uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

domenica 26 febbraio 2017

Il Bisturi di Ballard, ovvero:

il celeberrimo racconto di J.G. Ballard (1966) alla luce di una sempre più sconcertante attualità:



L’assassinio di John Fitzgerald Kennedy considerato come una gara automobilistica in discesa.

Nota dell’autore. L’assassinio del presidente Kennedy il 22 novembre 1963 ha posto numerosi questioni, alle quali il rapporto della Commissione Warren non è stato sempre in grado di dare una risposta. Si può supporre che un resoconto meno convenzionale di quanto accadde in quella fatale giornata possa fornire una spiegazione più convincente. A questo scopo ci può offrire un’utile traccia “La crocifissione considerata come una gara ciclistica in salita” di Alfred Jarry.




  Oswald diede il via.
Dalla finestra che dava sulla pista aprì la gara sparando il colpo di avvio. E’ convinzione comune che questo primo colpo non sia stato udito distintamente da tutti i corridori. Nella confusione che ne seguì, Oswald provvide a sparare altri due colpi, ma a quel punto la gara era iniziata.
 
 Kennedy partì male.
 
 Nella sua macchina c’era un regolatore di giri,* che mantenne la velocità costante sui ventiquattro chilometri all’ora. E’ vero che poco dopo, quando il regolatore fu messo fuori uso, la macchina accelerò rapidamente e mantenne una velocità elevata per il resto della gara.

  Le squadre ospiti. Poiché si trattava della prima gara di produzione automobilistica che si disputasse per le strade di Dallas, partecipavano sia il presidente che il vicepresidente. Sulla linea di partenza il vicepresidente Johnson aveva preso posizione dietro Kennedy. La rivalità tra i due, per quanto dissimulata, destava grande interesse tra il pubblico. Nella folla molti sostenevano il pilota di casa, Johnson.
 
 Il punto di partenza fu il Texas Book Depository, dove erano state fatte tutte le scommesse sulla corsa presidenziale. Kennedy non era un concorrente popolare a Dallas, e molti tra il pubblico gli mostravano un’aperta ostilità. Il deplorevole incidente , che tutti ben conosciamo, dimostra quanto ciò fosse vero.




  Il percorso proseguiva in discesa e dal Book Depository, sotto un cavalcavia, puntava verso il Parkland Hospital e da lì al Love Air Field.** E’ uno dei percorsi più rischiosi per una gara automobilistica in discesa, secondo solo alla pista di Sarajevo, che fu squalificata nel 1914.

  Kennedy affrontò la discesa in velocità. Dopo il guasto al regolatore la macchina infatti filava come un razzo. Un funzionario di gara, allarmato, tentò di salire sull’automobile, che continuò invece per la sua strada affrontando la curva su due ruote.

  Cambiamento in classifica. All’ospedale Kennedy fu squalificato per aver affrontato la curva in modo errato. Johnson prese allora il comando della gara che mantenne fino al traguardo.

  La bandiera. Per sottolineare la partecipazione del presidente alla gara, invece della consueta bandiera a scacchi quadrata fu usata l’ Old Glory.*** Le fotografie di Johnson che riceve il premio dopo aver vinto la gara rivelano come egli avesse già deciso di tenersi la bandiera come ricordo della vittoria.




  All’inizio Johnson era stato costretto a tenere una posizione arretrata, come dimostra la sua partenza dietro al presidente. E in effetti un tentativo da parte sua di guadagnare posizioni rispetto a Kennedy durante la falsa partenza, fu sventata da un inserviente che lo gettò sul pavimento della sua automobile.

  La confusione creatasi alla partenza della gara è stata senza dubbio responsabile dell’incidente alla curva dell’ospedale e della conseguente espulsione di Kennedy, che sulla base delle prove passate veniva considerato sicuro vincitore. Si può supporre allora che il pubblico del luogo, ostile a Kennedy e desideroso di vedere trionfare Johnson, che giocava in casa, abbia deciso di impedire in tutti i modi al presidente di completare la gara, e solo successivamente i funzionari l’avevano arrestato.

  Johnson non si sarebbe certo aspettato di vincere la gara in quel modo. Non c’erano state neppure fermate ai box.

  Certo, alcuni aspetti della gara continuavano a sembrare sconcertanti. Uno di questi è la presenza dell’automobile della moglie del presidente, una pratica che non è comune fra i piloti da corsa. Si può pensare che Kennedy abbia ritenuto comunque di avere diritto a ceri privilegi, finché rimaneva alla guida dello Stato.




  La Commissione Warren. Intrallazzi attorno ai verbali della gara. Nel loro rapporto, resosi necessario per le diffuse proteste sui comportamenti scorretti e le altre irregolarità, i commissari attribuirono tutta la colpa allo starter, Oswald.

  Ora non c’è dubbio che Oswald sbagliò pesantemente il colpo. E tuttavia c’è una domanda alla quale nessuna finora ha dato una risposta: chi aveva caricato la pistola del via?






* In inglese “governator” che significa sia regolatore in senso meccanico, sia governatore, con allusione al governatore del Texas Connolly che era sulla macchina di Kennedy e rimase ferito. Il gioco di parole non è traducibile in italiano.
** Si tratta del campo di atterraggio alla periferia di Dallas, dove era in attesa l’aereo presidenziale.
*** E’ la bandiera a stelle e strisce degli Stati Uniti d’America.

***



Da: J:G Ballard - La Mostra delle Atrocità – Rizzoli, 1991 – Traduzione di Antonio Caronia.








sabato 18 febbraio 2017

La Battaglia. Groucho Marx contro la Warner Brothers


sinistraineuropa




Mentre i fratelli Marx si accingevano a girare “Una notte a Casablanca”, la Warner Brothers minacciò di intentare un’azione legale in difesa di Casablanca, uscito cinque anni prima. Al che Grouchom a nome suo e dei fratelli, formulò a botta calda il seguente dispaccio:


Cari Fratelli Warner,

evidentemente ci sono molti modi di conquistare una città e di conservarne il dominio. Per esempio, quando questo film era ancora in fase di progetto non avevo idea che la città di Casablanca appartenesse esclusivamente alla Warner Brothers. E invece, solo pochi giorni dopo aver pubblicato il nostro annuncio, riceviamo la vostra lunga, ominosa missiva che ci intima di non usare il nome Casablanca. Sembra che nel 1471 Ferdinando Balboa Warner, il vostro bis-bis-bisavolo, mentre cercava una scorciatoia per la città di Burbank capitasse per caso sulle coste dell’Africa e, levando in aria il suo Alpenstock (barattato poi con un centinaio di acri di terra), battezzasse quel luogo Casablanca.

Non riesco proprio a capire il vostro comportamento. Anche se intendete rispolverare il vostro film, sono sicuro che col tempo lo spettatore medio imparerà a distinguere Ingrid Bergman da Harpo. Io non so se ci riuscirei ma di sicuro mi piacerebbe provarci.

Voi sostenete di essere i proprietari di Casablanca e vietate a chiunque di usare questo nome senza il vostro permesso. Ma come la mettiamo con “Warner Brothers”?

E’ vostro anche questo?




Probabilmente avete il diritto di usare il nome Warner, ma Fratelli? Professionalmente, noi siamo fratelli da molto più tempo di voi. I Marx Brothers se la sgambettavano in giro per i teatri quando il Vitaphone era ancora un sogno proibito nella mente del suo inventore, e del resto prima di noi ci sono stati altri fratelli: i Fratelli Lumière, i Fratelli Karamazov, Dan Fratelli, un esterno che giocava nel Detroit, e la canzone “Fratello, ti avanza un nichelino?” ma siccome un nichelino era da pidocchi hanno buttato fuori un fratello e dato tutto all’altro. E tu, Jack? Credi che il tuo nome sia un nome originale? Ebbene, non lo è.
Si usava molto prima che tu nascessi. Lì per lì mi vengono in mente due Jack: quello di Jack e la pianta di fagioli e Jack lo squartatore, una figura di portata storica veramente incisiva.

Quanto a te, Harry, probabilmente firmi i tuoi assegni nella ferma convinzione di essere il primo Harry di tutti i tempi; gli altri sarebbero impostori. Ma io ricordo due Harry che ti hanno preceduto. C’era Harry del faro, di rivoluzionaria memoria, e un Harry Appelbaum che abitava all’angolo tra la Novantatreesima strada e Lexington Avenue. L’ultima volta che ho sentito parlare di lui vendeva cravatte da Weber & Heilbroner.

E veniamo allo studio Burbank. E’ così che voi fratelli chiamate la vostra sede, mi pare.

Il vecchio Burbank non c’è più, forse vi ricordate di lui. Era un asso del giardinaggio; sua moglie soleva ripetere che Luther aveva dieci pollici verdi. Che donna spiritosa doveva essere! Burbank era il mago che a forza di incrociare frutti e verdure li rendeva talmente scombinati e nevrotici che non sapevano mai se entrare in sala da pranzo sul piatto dei contorni o su quello del dessert.



E’ solo una congettura, s’intende, ma chissà, forse i discendenti di Burbank non vedono di buon occhio quella fabbrica che si è messa a sfornare pellicole cinematografiche nel territorio della loro città, appropriandosi del nome Burbank e usandolo come copertura. E’ perfino possibile che la famiglia Burbank vada più orgogliosa della patata prodotta dal vecchio che non dei vostri Casablanca o magari Gold Diggers of 1931.
A quanto pare mi è venuta fuori una bella filippica, ma vi assicuro che non ne avevo l’intenzione. Io adoro la Warner. Alcuni dei miei migliori amici sono nella Warner Brothers.

E’ perfino possibile che io stia commettendo un’ingiustizia nei vostri confronti e che voi, poverini, siate estranei a questo comportamento da botoli ringhiosi. Non mi sorprenderebbe affatto scoprire che i capi del vostro ufficio legale sono all’oscuro di questa assurda diatriba, giacchè io sono in buoni rapporti con molti di loro e si tratta di brave persone con i ricci neri, i completi doppiopetto e un amore per il prossimo che è più saroyaniano di Saroyan.

Ho la sensazione che questo tentativo di impedirci di usare il titolo sia stato partorito dalla mente di qualche azzeccagarbugli dal musetto aguzzo, che sta svolgendo un breve apprendistato nel vostro ufficio legale. Lo conosco bene, quel genere: fresco fresco di università, affamato di successo e troppo ambizioso per seguire le naturali leggi della promozione. Questo scellerato causomane ha probabilmente istigato i vostri avvocati (che sono perlopiù brave persone con i ricci neri, i completi doppiopetto ecc.ecc.) a tentare la diffida.

Ebbene, non la passerà liscia! Gli daremo battaglia fino all’ultimo appello! Nessun esangue avventuriero legale riuscirà a spargere zizzania fra i Warner e i Marx! Dentro di noi siamo tutti fratelli e rimarremo in armonia fino a che l’ultima bobina di “Una notte a Casablanca” avrà terminato di svolgersi sul suo rullo.

Ossequi,
Groucho Marx




Per qualche strana ragione questa lettera parve sconcertare l’ufficio legale della Warner Brothers, che, in tutta serietà, rispose ai fratelli Marx chiedendo lumi sulla trama del loro film. La lettera lasciava intendere che si poteva arrivare ad un accordo. Perciò Groucho replicò:



Cari Warner,

sulla trama del film non posso dirvi molto. Io faccio la parte di un Dottore in Teologia che somministra conforti spirituali agli indigeni e, nel part-time, piazza apriscatole e giacche marinare ai selvaggi della Costa D’Oro africana.
Quando incontro Chico per la prima volta lui lavora in un saloon dove vende spugne ai beoni che non reggono l’alcool. Harpo è un caddie arabo che abita dentro una piccola urna greca un po’ fuori mano.

All’inizio del film Porridge, zuccherosa indigena, affila un po’ di frecce per la caccia. Paul Sbevazza, il nostro eroe, continua ad accendersi due sigarette alla volta. Evidentemente non sa che le sigarette scarseggiano qui.
Ci sono Molti Millimetri di Magnificenza, Acerrimi Contrasti in un’Orgia Lussureggiante di Colore, Colore è un fattorino abissino. L’Orgia, non so se ci siete mai stati, è un piccolo night club appena fuori città.
Potrei dirvi ben altro, ma non voglio guastarvi la sorpresa. Il tutto ha ricevuto l’approvazione del Hays Office, di “Tuttouncinetto” e dei superstiti dei moti di Haymarket; e se i tempi sono maturi, questo film potrebbe essere la scintilla che farà scoppiare un nuovo disastro mondiale.

Cordialmente
Groucho Marx




Invece di rabbonire gli avvocati, questa lettera pare sconcertarli ancor di più; risposero che continuavano a non capire il succo della vicenda, e che sarebbero stati grati al signor Marx se questi avesse voluto diffondersi maggiormente in particolari. Groucho si disimpegnò come segue:


Cari Fratelli,

mi spiace dirlo, ma dall’ultima volta che vi ho scritto nella trama del nostro ultimo film Una notte a Casablanca sono sopraggiunti alcuni cambiamenti. Nella nuova versione io sono Bordello,la fiamma di Humphrey Bogart, Harpo e Chico sono venditori ambulanti di tappeti i quali stufi di srotolarli, entrano in un monastero così per sport. Ma sono loro a rimanere giocati, perché in quel luogo non si pratica nessuno sport, solo ritiri.

Sul porto a un tiro di sasso dal monastero c’è un albergo straripante di rubiconde donzelle; molte di loro sono state censurate dallo Hays Office per adescamento, Nella quinta bobina Gladstone pronuncia un discorso che mette in subbuglio la Camera dei Comuni e il re chiede le sue dimissioni seduta stante. Harpo sposa il detective di un albergo; Chico gestisce un allevamento di struzzi. La ragazza di Humphrey Bogart, Bordello, finisce per diventare una bacall-girl, e morta lì.
Come vedete si tratta proprio di un sunto a grandi linee. Potremo salvarci dall’estinzione soltanto se la pellicola continuerà a scarseggiare.

Vostro affezionatissimo
Groucho Marx



Dopo questa lettera, i fratelli Marx non ebbero più notizie dall’ufficio legale della Warner Brothers.
 ***



Groucho Marx

[ New York, 2 ottobre 1890 – Los Angeles, 19 agosto 1977 ]

da Le lettere di Groucho Marx, Adelphi, 2000.




domenica 12 febbraio 2017

Béla Bartok e gli aggregati di intervalli: Musica per Archi, Celesta e Percussione (1936)








Commissionata dalla famosa orchestra di Basilea diretta da Paul Sacher, questa composizione è senz’altro da porre tra le pagine più alte della musica contemporanea, partecipe di una visionarietà che sta al punto di incontro fra “tranche” impressionista e macerazione espressionista. 

Poniamo attenzione al primo movimento: all’inizio il disegno melodico su cui è costruito l’episodio (tecnicamente attuato mediante entrate in imitazione ad intervalli di quinta), non si presenta con il carattere solare di “tema”, ma è un semplice aggregato di intervalli, ha qualcosa di minerale, non è altro che un materiale, non troppo definito né melodicamente né, tanto meno, ritmicamente. 





Pure, poco alla volta, il tessuto contrappuntistico si ispessisce, si sviluppa, crea il suggestivo reticolo, la fitta trama; quel motivo che inizialmente ci era parso, e in effetti era, un aggregato di intervalli, acquista, attraverso la crescita della macchina sonora, attraverso il magma incandescente, senso tematico. 

E quando al culmine un accordo luminoso di mi bemolle sembrerà liberare il tessuto armonico da ogni attributo cromatico, ecco che il tema riemergerà violentemente, verrà udito nella sua acquisita significazione, nell’intima struttura, con un risultato di forza straordinaria.





L’ “Allegro” seguente si stacca nettamente dal primo movimento non solo per la diversa agogiga , ma soprattutto per la carica di energia riferita esplicitamente ai febbrili ritmi ungheresi; il disegno si fa plastico, scattante, le figure musicali sono nettamente rilevate.

Ad un clima di magica suggestione ci riporta invece l’ “Adagio” , dove la ricerca timbrica originalissima. lungi dal perseguire effetti di esteriore edonismo sonoro, affida all’oggettiva tensione di nuove sonorità (glissati degli archi, timpani a pedale, pianoforte, arpa, celesta) il compito di indicare un’angoscia soggettiva, un doloroso e indecifrabile turbamento, di farsi portatrice di un interrogativo sull’esistenza radicato nell’uomo contemporaneo.

 Il quarto movimento, “Allegro molto”, si ricollega in certo senso ai caratteri del secondo, ma è più vivacemente giocato su moduli melodici e ritmici “alla zingaresca”, più vario e imprevedibile; la conclusione su un accordo di la maggiore giunge infatti improvvisamente, con tono di virile e non retorico ottimismo.

***


Da: Guida all’ Ascolto della Musica Contemporanea, Armando Gentilucci, Feltrinelli, 1969.





domenica 5 febbraio 2017

Sun Ra. Tempesta di fuoco sul palco



LeRoj Jones conobbe Sun Ra per strada o forse in un caffè “all’inizio degli anni Sessanta, quando Sun Ra cominciava a socializzare con la vita del Village”. Jones che abitava al Village da sette anni, era diventato una figura chiave della scena letteraria e politica di downtown e aveva appena vinto un Obie Award con la sua opera teatrale Dutchman. Tra i primi paladini ed esegeti del new jazz, come molti altri provava uno scetticismo istintivo nei confronti di Sun Ra: lo vedeva come un “furbacchione modernista”, ma presto imparò ad ammirarne sia la profonda conoscenza della storia e dei traguardi raggiunti dalle civiltà nere, sia la musica.

Ra era così all’avanguardia perché possedeva l’autentica consapevolezza dell’artista rivoluzioniario intellettuale afroamericano” 
 




La poesia di Jones viene sempre discussa in termini del suo rapporto con i beat e i poeti newyorkesi degli anni Cinquanta, poi rinnegati in favore di Césaire e Langston Hughes, ma fra le sue tacite influenze c’era anche Sun Ra. Lo si nota nelle allusioni storiche di Jones, nel tono e nella musicalità dell’enunciazione, nel senso dell’importanza del linguaggio e nella consapevolezza delle possibilità offerte della parola parlata contrapposta a quella scritta, dello scardinamento dei segreti fonetici sepolti all’interno della parola stampata. La lezione di Sun Ra è visibile già nella poesia “Black Dada Nihilusm”, che evoca il neoplatonismo (e ne fa oggetto di giochi di parole) per gettare le basi delle arti nere, e nella vena romantica che vede uomini e donne di colore come una razza dalle possibilità sconfinate.

In “Meanings of Nationalism” un saggio saggio della raccolta Raise Race Rays Raze (l’influenza di Sun Ra non potrebbe essere più evidente), Jones parla dei libri che l’amico gli ha dato in prestito:

Studia la storia dell’antico Egitto. La transizione da Nero a Bianco. Capovolta è la storia d’America. L’America che ha sempre preso a modello (segreto) l’antico Egitto. Poichè fortissima ha subito l’influenza dei figli e delle figlie dell’antico Egitto. (Vedi Astrology Space Age Science riguardo a Banconota Americana e il suo simbolismo. Vedi God Wills the Negro […] & altri). L’antica razza dei giganti Neri ritorna in vita.




Dopo l’assassinio di Malcom X, il 21 febbraio 1965, Jones cambiò nome in Imamu Amiri Baraka e si trasferì ad Harlem per fondare il Black Arts Repertory Theater/School, con fondi di doppia provenienza: in parte da un concerto benefico che aveva organizzato il 28 marzo al Village Gate, con John Coltrane, Albert Ayler, Grachan Moncur III, Archie Sheep, Charles Tolliver, Cecil McBee e Sun Ra; in parte dal programma artistico-culturale della Operation Bootstrap, un’iniziativa collaterale dell HARYOU ACT, il primo provvedimento adottato da Lyndon Johnson nell’ambito della sua “Guerra alla Povertà” nel tentativo di fermare la violenza e le sommosse dopo la “lunga estate calda” del 1964.

L’arrivo delle Black Arts ad Harlem fu annunciato da una parata sulla Centoventicinquesima Strada con l’ Arkestra in tenuta di scena, i fratelli Ayler, Milford Graves e i seguaci dello Yoruba Temple capeggiata da Baba Oserjeman, un altro hipster di downtown materializzatosi a uptown in una nuova veste. Pur rimanendo a downtown, Sun Ra si presentava quasi ogni giorno nell’ufficio della Black Arts per pontificare a beneficio di chiunque volesse ascoltarlo. Come il South Side di Chicago, Harlem pullulava di orientamenti filosofici, religiosi e politici contrastanti: i garveyani, la Nation of Islam, i comunisti e naturalmente i cristiani, ma anche lo Yoruba Temple e i copti egiziani. Tutti questi gruppi si ritrovavano a dibattere di fronte all’ Hotel Theresa o alla libreria africana di Minchaux. E ancora una volta tra i protagonisti del movimento c’era Sun Ra.





Per i successivi tre mesi, la Black Arts inviò nel quartiere un gruppo di camion per presentare musica , danza, teatro, pittura e poesia all’interno di aree edificabili, cortili, parchi e in qualunque altro spazio disponibile. Finanziata dalla Black Arts, l’ Arkestra riuscì così ad aggiungere nuovi elementi per esibirsi nei giorni feriali, spesso con Sun Ra al nuovo organo solare (che produceva colori insieme ai suoni: blu carico e tonalità scure per le note basse, arancione e giallo per quelle alte). Più di chiunque altro, Baraka considerava intrinsecamente politica la natura spirituale e visionaria della musica di Ra:

Ciò di cui Trane parlava, e parla, ciò che intende Ra, la meta di Pharoah, è chiaramente un altro mondo. Nel quale noi siamo letteralmente (e ulteriormente) “liberi”

Benchè stessimo entrando in una fase profondamente nazionalistica”, ricordava Baraka, “Sun Ra la inquadrava in rapporto alla sua idea di angeli e demoni in azione. In altre parole, se essere bravi significava essere in sintonia con il pianeta, questo non andava bene, perciò insisteva a fare il demonio. Sun Ra aveva programmi più ambiziosi”.
[…]




Nel maggio 1966, l’Arkestra eseguì dal vivo le musiche per la prima di A Black Mass di Baraka al Proctor’s Theater di Newark. L’opera è liberamente ispirata alla storia scitta da Elijah Muhammad che racconta le vicende di Yacub, lo scienziato nero pazzo che in un atto di hybris crea la razza bianca. Nella rielaborazione di Baraka, tuttavia, assume particolare risalto lo smarrimento dell’impulso estetico, il che conduce non solo alla creazione del male e alla distruzione del luogo sacro dei maghi neri, ma anche alla violazione dello spirito dell’estetica nera. Esiliate nel gelido Nord, alla fine dell’opera, le bestie bianche si lanciano in mezzo al pubblico “baciando e leccando gli spettatori” e gridando “Io, bianco!”, mentre una voce fuori campo invoca la Jihad.

Seduta sul palco per l’intera durata della rappresentazione , l’Arkestra improvvisò la musica seguendo indicazioni scritte sul copione (“La musica può riempire la sala, crescendo, scendendo in picchiata all’improvviso, stridendo”, o “Musica alla Sun Ra di dimensioni strepitose”). Gli strumentisti ingaggiavano un botta e risposta con gli attori, con fraseggi e inflessioni che imitavano le voci umane. A un certo punto attori e musicisti canticchiavano all’unisono “The Satellites Are Spinning” .




A Black Mass mescolava la fantascienza alla mitologia musulmana, e per dirla con Larry Neal (sulla scia di Sun Ra) dimostrava al pubblico che “tutta la storia è una semplice versione mitologica personale” .

[…]

Sun Ra si era già fatto notare dopo l’arrivo a New York, ma in questa fase la sua musica stava conoscendo un mutamento davvero radicale. Le performance erano più lunghe, i ritmi più scatenati e complessi, e i solisti venivano incoraggiati a superarsi in ogni modo. Reduce da nove mesi di scuola di cinema in Svezia, Tommy Hunter rimase sbalordito da quanto l’Arkestra fosse cambiata:
Era come una tempesta di fuoco sul palco”





To Mr. Ra: Rest in Space
             ( Main, "Dry Stone Feed")
***

da: Space Is The Place – La Vita e La Musica di Sun Ra, di John F. Szwed (traduzione di Michele Piumini). Edizioni minimumfax 2013.