uno dei due è l'altro

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giovedì 9 agosto 2018

I sentieri praticabili - György Lukács*





Felice il tempo nel quale  la volta stellata è la mappa
dei sentieri praticabili e da percorrere, che il fulgore
delle stelle rischiara. Ogni cosa gli è nuova e tuttavia familiare, ignota come l'avventura e insieme certezza inalienabile. Il mondo è sconfinato e in pari tempo come
la propria casa, perché il fuoco che arde nell'anima
partecipa dell'essenza delle stelle: come la luce dal fuoco, cosi il mondo è nettamente separato dall'io, epperò mai si fanno per sempre estranei l'uno all'altro. 

Perché il fuoco è l'anima di ogni luce e nella luce si avvolge ogni fuoco. Così ogni atto dell'anima riceve un senso e giunge al compimento entro questa duplicità: esso è compiuto nel senso e compiuto per i sensi, è perfetto perché l'anima riposa in se stessa mentre muove all'azione; 
è perfetto, ancora, perché il suo agire si
stacca da essa e, fattosi autonomo, perviene al proprio
centro e si inscrive in un suo conchiuso ambito. "Filosofia è propriamente nostalgia -dice Novalis- anelito a fare di ogni dove la propria casa". 

Pertanto la filosofia, sia come forma di vita che in quanto elemento formante e contenuto della poesia, è sempre il sintomo della scissura fra interno e esterno, il segno della intrinseca discrepanza  fra io e mondo, della non-conformità fra anima e azione. È per questo che le età felici mancano di filosofia. Perché qual'è infatti il compito della vera filosofia, se non quello di disegnare quella mappa che contenga e proponga I modelli originari? E cos'altro è il problema dell'individuazione di un "luogo" trascendentale, se non la ricerca volta alla sistemazione di ogni pulsione originante dai più profondi
recessi dell'interiorità in una forma ad essa ignota e
nondimeno assegnatale ab aeterno, che la involga elevandola a valenza simbolica che la riscatti?

Solo allora la passione è il tramite pre-determinato dalla ragione sulla via della compiuta realizzazione della propria individualità', e nel delirio del vagheggiamento
si manifestano segni misteriosi eppure intelligibili di
una forza trascendente altrimenti condannata a restare muta. 





Solo allora non vi è ancora interiorità,
perché non sussiste ancora alcunché che sia altro ed
esterno all'anima. Ove questa si accinge a gettarsi nell'avventura e ne esce vincitrice, ignoti le sono il vero
tormento della ricerea ed il reale pericolo della conquista: mai l'anima arrischia se stessa. Essa non sa
ancora che può smarrirsi, né pensa mai che deve cercarsi. È, questo, lo stadio storico-universale dell'epos.

Qui, non già l'assenza del dolore o la certificazione dell'essere calano uomini e azioni entro i netti contorni
di un "luogo" pervaso da una felicità gioiosa (l'Assurdo e il Dolore inerenti all'accadere del mondo non
si sono accresciuti dall'inizio del tempi, solo il canto
consolatorio risuona ora più forte ora più sommesso), bensì questa conformità e adeguatezza delle gesta alle esigenze intere dell'anima di grandezza di dispiegamento di totalità. Ove l'anima non conosca 
ancora l'abisso che è in lei, tale da invitarla a tuffarvisi o da sospingerla ad altezze impraticabili; finchè la divinità che governa il mondo  partisce gli ignoti e ciechi doni del fato, oscura epperò familiare e imminente si erga davanti agli uomini come un padre a guida del suo piccolo, allora ogni atto aderisce alla realtà dell'anima. 

Essere e destino, avventura e compimento, vita ed essenza sono allora concetti identici.

Perché così suona la domanda a cui l'epos dà risposta: come può la vita pervenire all'essenza e nutrirsene?
Ora, l'inimitabilità e l'inattingibilità di Omero
-a rigore solo i suoi poemi sono epici- risiedono nel
fatto che egli ha trovato la risposta prima che l'incedere
dello spirito sui cammini della storia rendesse incalzante ed esplicita la domanda.












* Tratto da "Teoria del Romanzo" di György Lukàcs Newton Compton Editori, 1975. Traduzione di Antonio Liberi.

















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