uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

sabato 21 novembre 2020

Apocalisse e rivoluzione

Giorgio Cesarano Gianni Collu

Dedalo libri 1973



Elena Sangro

 

 12.

L’esplosione rivoluzionaria russa, se apparentemente proietta sulla scena planetaria lo spettacolo trionfale (e per la borghesia terrorizzante) di un proletariato pervenuto a incarnare la propria soggettività liberata, mette ben presto in scena, realiter, nelle forme ormai meramente fittizie della rivoluzione al potere, la mediazione recuperatrice e sostanzialmente restauratrice della controrivoluzione potente. 

Cacciati sanguinosamente dal basso, modi e rapporti di produzione essenzialmente capitalistici ricadono sanguinosamente, sopra le teste illuse (ma non tutte) del proletariato rivoluzionario, reintrodotte per decreto legge dall'alto. Il pretesto - ed è qui che appare per la prima volta il potere abbacinante della « ratio » scientifica mediatrice del capitale - è quello della necessità di conquistare, lungo un duro processo di  «transizione» cosiddetta socialista, le basi materiali per la realizzazione del comunismo.


Non è questo il luogo per perpetuare la semisecolare polemica antileninista, né ha senso chiedersi ancora una volta oggi quali potessero essere le alternative praticabili: la lotta rivoluzionaria vive sempre il presente come il terreno dello scontro tra un progetto di futuro cui è legata la sorte della specie e la somma delle sue sconfitte passate, influenti solo per quel tanto che indica le trappole in cui non può più cadere. È questo invece il luogo in cui attestare come quella lezione di realismo fu dal capitale internazionale appresa e fatta sua, a proprio esclusivo ed automatico vantaggio: la lezione che gli consentiva di non temere forza al mondo capace di distruggerne l’essenza, finché esso sarebbe riuscito ad apparire come il modo materiale di prodursi di ogni comunità umana. 

Il capitale imparò dalle sue crisi a disfarsi del proprio passato per rilanciare i suoi modi di produzione a livelli di organizzazione più alti, più integranti, più totalizzanti. Imparò a mascherare la propria facoltà di transcrescenza coprendola con trasformazioni formali, spettacolari. Imparò soprattutto a scorrere come un’acqua necessaria sotto qualsiasi bandiera, ad assumere tanto la forma quanto la sostanza di un modo d’essere basilare e neutrale, così simile alla vita e alla natura da poterne vestire le apparenze. Mediandosi attraverso scontri in cui sarebbe corsa la massima quantità possibile di sangue proletario, il capitale apprese di potersi trasformare in modi d'essere sempre meno specifici di una classe e sempre più intrinseci di un popolo superando così un primo grado (un primo livello o soglia di limiti) delle sue connaturali contraddizioni.






13.

Da quel momento il proletariato non si rappresentò più, agli occhi del capitale, esclusivamente come la forza-lavoro da esso stesso prodotta e trattata al pari di una merce, ma cominciò ad apparirgli come il suo stesso

popolo prossimo venturo. Non più dunque nella forma e nella sostanza di mera materia bruta, propellente da tenere in vita fin tanto che da forza, ma, nella forma, la materia vivente del suo stesso corpo (corpo sociale, gregario discreto del cervello sociale, incarnato dal capitale fatto scienza); nella sostanza il propellente naturale di un processo di autonomizzazione che tanto più « naturalmente » se ne sarebbe separato come da una scoria, quanto più si sarebbe mostrato capace di, integrarlo profondamente e capillarmente ai meccanismi della macchina valorizzatrice. Il processo di emancipazione del capitale dal primo grado critico del suo sviluppo (il primo livello di chiusura del sistema entro i suoi limiti, con la conseguente inevitabile « messa in blocco ») passa dunque attraverso l’emancipazione fittizia del suo antagonista naturale, l'emancipazione fittizia del proletariato arruolato alla soggettività autoresponsabile della produzione di lavoro. 
Da quel momento, mentre il capitale vede nel proletariato il suo popolo futuro - e intravvede per sé la chance di mediare ogni propria contraddizione con l’integrare al suo « spirito », nella sua propria soggettività surrettiziamente socializzata, il corpo stesso della specie, - fatta suo corpo -, il proletariato abbacinato dalla controrivoluzione vede nello sviluppo del capitale il suo proprio futuro, media la propria intolleranza in nuova pazienza, prospettandosi il compito storico di realizzare a proprie spese, ma volontariamente, le basi materiali per la realizzazione di un capitalismo neocristiano: « socialista ».






14.

La contrapposizione tutt’affatto fittizia e spettacolare dei due blocchi oriente-occidente, in entrambi i quali, ma attraverso realizzazioni formali differenti, sviluppo capitalista e controrivoluzione si incarnano nel medesimo soggetto abbacinato, polarizza per decenni, mentre seguita a scorrere sangue proletario, l’immaginazione tutta ideologica del « pensiero » rivoluzionario, attardando la teoria in una grottesca rissa d'arruolamento sotto le diverse bandiere del medesimo processo. La controrivoluzione mima tutti i luoghi comuni della dialettica, degradata a commedia degli equivoci; mentre l’insoddisfatto bisogno di vivere per davvero e la fatica del «virtuoso » lavoro covano sotto la cenere, nei corpi del proletariato sconfitto più che nelle menti (o estraniate o drogate dalla politica), il fuoco vitale che esploderà, dopo cinquant'anni di latenza, nei primi incendi del ’68.


Ma l’integrazione è stata così profonda, la catena così salda, che ad apparire con le torce in pugno non sono quelli che, inseriti, riscuotono in ore di abbrutimento il salario che gli consente di perpetuare il « lavoro di vivere »: come sempre si muovono per primi i disertori dello « spirito » dominante e gli esclusi dalla catena di montaggio, i fuoriusciti volontari e i proscritti coatti.


A Parigi come dovunque in Europa studenti, disadattati, hippies e bluson-noirs; negli USA questi stessi e la « razza » degli esclusi, i neri dei ghetti, gli ex-schiavi « riscattati » da cogli-cotone a cogli-immondizie. Rigettano per prime l'orrore della non-vita due qualità di « competenze » diverse, ma subito affratellate, entrambe accelerate dall’essere esterne al cuore più duro del processo: voyeurs dall'alto, gli studenti, dell'ingegneria sociale (in tutte le facoltà si insegna la facoltà di dirigere l'essere diretti); voyeurs dal basso, gli esclusi, della società dei rifiuti, che li consuma; da un lato si rivolta l’ «immaginazione », prima di essere co-optata, dall’altro la vitalità denudata, dopo essere stata umiliata.






15.

Da un lato la politica assume su di sé il ruolo di mediatrice del processo, mettendo in discussione tutto tranne i fondamenti che lo sostengono, spacciando di conserva con la pubblicità per buono per eccellente per superextra tanto lo sviluppo suicida della produzione quanto il modello di vita che ne è il reale prodotto; dall'altro lato la lucidità pianificatrice (« scientifica ») del capitale vede sempre più nitidamente profilarsi dinanzi a sé la soglia di un nuovo limite che solo un salto mortale può consentirgli di superare il limite sempre più vicino della sua stessa espansione planetaria, gli impone di inventare un nuovo mondo, mentre sta per « finire » il mondo. 

Guerre, guerriglie, campagne di liberazioni nazionali, bagarre elettorali per l’elezione (o l’esecuzione capitale) di questo o quel funzionario superstar - tutti egualmente fungibili quanto funzionali - si accavallano alla rinfusa sugli schermi dei suoi oracoli di vetro, in un tritume in cui si mescolano, allo stesso livello, le stragi dei week-end, quelle degli indiani e quelle del DDT, i caroselli sulla nuova qualità della vita, i dibattiti sulla qualità della vita, gli psicodrammi sulla squalifica della vita. Al servizio di una politica che baratta la critica di tutto con la vittoria del Niente, ingranaggi fittizi e reali, gli uni dagli altri irriconoscibili, trascinano nei loro meccanismi, insieme con i corpi di un proletariato sempre più 'sovrabbondante, l’immaginazione in brandelli di vivere una lotta vera, l’illusione lottizzata di battersi per una questione di vita o di morte, mentre la morte guadagna terreno inavvertita nella sopravvivenza quotidiana di ciascuno.





16.

Agli urti sempre più accelerati contro le sue contraddizioni classiche, il capitale elasticamente risponde mimando le grida del suo popolo, assumendo per sé le ragioni della disperazione crescente, ma commutata nella voce della promessa e della speranza immanente. Se il dominio formale aveva assunto nel capitale i tratti orgogliosi e feroci di una classe che s'era conquistato il potere con la rivoluzione; se la borghesia ancora viva non si vergognava di difendere i propri privilegi giusto in quanto poteva apprezzarli - ancora per poco – come il bene della terra e il gusto della vita, e perciò li difendeva senza mettersi in discussione, offrendo di se stessa, malgrado le lotte economico-politiche intestine, un’immagine in cui la ricchezza giustificava il prezzo della miseria; la transizione al dominio reale porta il capitale verso la produzione accelerata di una politica - la nuova immagine di se' con cui contrabbandarsi - tanto più elastica e cooptante quanto più formalmente disposta a mettersi in discussione, a problematizzarsi.


Ma i problemi all’ordine del giorno, nelle forme apparenti dell'apertura verso esigenze e bisogni del popolo, sono sempre i problemi del capitale. Il popolo è sempre più il capitale in persona: il popolo «che ha il voto, il popolo che si rappresenta, il popolo che ha 

il « privilegio » della parola, assume senza avvedersene il ruolo del fantoccio che parla con la voce, e che copre le mani del ventriloquo.





17.

La quantità è il regno esclusivo della valorizzazione, che in questo consiste; nella produzione di qualità apparenti a monte delle quali giace sempre quantità di lavoro erogato. Da quando il capitale si limitava a vantare la qualità delle sue merci, è passato il tempo necessario a catturare del tutto ogni forma di vita nella forma di merce, così che oggi si possa discutere di « qualità della vita » dopo che dietro ogni « vita » prodotta giace una quantità di lavoro erogato, di vita devalorizzata. Questa è la nuova conquista del capitale antropomorfo: avere colonizzato al valore ogni tratto della convivenza sociale, essersi ricomposto al di là della soglia d’esplosione dei suoi vizi organici nella composizione organica del capitale-vita; l’essere transcresciuto dal regno intossicato di merci-rifiuto dell'esteriorità al regno sopravvivente dell’interiorità, tanto più degradata quanto più disseppellita e sollevata a nuova area di mercato. 

Una macabra archeologia è chiamata a resuscitare, nei morti-vivi, l’anima fenicia dei commerci avventurosi; ma sotto le costellazioni del diluvio le anime morte non possono che trafficare reliquie: la morte dei desideri e l’equivalente generale che informa del suo valore tutte le zecche della « personalità » depressiva. Lasciamo che i morti valorizzino la loro « vita ».

 

 



 
 
 
 
 
 

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