uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

martedì 22 agosto 2017

Demonico (Giorgio Agamben*)




Otto Adolf Eichmann


È noto con quanto accanimento una ricorrente tendenza
ereticale avanza l’esigenza della salvazione finale di Satana.
Sul mondo di Walser il sipario si alza quando anche l'ultimo
demone del Gehinnom è stato riportato in cielo, quando il
processo della storia della salvezza si è concluso senza residui.

È stupefacente che i due scrittori che, nel nostro secolo,
hanno osservato con più lucidità l’orrore incomparabile che li
circondava - Kafka e Walser - ci presentino un mondo da cui il
male nella sua suprema espressione tradizionale - il demonico -
è scomparso. 
Klamm il Conte né i cancellieri e i giudici
kafkiani, e tanto meno le creature di Walser, malgrado la loro
ambiguità, potrebbero mai figurare in un catalogo
demonologico.

 Se qualcosa come un elemento demonico
sopravvive nel mondo di questi due autori, ciò è piuttosto nella
forma che poteva avere in mente Spinoza, quando scriveva che
il demonio è solo la più debole e la più remota da Dio delle
creature e, come tale - in quanto, cioè, è essenzialmente
impotenza - non soltanto non può fare alcun male, ma è, anzi,
quella che ha più bisogno del nostro aiuto e delle nostre
preghiere. 

Esso è, in ogni essere che è, la possibilità di non
essere che silenziosamente implora il nostro soccorso (o, se si
vuole, il demonio non è che l’impotenza divina o la potenza di
non essere in Dio). Il male è unicamente la nostra inadeguata
reazione di fronte a questo elemento demonico, il nostro ritrarci impauriti davanti a lui per esercitare - fondandoci in
questa fuga - un qualche potere di essere. 


Solo in questo senso
secondario l'impotenza o potenza di non essere è la radice del
male. Fuggendo davanti alla nostra stessa impotenza, ovvero
cercando di servirci di essa come di un’arma, costruiamo il
maligno potere col quale opprimiamo coloro che ci mostrano la
loro debolezza; e mancando alla nostra intima possibilità di
non essere, decadiamo da ciò che soltanto rende possibile
l’amore. 

La creazione - o resistenza - non è, infatti, la lotta
vittoriosa di una potenza di essere contro una potenza di non
essere; è, piuttosto, l'impotenza di Dio di fronte alla sua stessa
impotenza, il suo, potendo non non-essere, lasciar essere una
contingenza. Ovvero: la nascita in Dio dell’amore.


Per questo non è tanto l’innocenza naturale delle creature
che Kafka e Walser fanno valere contro l’onnipotenza divina,
quanto quella della tentazione. Il loro demonico non è un
tentatore, ma un essere infinitamente suscettibile di essere
tentato.

Eichmann, cioè un uomo assolutamente banale, che è
stato tentato al male proprio dalle potenze del diritto e della
legge, è la terribile conferma con cui il nostro tempo si è
vendicato della loro diagnosi.










http://www.storie.it/letteratura/robert-walser-cose-il-nichilismo-lieve-dello-scrittore-dei-microgrammi-amato-da-kafka-musil-e-walter-benjamin/


* Tratto da "La Comunità che Viene". Bollati - Boringhieri, 2001.









mercoledì 9 agosto 2017

Confessioni di un teppista ( Sergej Aleksandrovič Esenin)



Isadora Duncan e Sergej Esenin





Da ragazzo mi innamoravo di tutto, anche delle zanzare (De Andrè), ma mi innamoravo soprattutto delle poesie. Tra le tante, ricordo, questa mi appassionò tantissimo. Lo spirito ribelle e ardito dell'adolescenza si univa a immagini vivide di una terra, di una natura magica e sconfinata in cui gli alberi, gli stagni, e ciascun altro elemento della natura possedeva un'anima.

Ma in essa sentivo soprattutto il respiro profondo degli uomini che nella Grande Madre Russia coltivavano la terra con gesti e ritmi millenari. Certo allora il sapore aspro e dolce del testo si nutriva molto del mio giovane idealismo, che ora è scomparso. Ma naturalmente il ricordo permane e con esso il piacere della lettura di un testo leggendario.




Sergej Esenin 1921



Non tutti son capaci di cantare e non a tutti è dato di cadere come una mela, verso i piedi altrui.

E’ questa la più grande confessione che mai teppista possa confidarvi.

Io porto di mia voglia spettinata la testa, lume a petrolio sopra le mie spalle. Mi piace nella tenebra schiarire lo spoglio autunno delle anime vostre; e piace a me che mi volino contro i sassi dell’ingiuria, grandine di eruttante temporale. Solo più forte stringo fra le mani l’ondulata mia bolla di capelli.

E’ benefico allora ricordare il rauco ontano e l’erbeggiante stagno, e che mi vivono da qualche parte padre e madre, infischiandosi del tutto dei miei versi, e che loro son caro come il campo e la carne, e quella pioggia finache a primavera fa morbido il grano verde. Per ogni grido che voi mi scagliate coi forconi verrebbero a scannarvi. Poveri, poveri miei contadini! Certo non siete diventati belli, e Iddio temete e degli acquitrini le viscere. Capiste almeno che vostro figlio in Russia è fra i poeti il più grande! Non si gelava il cuore a voi per lui, scalzo nelle pozzanghere d’autunno? Adesso va girando egli il cilindro e portando le scarpe di vernice.

Ma vive in lui la primigenia impronta del monello campagnolo. Ad ogni mucca effigiata sopra le insegne di macelleria si inchina da lontano. Ed incontrando in piazza i vetturini ricorda l’odore del letame sui campi, pronto, come uno strascico nuziale, a reggere la coda dei cavalli.

Amo la patria. Amo molto la patria! Pur con la sua tristezza di rugginoso salice. Mi son gradevoli i grugni insudiciati dei porci, e nel silenzio notturno l’argentina voce dei rospi. Teneramente malato di memorie infantili sogno la nebbia e l’umido delle sere d’aprile. Come a scaldarsi al rogo dell’aurora s’è accoccolato l’acero nostro. Ah, salendone i rami quante uova ho rubato dai nidi alle cornacchie! E’ sempre uguale, con la verde cima? E’ come un tempo forte la corteccia?

E tu, diletto, fedele cane pezzato! Stridulo e cieco t’hanno fatto gli anni, e trascinando vai per il cortile la coda penzolante, col fiuto immemore di porte e stalla. Come grata ritorna quella birichinata:quando il tozzo di pane rubacchiatoalla mia mamma, mordevamo a turnosenza ribrezzo alcun l’uno dell’altro.

Sono rimasto lo stesso, con tutto il cuore. Fioriscono gli occhi in viso simili a fiordalisi fra la segala. Stuoie d’oro di versi srotolando, vorrei parlare a voi teneramente.

Buona notte! Buona notte a voi tutti! La falce dell’aurora ha già tinnito fra l’erba del crepuscolo. Voglio stanotte pisciare a dirotto dalla finestra mia sopra la luna!

Azzurra luce, luce così azzurra! In tanto azzurro anche morir non duole. E non mi importa di sembrare un cinico con la lanterna attaccata al sedere! Mio vecchio, buono ed estenuato Pegaso, mi serve proprio il tuo morbido trotto? Io, severo maestro, son venuto a celebrare i topi ed a cantarli. L’agosto del mio capo si versa quale vino di capelli in tempesta.

Ho voglia d’essere la vela gialla verso il paese cui per mare andiamo.



Jeanne Hebuterne




(trad. di G.P. Samonà)








venerdì 4 agosto 2017

Nostalgie del futuro. Rock progressivo e avanguardia


Luigi Nono

Vacanze. (non in Brianza)


O dell'infuocato delirio.

E' un'estate particolarmente calda.

Quarantaduesimo parallelo (a circa 42 gradi centigradi).
A breve ci sarà un avvicinamento all'equatore con effetti prevedibili...o forse no.

Valutando gli effetti si può giungere alla conclusione che qualche errore sia stato da noi commesso (o colpa su di noi ricada). Il riscaldamento globale risponde ad ambedue le ipotesi.

Devo constatare che molti non aprezzano il pur faticoso lavoro di copiaincolla che qui spesso si svolge nell'ebbrezza del caldo! E il preventivo e necessario lavoro di scelta e scarto delle frattaglie dove lo collochiamo? E, nello specifico, la relativa refrattarietà di chi scrive verso le forme più canoniche di una musica (il progressive), la vogliamo considerare indolore? Ammalarsi o immolarsi per un fresco ideale di libertà non giova! No. Ma doverosamente disperdendosi nelle abbacinanti chimere estive:

(Simone (platonico sviluppatore), a rischio delle orecchie, si avvicina, sabota  e non sviluppa uno iota, Piero pugliese "gourmet" declama di cucina, si spera non oltre l'ora del the, Giuseppina è sublime nella sua  cucina, Chiara  studia ma l'amore non ripudia, e le placide sorelle "Con gli occhi chiusi"... a rimirar le stelle.)


Nulla di tutto ciò riguarda il post che segue, se non che sto penosamente delirando con un tablet, a vostro rischio e pericolo. O no? Fuoco comunque, udite!
 "sopra a lu foche l'acqua vullite"!






Gianmario Borio, Serena Facci



Il rapporto che i musicisti del progressive rock instaurarono con la musica d’arte riguarda due momenti storici distinti: sul piano del materiale essi attingono ai repertori della musica barocca, classica, romantica e in modo selettivo al XX secolo (Bartók, Weill, Sibelius, Holst, Bernstein); nell’impiego creativo delle tecnologie fanno invece tesoro delle recenti esperienze della musica elettronica. Il riferimento retrospettivo può avvenire nella forma di rielaborazione di brani, per esempio l’intermezzo della Karelia Suite di Sibelius e del Sesto Concerto Brandeburghese di Bach in Ars longa, vita brevis dei Nice o di una sezione del terzo movimento della Quarta Sinfonia di Brahms in Fragile degli Yes





Oltre alle citazioni si riscontra tutta una ridda di riferimenti alle sonorità cameristiche e orchestrali nonché l’organizzazione formale di brevi brani in suites che ricordano quelle della musica strumentale barocca. Infine, l’impiego di alcune tastiere (Mellotron e Moog in particolare) consentono la realizzazione di un impasto timbrico denso il cui prototipo è l’apparato sinfonico del tardo Ottocento. 

Il secondo aspetto, quello dell’adozione di sonorità elettroniche, rappresenta un legame molto più profondo e complesso. I compositori attivi negli studi di musica elettronica (a Parigi, Colonia e Milano) lavoravano soprattutto in due ambiti: la produzione di nuovi suoni mediante generatori e la manipolazione di sonorità preesistenti (strumentali o vocali) grazie a procedure come filtraggi, trasposizioni, accelerazione, sovrapposizioni e montaggi.




Gesang der Jünglinge e Kontakte di Karlheinz Stockhausen, Thema - Omaggio a Joyce e Visage di Luciano Berio, Aria (with Fontana Mix) di John Cage e La fabbrica illuminata Luigi Nono sono opere paradigmatiche per il secondo ambito; esse aprirono le porte a una dimensione ampia composta di suoni naturali e artificiali che può essere definita come spazio elettroacustico. I casi in cui l’interazione tra uno strumentista o cantante e i suoni immagazzinati su nastro avviene durante l’esecuzione dal vivo mostrano notevoli momenti di tangenza con le esibizioni dei gruppi rock. In un saggio che si riferisce soprattutto ai Beatles, ai Grateful Dead e ai Mothers of Invention, Luciano Berio ha notato questa convergenza:
“Col suono elettronicamente manipolato del rock si ha una situazione abbastanza simile a quella della musica elettronica: se la fedeltà della riproduzione è sacrificata, il contenuto della registrazione ne soffre sproporzionatamente perché quello che si perde non può essere compensato dall’ascoltatore ed è, appunto, irrimediabilmente perduto. Avviene così che sia il rock che la musica elettronica – tutt’e due creature della radio e del suo macchinario di massa – siano paradossalmente incompatibili coi mezzi di diffusione che ne hanno provocato lo sviluppo. […] Microfoni, amplificatori, altoparlanti diventano quindi non solo una estensione delle voci e degli strumenti ma diventano strumenti essi stessi, sopraffacendo talvolta le qualità acustiche originali delle sorgenti sonore. Uno degli aspetti più seducenti dello stile vocale rock è, infatti, che non ne esiste alcuno. Le voci degli esecutori sono ingigantite in tutta la loro naturalità e tipicità, istituendo con gli stili di canto formalizzati lo stesso tipo di relazione che, in un film, il primissimo piano di un viso istituisce con un ritratto classico.” (Berio, 1967)

I contatti tra i compositori di avanguardia e i rappresentanti dell’underground londinese furono sporadici ma indicativi per la presenza di un territorio comune. Berio tenne una conferenza presso l’Istituto Italiano di Londra nel 1965, presentando le sue opere per nastro e discutendo il suo trattamento della voce. Stockhausen e Cage vengono spesso menzionati come punti di riferimento da musicisti rock. Il gruppo di improvvisazione AMM, di cui faceva parte Cornelius Cardew, compositore che aveva frequentato gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt ed era stato assistente di Stockhausen, si esibiva in locali e festival in cui si potevano ascoltare i Pink Floyd e i Soft Machine; il produttore del primo disco di questo gruppo, Peter Jenner, era anche il manager dei Pink Floyd


Nell’ampia compagine musicale della capitale britannica si incontrano spesso figure di confine che svolgevano un importante ruolo di mediazione per stili e tecniche: Eddi Prévost, Keith Tippett, John Surman e Brian Eno sono i nomi più noti. Tra i gruppi in cui si integravano diverse esperienze musicali va ricordata la Music Improvisation Company (Derek Bailey, Evan Parker, Jamie Muir e Hugh Davis). Significativa è anche la breve esperienza del gruppo Whole World, che si formò nel 1970 dall’incontro tra Kevin Ayers (ex Soft Machine), David Bedford (che aveva studiato composizione con Lennox Berkeley e Luigi Nono), il sassofonista jazz Lol Coxhill e il chitarrista rock Mike Olfield

La commistione di stili e culture musicali è ben rappresentata dal festival che si tenne ad Amougies (Belgio) nei giorni 24-27 ottobre 1969, che radunava i maggiori rappresentanti del progressive rock e della musica sperimentale di frontiera: Pink Floyd, Renaissance, Nice, Caravan, Yes, East of Eden, Soft Machine, Gong, Captain Beefheart, Frank Zappa, Keith Tippett,  Art Ensemble of Chicago, Don Cherry, Archie Shepp, Antony Braxton, Steve Lacy, Robin Keniatta, John Surman, Musica Elettronica Viva e molti altri.





Terry Riley è stato sicuramente il compositore che più direttamente ha influenzato il progressive rock. Daevid Allen, uno dei capostipiti della cosiddetta “scuola di Canterbury” ebbe intensi scambi con lui durante il suo soggiorno a Parigi a metà degli anni Sessanta; con Riley sperimentò diverse tecniche di loop. Il legame con il compositore californiano emerge con particolare evidenza nel concerto che si tenne il 13 agosto 1970 alla Royal Albert Hall: un quintetto di tastieristi di diversa provenienza (Tim Souster, Andrew Powell, Roger Smalley, Mike Ratledge, Robin Thompson) propose un’interpretazione dei Keyboard Studies di Riley; dopo di che la BBC Symphony Orchestra eseguì la composizione Triple Music II di Souster e il gruppo Soft Machine presentò Out-Bloody-Rageous, Facelift e Esther’s Nose Job. Il primo di questi pezzi si apre con un nastro magnetico, su cui è registrato un pezzo per solo organo basato su ripetizioni figurali nello stile di Riley, che viene fatto scorrere a ritroso. Nei gruppi rock il loop, come ogni altra tecnica, tende a essere semantizzato, cioè ad accogliere in sé significati che non gli appartenevano in origine.


Henri Pousseur, che in Votre Faust impiegò un’elaborazione della canzone We shall overcome, si è soffermato sui risvolti politici dei “suoni selvaggi” che vengono prodotti nelle improvvisazioni con live electronics. L’estetica “informale”, che sostiene l’operato di gruppi di compositori-improvvisatori come Musica Elettronica Viva e Sonic Art Group, considera ritmi e sviluppi periodici, figure riconoscibili e il “bel suono” come rappresentanti di una cultura esclusivista e usurpatrice. Proprio questo uso critico di materiale non addomesticato lascia trasparire una profonda differenza con la produzione della popular music,


“i cui elementi mobili di profondità non sono diversi, ma che (alla stregua di quasi tutto il jazz) cerca in certe articolazioni ereditate, per quanto esse possa essere residue, degradate e impoverite (talvolta sono invece arricchite in una maniera nuova, in qualche modo laterale), i mezzi di comunicare appelli alla rivolta o perlomeno espressioni di distanziamento” (Pousseur, 1970). 

L’individuazione di questo legame, esplicito e ricercato, con la critica alle istituzioni induce Pousseur a tracciare una linea di demarcazione tra questa “arte popolare di contestazione” e la musica di intrattenimento; nell’esibizione della corporeità del suono, nell’impatto immediato e fisiologico di sonorità aspre e irritanti, egli individua l’indice di una prossimità con la musica elaborata elettronicamente dal vivo dei gruppi di improvvisazione totale.

L’interesse che i compositori di formazione tradizionale mostrarono per la musica rock attorno al 1968 ha a che fare con una questione ereditata dall’estetica romantica: quella di trovare un equilibrio tra innovazione e comunicazione. Tale questione assume ora una portata dirompente a causa del convergere di diverse tendenze: la crescente importanza che i concetti di popolo e massa hanno assunto nella vita sociale; la tendenza all’espansione planetaria dell’industria discografica (che trascina con sé anche sfere fino ad allora considerate antitetiche al mercato); la graduale perdita di normatività del repertorio classico-romantico. La musica d’arte della tradizione occidentale sembra fallire proprio nel suo mandato di diventare lingua universale; il suo posto viene occupato gradualmente dal rock, un genere che è intimamente legato ai media elettronici (disco, radio, televisione). In questo nuovo ambito creativo si crea lo spazio per una convergenza tra istanze sperimentali e orientamento popolare. 



La sintesi culturale che sta all’origine del rock crea le premesse per ridefinire rapporti che negli stessi decenni cominciavano a mostrare un lato problematico: quello tra scrittura e oralità, mente e corpo, esecuzione e improvvisazione, suono e rumore. Il rock propone un modello di comunicazione musicale in cui l’impiego di sonorità grezze e l’avanzamento della dimensione gestuale non sfociano in un linguaggio ermetico, ma permettono di raggiungere un pubblico vasto, socialmente disomogeneo e culturalmente non più classificabile. 

Probabilmente sono queste caratteristiche che attiravano l’attenzione di Dieter Schnebel, quando, rispondendo a una domanda di Hansjörg Pauli, dichiarò:

“Ciò che mi interessa in modo particolare è che la musica pop richiede quello stesso ascolto dissociativo [un ascolto che si concentra sulle azioni del produrre suoni]. Questa musica ha davvero raggiunto la coscienza di amplissimi strati sociali. Ma se si ascoltano la nuova musica e la musica pop con le stesse orecchie, si scopre – il mio ragionamento parte dal nostro versante, cioè dalla nuova musica – che attualmente attraverso la musica pop rientrano alcuni aspetti che sono stati introdotti dalla nuova musica; in quell’ambito ci sono pezzi che suonano come se fossero passati per l’esperienza di Cage” (Schnebel, 1972).

Sebbene l’interesse per le nuove tecnologie rappresenti – come notava Berio - un terreno comune per i compositori che operano nel quadro delle istituzioni tradizionali e i compositori-esecutori del progressive rock, questi ultimi sfruttarono a tutto campo la varietà di opzioni offerta dai mezzi elettronici. Si possono infatti individuare almeno tre campi in cui la creazione musicale si interseca con la tecnologia: 


1. Lo studio di registrazione come strumento aggiuntivo per la messa a punto dei pezzi; 

2. L’uso di strumenti elettrici e dispositivi di trasformazione del suono durante il concerto; 

3. L’impiego di luci e proiezioni durante il concerto.


Sul primo punto si soffermano i contributi di Rizzardi e Camilleri pubblicati su questo sito. Il secondo punto riguarda la particolare “orchestrazione” che contribuisce a definire l’identità stilistica di ciascun gruppo e talvolta contraddistingue determinati brani. In tale contesto l’uso creativo delle tecnologie si intreccia con una questione tipicamente compositiva, quella dell’organizzazione dei timbri. La preoccupazione per la buona riuscita dell’impasto timbrico, che è dimostrata dall’accurato lavoro di tutti i gruppi presi qui in esame, non può essere spiegata come conseguenza di una strategia di mercato. 





In tutti i casi l’organico devia da quello tipico dei gruppi skiffle, beat, blues e rock and roll inglesi (due chitarre, una solista e l’altra ritmica, basso elettrico e batteria) innanzitutto per la rilevanza delle tastiere. Esse definiscono in modo specifico la sonorità del progressive rock, rappresentando al contempo un marcatore culturale: nel mondo occidentale il pianoforte è uno dei requisiti dell’appartamento borghese, è lo strumento base della didattica del Conservatorio ed è il mezzo più adatto a un unico musicista per abbozzare o “leggere” brani orchestrali.

Il suo parente prossimo, l’organo, è un altro mezzo favorito di trasmissione del sapere e della pratica musicale, essendo presente in ogni chiesa. A questo si aggiunge il fatto che la Gran Bretagna ebbe negli anni Sessanta scuole pianistiche di altissimo rilievo e ciò ebbe certamente ripercussioni anche al di fuori delle accademie. Nei gruppi che abbiamo preso in considerazione, l’organista o il pianista alterna diversi strumenti elettrici (in alcuni casi anche il pianoforte acustico) che contribuiscono in modo decisivo a produrre la sonorità densa e multicolore che li caratterizza. La scelta e la combinazione degli strumenti a tastiera è un fattore determinante per la fisionomia di ognuno di questi musicisti; a ciò si aggiunge lo stile esecutivo, che è sempre inconfondibile in quanto sviluppatosi da un’esperienza mista, da un itinerario personale di apprendimento.

Nel gruppo ELP, Keith Emerson suona come solista in una formazione di tre elementi, nella quale può esibire la sua rapidità e la sua inventiva in a soli che svolgono una funzione analoga a quelli del jazz, cioè seguono a una sezione tematica a mo’ di variazione; a seconda del carattere dei pezzi, Emerson usa l’organo Hammond, il sintetizzatore Moog e il pianoforte acustico. Mike Ratledge dei Soft Machine adopera un organo Lowrey Holiday Deluxe, a cui aggiunge nel 1969 un Hohner Pianet che a sua volta viene sostituito nel 1971 da un Fender Rhodes (lo stesso che utilizza Ian Hammer nel gruppo di Miles Davis) con un’unità Echoplex




Talvolta Ratledge applica un Shaftesbury Duo-fuzz al Lowrey, al fine di c6reare un timbro e un’incisività simile a quelli della chitarra elettrica, nonché altri dispositivi di trasformazione timbrica come il wha wha. Le caratteristiche dell’organo Lowrey condizionarono il suo stile esecutivo per blocchi sonori collegati senza pause, gli a soli, che spesso servono da collegamento tra due sezioni composte, si ispirano ai decorsi cromatici di Thelonius Monk e Cecil Taylor. Kerry Minnear dei Gentle Giant opera generalmente su tre gruppi di tastiere: un organo Hammond, un Hohner Clavinet 506 e un Moog; il suono del Clavinet è particolarmente adatto a uno stile contrappuntistico che necessita di chiarezza timbrica e precisione ritmica. 

Il tastierista dei Van der Graaf Generator, Hugh Banton, impiega un organo Hammond e un piano Farfisa Professional; diverse apparecchiature per la trasformazione del suono (phasing, eco, distorsioni e overdrive) gli permettevano di creare amalgami inediti con i sassofoni, la voce di Peter Hammill e le successioni accordali che quest’ultimo eseguiva sull’Hohner Pianet; l’equilibro timbrico del gruppo è comunque peculiare in quanto, a partire da Pawn Hearts è assente il basso elettrico. Sul piano storico, sebbene abbia tratti idiomatici completamente diversi, l’espansione timbrica del pianoforte che ha luogo nelle tastiere elettroniche dei gruppi progressive può essere interpretata come fenomeno parallelo alla trasformazione del pianoforte acustico che nei circoli dell’avanguardia era stata introdotta da John Cage e che veniva coltivata dalla “nuova scuola pianistica inglese”, da John Tilbury, John White, Dave Smith, Hugh Shrapnell, Michael Parsons e Howard Skempton.