prime mosse, ovvero da come si
svolgeranno i conflitti intercapitalistici che necessariamente si
genereranno per garantirsi perdite minori o addirittura guadagni
nelle posizioni di potere. Ne consegue, ad essere precisi, che la
definanziarizzazione seppur governata a grandi linee dai padrini
politici della stessa finanziarizzazione sarà un processo non
lineare, sfasato nei tempi, nelle modalità e nella sua geografia.
6) La
definanziarizzazione sarà accompagnata da un nuovo pesante attacco
al lavoro cooperativo associato per svalorizzarlo e così diminuire
il più possibile le perdite reali una volta scoperchiati i sepolcri
imbiancati della finanza e ridotta la possibilità di appropriazione
di natura relativamente non capitalizzata. La Germania, potenza
dominante in Europa, dovrà opporre tutta la sua resistenza tenendo
conto di due cose. La prima è che è un Paese occupato da 73 basi
dell’US Army (l'Italia ne ospita 23) . La seconda è che i suoi tentativi di resistenza,
come si è visto, rischiano seriamente di segare il ramo su cui la
sua potenza economica è seduta, esponendo una quantità di Paesi
europei suoi stretti partner agli attacchi politici e finanziari
provenienti da oltremare. Si ricordi che la potenza tedesca è quasi
eminentemente economica e finanziaria e si basa su un surplus
commerciale ottenuto a spese di corrispondenti deficit di alcuni suoi
partner e sul riciclo di molta parte del surplus finanziario in
posizioni di investimento o speculative in quei Paesi partner. Ciò
detto, lo scopo della Germania sarà evitare l’indebolimento
dell’Euro e al contempo difendere le proprie posizione di
vantaggio. Un obiettivo che sembra intrinsecamente contraddittorio e
in buona misura lo è. Ciò indurrà la Germania a spingere la UE e
specialmente l’Eurozona a soluzioni intermedie, di compromesso, che
non prenderanno mai il toro per tutte e due le corna, cioè T e D:
a) La nuova disciplina
fiscale europea, il Fiscal Compact e di mutualizzazione delle
difficoltà finanziarie, il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes),
permetterà una parziale monetizzazione dei debiti sovrani europei.
Ma per non penalizzare troppo la Germania in quest’opera di
soccorso, la potenza subdominante europea pretende un aumento dei
risparmi pubblici e una svalorizzazione del lavoro associato nei
Paesi aderenti. Ovvero la cosiddetta “austerity”. Come si possa
evitare in questo modo una spirale recessiva è un mistero formale.
Ma probabilmente non è un mistero sostanziale: non è escluso che si
voglia perseguire con la recessione - distribuita selettivamente nei
Paesi europei (la Grecia in ciò è un esperimento di vivisezione) -
una svalorizzazione di capitali protetta dallo scudo di un Euro
finanziariamente solido (5).
b) Un’altra
possibile manovra tedesca, ovvero l’espansione della sua domanda
interna che favorirebbe un riequilibrio commerciale europeo, potrebbe
essere intralciata dallo stesso Fiscal Compact.
c) La UE tenterà
anche misure di regolazione dei mercati finanziari. E con tutta
probabilità, anche per motivi tecnici, la testa da sbarco contro la
finanza privata sarà composta dalla magistratura (6). Ma la triade
definanziarizzazione, svalorizzazione, difesa dell’Euro si poggia
su una sola gamba, quella D (denaro). Come succede sempre in Europa. Perché
l’Euro possa fungere da protezione alla manovra a tenaglia
definanziarizzazione-svalorizzazione (unica strategia
post-finanziarizzazione di qua e di là dell’Atlantico per sperare
di far ripartire l’accumulazione capitalistica, cioè la mitica
“crescita”), la moneta unica dovrebbe ricevere un consenso
internazionale politico, perché è molto dubbio che possa mantenere
in tali condizioni quello economico.
2.
Siamo quindi di nuovo di fronte alla domanda “Chi farà le prime
mosse?”. Ovvero chi dettando i tempi detterà l’intero processo,
almeno nel club dei Paesi capitalistici vetero-termoindustriali? Il
problema dei tempi è legato a quello della potenza. L’Europa è
molto in ritardo rispetto agli Usa che possono ancora scatenare i
mercati finanziari contro l’Euro per prevenire che sotto la guida
tedesca l’Europa possa tentare di agire globalmente facendo leva su
un controllo per lo meno locale dei mercati finanziari. Il problema
dei “tempi” è giustamente sottolineato da Raffaele Sciortino che
così lo sintetizza brillantemente: Il processo di svalorizzazione è
già in corso, ed è andato più avanti negli Stati Uniti -
monetizzazione dei debiti e fallimenti di banche, svalutazione di
fondi pensione, fallimenti individuali, crollo dei prezzi delle case,
chiusura di fabbriche - dove i costi sono più facilmente scaricabili
all’interno - pur entro certi limiti pena un’esplosione sociale -
e, per le ragioni viste, all’esterno attraverso il meccanismo di
ripianare debito con moneta. Mentre è appena iniziato in Europa. Non
sarà un processo né indolore né equamente ripartito: il punto è
chi sarà costretto a bruciare più capitali degli altri cancellando
crediti inesigibili, a perdere pezzi del proprio sistema bancario e
produttivo, a rinunciare al corrispondente prelievo sui flussi di
valore, a mettere a disposizione di altri il risparmio della
popolazione (Italia: de te fabula…). Inevitabile che si apra un
ulteriore terreno di scontro tanto più se si andrà a un
abbattimento secco dei debiti pubblici. Con in più, per l’Occidente,
la difficoltà crescente sia a scaricare l’onere sul resto del
mondo sia a procedere alla svalorizzazione in un quadro di intreccio
spinto della finanza internazionale. Contestualmente, a riprova che
la finanza è “reale”, si fa fortissima la pressione non solo ad
aprire al mad money welfare, servizi e altri campi ma anche a
“liberare” il lavoro da ogni residuo vincolo per i profitti. E
voilà la ricetta della dopo… austerity (!) (Sciortino, 2012).
Scontro quindi su chi pagherà prima e di più la svalorizzazione
degli asset finanziari e di quelli reali. Uno scontro che, come
sempre, si dispiegherà a livello orizzontale intercapitalistico e a
livello verticale, di classe. Il problema centrale è come affrontare
il primo attraverso il secondo e come rafforzarsi nel secondo
utilizzando il primo. In questo scontro gli Usa giocheranno sporco
facendo leva sui Paesi europei più penalizzati. Non è escluso che
possano suscitare movimenti che fingendosi progressisti possano
essere utilizzati per raggiungere propri obiettivi (ad esempio in
funzione antitedesca). Come è già successo con le “primavere
arabe”, sarà difficile ma vitale, distinguere il grano dal loglio
e occorrerà sempre ripetersi, per non dimenticarlo, che «al
momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il
nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi
parla del nemico è lui stesso il nemico» (Bertold Brecht).
In mancanza di un’indipendenza politica europea, la
contro-strategia tedesca ha ottime possibilità di aggravare
ulteriormente la situazione dei Piigs e anche di Paesi del suo blocco
mitteleuropeo, incrementando le munizioni antitedesche e pro Usa. Per
questo i diktat tedeschi sono accettati. In parte perché comunque
un’esplosione della UE danneggerebbe le borghesie europee. In parte
perché svalorizzano il lavoro togliendogli ogni possibilità di
resistenza e capacità negoziale, obiettivo che accomuna gli intrecci
tra industria e finanza, o meglio profitto-interesse, sia
anglosassoni sia europei. E finalmente perché i governi
para-compradori del Sud europeo (ma anche di parte del blocco
mitteleuropeo, come l’Ungheria) lo considerano un passo per tenere
agganciata la Germania e poter così consegnare tutta l’Europa a
una fedeltà atlantica senza se e senza ma. Con ciò però si spinge
il quadro mondiale lontano da un multipolarismo governato da istanze
sovranazionali, come un neo-bancor, una nuova Onu, un nuovo Fmi e una
nuova Banca Mondiale.
3.
La definanziarizzazione, che comporta dunque una svalorizzazione
dell’intreccio profitto-rendita finanziaria (e non solo la
riduzione dell’interesse come parte del profitto), ovvero scioglie
come un nodo gordiano il paradosso della finanziarizzazione, richiede
quindi un attacco ai risparmi, al welfare e al lavoro. Così come lo
richiede la contromossa tedesca che di fatto pretende di ritornare
alla “condizione ottocentesca di equilibrio tra i risparmi e gli
investimenti”. Questa pretesa assurda è indice della debolezza
politica della Germania rispetto all’influenza che gli Usa
esercitano nell’intreccio internazionale dei mercati finanziari.
Questi mercati pretenderanno, come contropartita a un processo di
svalorizzazione, l’olocausto radicale del sociale. D’altra parte
è l’unico modo di limitare la dimensione della svalorizzazione del
capitale fittizio (intrecciato a quello reale) e di graduarla (7).
Siamo di nuovo ad un effetto Vajont. Ripetiamo che questa
svalorizzazione è dovuta al blocco tendenziale del circuito di
appropriazione del valore prodotto globalmente, che a sua volta è
causato dal push-out dei Brics che è un elemento della contraddizione pushmipullyu. Tutto ciò, dunque, non spinge verso un
nuovo governo condiviso del mondo, ma verso una nuova
compartimentalizzazione del sistema-mondo, produttiva, valutaria,
finanziaria e geopolitica. Le difficoltà dell’Euro sono segno che
la rincorsa europea alla finanziarizzazione che abbiamo descritto nel
Capitolo II.5 non ha pagato a causa non dei fattori economici, che
invece erano tutti a suo favore, ma delle condizioni di
subordinazione politica in cui questa corsa si svolgeva. In questo
quadro, pensare ad effetti strategicamente positivi di una
combinazione di eurobond-deficit spending è un azzardo intellettuale
duale a quello di chi pensa a ritorni neo-keynesiani protezionistici
alle monete sovrane. Gli eurobond sono concepiti: a) come una
garanzia ai creditori internazionali pagata anche dai lavoratori
tedeschi oltre che da quelli della periferia europea; b) come una
garanzia a settori molto politicizzati delle borghesie
imprenditoriali europee che hanno la possibilità di intervenire nei
grandi progetti di spesa pubblica, come da noi la Tav o il Ponte
sullo Stretto.
Alla luce di queste
ipotesi possiamo rileggere alcuni avvenimenti recenti. «Davanti a
Obama, lite tra Monti, Hollande e Merkel. Eurolandia si spacca sul
rischio contagio a Madrid». Questo un titolo in grande rilievo nella
sezione di economia dell’edizione di Venerdì 1° giugno 2012
dell’organo italiano del Democratic Party americano, “La
Repubblica”. Si riferiva a una videoconferenza tra Monti, Merkel,
Cameron, Hollande e il presidente statunitense. Obama attacca subito
spingendo con insistenza sull’ipotesi di Unione Bancaria europea e
per l’intervento diretto del fondo salva-stati (l’Efsf che è sul
punto di trasformarsi nel più potente Esm) nel salvataggio delle
banche spagnole. Monti e Hollande appoggiano il pressing di Obama
mentre la Merkel oppone un netto rifiuto: “La Germania è contraria
ad un intervento diretto dell’EFSF; non vogliamo che il fondo con i
soldi dei governi, spenda milioni in cambio di collaterali di banche
già cotte”. Sembra di sentire gli echi moralistici della
cosiddetta Scuola Austriaca. Monti, che pure ideologicamente è
vicino a quella scuola, la scongiura di rifletterci sopra. In cambio
l’Italia respingerà i tentativi di cambiamento dello statuto della
Bce (cioè rinuncerà a chiedere che la Bce diventi prestatore di
ultima istanza). Ma niente da fare: la partita è rimandata sotto gli
auspiciminacce di Monti: “La Germania deve riflettere profondamente
e rapidamente”.
4.
Penso che la sinistra, con poche eccezioni, a questo punto sia
difficilmente in grado di capire cosa stia veramente succedendo (per
non parlare della destra il cui più alto punto di riflessione ha
sfornato la pseudo-teoria del “signoraggio”, purtroppo sposata
anche da alcuni settori della sinistra radicale). Ma come? Non c’era
forse la “dittatura della finanza”? Monti non era un servo della
Merkel e del suo Euro-Marco? Hollande non era il simbolo del riscatto
per la crescita? La Germania non era solo un burattino subimperiale
degli Usa e l’Euro una dependance del Dollaro? Il capitalismo non è
forse uno e trino? Ma come, il socialista parakeynesiano Hollande
difende le banche sacrificando la crescita e la monetarista liberista
Merkel difende le fabbriche tedesche contro le banche mentre il suo
ministro delle Finanze dichiara addirittura di sostenere le richieste
sindacali nell’industria privata e di voler alzare motu proprio del
6% gli stipendi dei dipendenti pubblici? Ma qui non ci si capisce più
nulla! Cos’è questo mondo alla rovescia? Beh, ovviamente basta
partire con la mappa sbagliata per perdersi facilmente. E la sinistra
lo fa con metodo: anche quando ha la cartina giusta, la tiene in mano
all’incontrario. Chi vincerà? Possiamo solo avanzare delle
ipotesi. La Germania ha dalla sua solo la potenza economica. “Ma
come”, si dirà. “La potenza economica è tutto ciò che conta
nel capitalismo!”. Ecco la mappa tenuta in mano al contrario, ad
onta di Marx che avvertiva che dietro ogni fenomeno economico c’è
in realtà un fenomeno sociale.
La potenza economica
sta in Germania, in Cina, nei Brics. Ma come abbiamo già notato,
l’alta finanza non sta né a Francoforte né a Shanghai. Risiede a
New York, a poche ore di auto da Washington, sede decisionale
dell’ancora ineguagliata superpotenza militare, politica,
diplomatica e culturale degli Stati Uniti d’America. Sono queste le
leve competitive degli Usa. E le utilizzeranno per contrastare la
sfida. In che modo? Anche in questo caso possiamo solo fare delle
ipotesi. Innanzitutto con pressioni dirette di ogni tipo sulla
Germania coadiuvate dal lavoro ai fianchi di Francia, Italia e Gran
Bretagna (e di Paesi della stessa “area d’influenza tedesca”) e
tagliando possibili naturali retroterra alternativi geopolitici e
commerciali dell’Europa, impedendole che essa, e in primo luogo la
Germania, sposti i suoi interessi economici e politici verso Est. Gli
Usa lo hanno già iniziato a fare destabilizzando militarmente la
costa non europea del Mediterraneo e finanziariamente quella europea.
Con ciò hanno reso difficoltosa sia un’ipotesi di Ostpolitik
tedesca sia un’ipotesi di defezione di un’Europa del Sud da una
Europa del Nord (se non eventualmente sotto l’egida statunitense),
obbligando quindi l’Europa a rimanere unita e in preda alle proprie
contraddizioni interne che i popoli europei pagano salatamene ma che
disegnano un grande bersaglio sul pancione della Germania e della sua
politica di potenza economica solitaria. Come abbiamo già visto, il
socialista Hollande è organicamente (economia e politica estera) nel
campo statunitense. La liberista Merkel lo è disorganicamente.
Attenzione a questa inversione, perché gli imbonitori politici
europei, e quelli italiani per primi e con più sfacciataggine, la
utilizzeranno per mascherare di progressismo (antiliberismo,
neokeynesismo, ecologismo, eccetera) la scelta di campo a favore
degli Usa. La politica estera degli attori in campo chiarirà molte
cose.
5.
La Germania sa benissimo che non può spremere oltremisura ricchezza
dai partner in questo modo e di essere tra l’incudine di vedere
prosciugata la fonte europea della sua ricchezza e la
destabilizzazione dell’Euro e il martello della destabilizzazione
della situazione sociale interna. Potendo l’Italia vantare, secondo
l’Fmi, un avanzo primario record più del doppio di quello della
Germania, potrebbe fare la voce grossa con la Merkel. Ma forse, oggi,
non è nemmeno più necessario. Dietro la retorica della crescita si
cela in realtà la richiesta pressante di far stampare soldi alla
Bce, di ridar fiato ai gruppi capitalistici dominanti nei vari Paesi
e in subordine di tagliare le unghie alla Germania. Sono i necessari
requisiti alla zona di libero scambio Usa-UE su cui lavora Obama in
funzione anticinese (questa zona di libero scambio grosso modo è un
sottosistema della Nato; si è in questo caso in grado di apprezzare
con precisione le conseguenze del fatto che la Nato è
un’organizzazione economico-militare che non corrisponde ai confini
geografici europei). Ma si badi bene, il problema per gli Usa non è
quello di smussare le unghie economiche alla Germania, bensì quelle
politiche per quel tanto che sembra, o si teme, possano crescere. Ed
è fondamentale capire la differenza, per non illudersi di poter
giocare economicamente e finanziariamente una trappola contro
l’altra, la trappola Dollaro contro la trappola Euro. Sarebbe
troppo semplice, ma purtroppo non è così. La riprova è che il
lavoro politico sembra in parte già fatto, stando alla difficoltà
della Germania in politica estera (caso Siria) ad avere un
atteggiamento realmente indipendente da quello Usa. A questo punto il
piano statunitense potrebbe utilizzare in parte il diktat tedesco
all’Europa, cosa che spingerebbe a considerare seriamente la
necessità di politiche di scissione regionali (o addirittura
nazionali, pur con tutte le maggiori difficoltà e quindi come ultima
ratio). Ristabilita la priorità della dimensione politica, rimane
comunque da vedere se strumenti neokeynesiani possano rilanciare la
redditività privata in Occidente (a parte alcuni settori ad alto
valore aggiunto e ad alto contenuto innovativo, ad esempio quelli
legati, direttamente o indirettamente, al settore militare, ed
eventualmente le grandi opere infrastrutturali), in presenza di un
tasso di profitto delle attività industriali strutturalmente basso.
La “crescita” sarà al dunque un rallentamento di un processo di
collasso del ciclo sistemico uscente e ormai privo delle sue
condizioni originarie, anche nel caso gli Usa fossero in grado di
mantenere la leadership mondiale. Ovviamente potranno esserci punte
reali di sviluppo, ma locali sia in termini temporali sia spaziali.
Penso che nemmeno gli strateghi globali credano davvero di poter
rilanciare in Occidente un altro ciclo di espansione materiale simile
a quello del “ventennio d’oro” del dopoguerra. E’ al più il
solito modo di girare attorno al problema. Ma in pubblico devono dire
altro. Un “altro” che va sotto il termine onnicomprensivo “misure
per la crescita”. Così la coppia “Crescita
(Keynesiana)-Rilassamento del monetarismo e dell’austerità”, che
per brevità chiamerò CK-RA, caratterizzerà lo spettacolo politico
nel nostro immediato futuro, in dipendenza delle posizioni relative
nel sistema di potere mondiale. Siamo nel campo di giustificate
congetture, non di certezze. Tanto più che la crisi finanziaria
rende la CK-RA una strategia tutta in salita (potrebbe essere
agevolata da uno “schianto” in punti nevralgici
politico-economici del sistema).
6. Nei Paesi termocapitalistici occidentali assisteremo così a dichiarazioni altalenanti di richiamo al rigore e di necessità di crescita. Apparirà di fatto come una politica (fatta a dichiarazioni) mezza di destra e mezza di sinistra, intendendo con “sinistra” un vago rimando al passato “keynesiano”. Questo è un punto di confusione che eserciterà attrazione sulle persone indecise, nostalgiche o lontane dall’analisi critica. Il CK-RA può essere un ombrello abbastanza grande. Riparerà chi vede la semplice possibilità di far partire opere pubbliche, chi quella di far ripartire il credito, chi insisterà sul lato redistributivo, chi sulla possibilità di lotta alla disoccupazione. L’ex sinistra e la coscienza critica dell’ex sinistra, le formazioni che vogliono rifondare la sinistra pungolando la coscienza critica dell’ex sinistra, e via così in una catena di attrazioni successive. Ma non sarà un’esclusiva delle sinistre. Il CK-RA potrebbe causare delusioni immediate od ottenere brevi successi parziali. Dovrebbe risolvere un sacco di problemi tra loro connessi:
a) Vincere la feroce
ostilità dei partner. Vincere il sicuro opportunismo imperialistico
degli Usa, e rinegoziare una divisione internazionale del lavoro.
b) Vincere l’ostilità
del mercato finanziario, che già è nelle pesti e lo sarà di più
se i Paesi si metteranno a stampare moneta
per conto loro.
c) Impedire che il rilancio in un settore attragga troppi capitali in cerca di remunerazione (e ad affollarsi ce ne sarebbero a trilionate).
per conto loro.
c) Impedire che il rilancio in un settore attragga troppi capitali in cerca di remunerazione (e ad affollarsi ce ne sarebbero a trilionate).
d) Impedire in un
mercato controllato da grandissimi attori che la crescita della
domanda aggregata in un settore finisca per avvantaggiare i
produttori esteri.
e) Impedire che la
crescita della domanda aggregata finisca per ridurre l’esercito
industriale di riserva in misura tale che i salari ricrescano troppo.
f) Trovare settori
nuovi che rilancino la domanda aggregata.
Tuttavia la doppia
contraddizione pushmi-pullyu che sopra abbiamo tratteggiato ha
iniziato a operare nel vivo, divenendo oggetto diretto di scelte
politiche. Le forze emancipatrici devono quindi incunearsi in questa
contraddizione che costituisce una delle poche possibilità che si
vedono all’orizzonte di divisione e indebolimento dell’avversario
(l’altra essendo una, improbabile ma non da escludere, guerra
mondiale). Ma incunearsi non vuol dire parteggiare per una delle
sezioni che si stanno separando. Così come il repubblicano Nixon
poté asserire “Adesso siamo tutti keynesiani”, oggi i partiti
del capitale, di destra e di sinistra, potrebbero prendere la strada
della deglobalizzazione/definanziarizzazione associandola a un
ordoliberismo con commistioni keynesiane ove necessario. La
differenza sarà tra chi è più sensibile alle compatibilità
imperiali e chi meno. Le differenze politiche sfumeranno ancora di
più e ciò porterà a forme più organiche di Grosse Koalition o di
maggioranze artificiali dovute alle alchimie di riforme istituzionali
antidemocratiche. I latori del CK-RA lavoreranno per se stessi e per
terze parti, ma non per noi. Se avessimo la corda di Lenin li
potremmo sostenere come si sostiene l’impiccato. Ma per ora abbiamo
trovato con fatica solo qualche scampolo di filo per cucire. Come
incunearsi è tutto da capire e non può essere discusso qui.
Tuttavia le iniziative di lotta non potranno più basarsi sulla
ripetizione della denuncia del “governo della Bce e dei banchieri”,
che sarà un’arma spuntata. Si tratterà invece di strappare agli
avversari il governo di questa fase, del terzo atto della crisi (dopo
l’inconvertibilità del Dollaro in oro e la globalizzazione
finanziarizzata), per trasformarlo in un piano di transizione.
7.
Ancora una volta le relazioni internazionali saranno decisive. Ciò è
un guaio in un Paese poco abituato a spingere lo sguardo analitico al
di là dei confini. Ma la verità è che lo sconquasso di cui siamo
testimoni è incapibile in una dimensione nazionale. Solo
considerando un sistema a più attori internazionali si comprende che
è il passaggio dallo sbilanciamento unipolare al riequilibrio
multipolare a esigere la riconduzione violenta del sistema dalle
(smisurate) leve finanziarie “a priori” al risparmio effettivo “a
priori”. Essendo il credito un’anticipazione della ricchezza
prodotta, è infatti più che lecito che qualche attore impertinente
(e sufficientemente potente) voglia vedere o minacci di voler vedere
i libri contabili reali. Così però si ricade non in Keynes e
nemmeno tra gli Austriaci: se adottiamo un modello chiuso, si torna
proprio nell’ottocentesca “pretesa” marxiana di equilibrio tra
investimento e risparmio, mentre se adottiamo un modello aperto
arriviamo alla richiesta di equilibrio tra gli investimenti e la
ricchezza accumulata, accumulabile e appropriabile. I fattori e le
dinamiche operanti sono dunque molteplici, ereditati o nuovi, ed è
la loro interazione o la loro interferenza reciproca che generano un
risultato o l’altro per cui sono tutti da tenere in conto nel
prospettare percorsi politici. Anche nella crisi tutto si tiene:
paradossalmente anche le contraddizioni. Così che se se ne risolve
una con buona probabilità se ne amplifica un’altra, come in una
vecchia casa dove se si mette a posto un mattone ne viene giù un
altro. Occorre un progetto complessivo. Con il “metodo delle
aggiunzioni” abbiamo appunto voluto suggerire che fin dall’inizio
è necessaria una visione sistemica e non settoriale.
note
1)
Il rapporto tra potere finanziario (D) e potere politico (T) è uno dei centri del discorso analitico di Pagliai. Ecco alcune citazioni dalla Parte Prima: “…il rapporto di separazione/scambio tra Potere del Denaro, ovvero il complesso economico e finanziario, che indichiamo con D, e Potere del Territorio, ovverosia il complesso istituzionale, politico, diplomatico, militare e ideologico, che indichiamo con T, come un rapporto di aggiunzione…” (pag.18 )
Situazione in cui un soggetto in bancarotta, o vicino alla bancarotta, riceve u'iniezione di liquidità, al fine di soddisfare i suoi obblighi a breve termine.(nota di Ubu)
3)
I T-Bill sono obbligazioni statali, analoghe ai BOT italiani, che vengono comprate ad un prezzo scontato dal prezzo pagabile alla scadenza. (nota di Ubu)
4)
I ricchi shopping che la Germania e altri attori possono contare di fare sull’onda di questa svalorizzazione e della sua posizione di preminenza sono da questo punto di vista, semplic business as usual.
6)
Sarà una battaglia condotta inizialmente a colpi di carta bollata, di rinvii a giudizio e sentenze. E sicuramente di nuove leggi. In questo modo il processo procederà selezionando gli obiettivi e i tempi, assecondando modulazioni politiche e capendo via via le reazioni che provoca, le contromosse. La gestione dell’Euribor è già entrata nelle mire dei magistrati scandali come quello dell’italiana banca Montepaschi sono destinati a ripetersi. Quando a una cena riservata a Londra il ministro Grilli annunciò, o minacciò, una supervisione della Troika, cioè dell’alta finanza intergovernativa, sui programmi di austerity in Italia, il primo a inalberarsi fu Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, l’Associazione Banche Italiane. E’ vero che l’inchiesta su Montepaschi lo ha travolto, così che si capisce che la sua levata di scudi era dettata anche da un interesse personale, tuttavia l’episodio sembra annunciare che tra alta finanza pubblica e alta finanza privata inizia ad aprirsi una divergenza d’interessi. Il presidente statunitense Obama denuncia le agenzie di rating per la crisi dei subprime. Infine fa capolino il progetto di agenzie di rating europee e cinesi, che indicano che la definanziarizzazione non può non accompagnarsi a forme di regionalizzazione e di concorrenza per il controllo dei mercati finanziari.
7)
Gli aiuti ai Piigs, notabilmente quelli alla Grecia, sono di fatto aiuti innanzitutto alle banche tedesche.
Un animale immaginario con due teste alle estremità opposte del suo corpo. In The Story of Doctor Dolittle di Hugh Lofting (nota di Ubu)
5)I ricchi shopping che la Germania e altri attori possono contare di fare sull’onda di questa svalorizzazione e della sua posizione di preminenza sono da questo punto di vista, semplic business as usual.
6)
Sarà una battaglia condotta inizialmente a colpi di carta bollata, di rinvii a giudizio e sentenze. E sicuramente di nuove leggi. In questo modo il processo procederà selezionando gli obiettivi e i tempi, assecondando modulazioni politiche e capendo via via le reazioni che provoca, le contromosse. La gestione dell’Euribor è già entrata nelle mire dei magistrati scandali come quello dell’italiana banca Montepaschi sono destinati a ripetersi. Quando a una cena riservata a Londra il ministro Grilli annunciò, o minacciò, una supervisione della Troika, cioè dell’alta finanza intergovernativa, sui programmi di austerity in Italia, il primo a inalberarsi fu Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, l’Associazione Banche Italiane. E’ vero che l’inchiesta su Montepaschi lo ha travolto, così che si capisce che la sua levata di scudi era dettata anche da un interesse personale, tuttavia l’episodio sembra annunciare che tra alta finanza pubblica e alta finanza privata inizia ad aprirsi una divergenza d’interessi. Il presidente statunitense Obama denuncia le agenzie di rating per la crisi dei subprime. Infine fa capolino il progetto di agenzie di rating europee e cinesi, che indicano che la definanziarizzazione non può non accompagnarsi a forme di regionalizzazione e di concorrenza per il controllo dei mercati finanziari.
7)
Gli aiuti ai Piigs, notabilmente quelli alla Grecia, sono di fatto aiuti innanzitutto alle banche tedesche.
ps I dipinti sono di Angelica Kauffmann
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