di Linda De Feo
"L'acciaio e la plastica fusero insieme, scomparvero in una nuvola di
fumo. Attraverso lo squarcio, il corpo si inarcò, partì in una traiettoria
verso l'alto. Dopo un attimo fendeva il cielo, diretto verso la Luna. [...] Il
corpo era un razzo in miniatura, capace di volare nello spazio come un'astronave.
E [...] non aveva bisogno d'aria. Perciò poteva compiere viaggi
interplanetari" (Il disco di fiamma, pp. 136-137).
"Ecco cos'è successo alle cose uscite dall'umida terra, dal lurido
fango e dalla polvere. A tutte le cose viventi, grandi e piccine. Hanno fatto
la loro comparsa, divincolandosi a fatica da quell'umidità appiccicosa. E poi,
dopo qualche tempo, sono morte" ( frammenti dal romanzo mainstream "Gather
Yourself Together", in Mutazioni, p. 35).
***
Risonanze
percettive
Philip Kindred Dick è probabilmente il primo autore a sondare l'abisso
simulativo, a smarrirsi consapevolmente nelle realtà dedaliche di vettori
spazio-temporali proliferati all'infinito, preconizzando le radicali mutazioni
socio-antropologiche prodotte dall'universo elettronico e biotecnologico nei
meccanismi percettivi, nelle modalità espressive
e nelle strategie comunicative.
L'opera dickiana affronta temi che spaziano dalla compenetrazione di fisica quantistica e metafisica all'orizzonte della realtà virtuale, con le sue implicazioni diffuse all'intero sistema sociale, fotografando una svolta epocale che conduce a una ridefinizione dell'individuo e a una riformulazione della sua identità. Appare legittimo considerare Dick, a pieno titolo, uno degli autori di culto del dopoguerra americano, poiché la sua parabola creativa, partendo dai canoni di una science fiction ortodossa, si proietta su un orizzonte speculativo che solleva molteplici questioni di natura filosofica. Oggetto di una delle più notevoli e clamorose rivalutazioni critiche, pur rubricabile nell'ambito della produzione fantascientifica, l'ibrida opera dickiana appare nel contempo immersa nel clima della controcultura
degli anni Sessanta, ispirata ai miti
della cosiddetta generazione lisergica.
e nelle strategie comunicative.
L'opera dickiana affronta temi che spaziano dalla compenetrazione di fisica quantistica e metafisica all'orizzonte della realtà virtuale, con le sue implicazioni diffuse all'intero sistema sociale, fotografando una svolta epocale che conduce a una ridefinizione dell'individuo e a una riformulazione della sua identità. Appare legittimo considerare Dick, a pieno titolo, uno degli autori di culto del dopoguerra americano, poiché la sua parabola creativa, partendo dai canoni di una science fiction ortodossa, si proietta su un orizzonte speculativo che solleva molteplici questioni di natura filosofica. Oggetto di una delle più notevoli e clamorose rivalutazioni critiche, pur rubricabile nell'ambito della produzione fantascientifica, l'ibrida opera dickiana appare nel contempo immersa nel clima della controcultura
degli anni Sessanta, ispirata ai miti
della cosiddetta generazione lisergica.
Nell'iperrealismo narrativo di Dick la descrizione di un'artificialità in
grado di potenziare le capacità naturali viaggia dalle ipertrofiche
suggestioni, derivate dall'uso degli allucinogeni, attraverso le
fantasmagoriche immagini riproducenti l'iperspazio del pianeta mediale. Dick
dedica parte della sua opera alla raffigurazione intrecciata dell'orizzonte
lisergico con l'universo tecnologico, degli effetti sortiti dall'assunzione di
stupefacenti con le trasformazioni subite da corpi sempre più inquietantemente
dotati di protesi elettroniche e corredati di innesti hardware.
Un Oscuro Scrutare, "forse il più grande romanzo in assoluto scritto
sulla droga e contro la droga" (Di Costanzo 1992), conclude il ciclo
creativo dickiano segnato dall'analisi dell'esperienza psichedelica, affrontata
in opere come Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Illusione di potere o
Scorrete lacrime, disse il poliziotto. Il romanzo generazionale del 1977, a cui
Dick attribuisce esplicitamente valore testamentale, interpreta il disagio, le
aspirazioni, le disillusioni della beat generation, che sfida lo squallido
conformismo, la ritualità quotidiana, iterata all'infinito, metafora del
nonsenso della vita, del non-senso della morte, sfondando le barriere
percettive, risvegliando il rimosso, tentando di riconsegnare al soggetto il
proprio destino, intervenendo sul corpo, scalfendolo, per riconfermarne
la proprietà individuale.
la proprietà individuale.
Nell'impossibilità di accedere all'intelligenza complessiva della vita, i
beatniks decidono di fissarne la durata, di irrobustirne il tessuto
esperenziale, di stabilirne i limiti, di esaltarne le passioni, di soffocarne i
ritmi, controllando le scansioni del ciclo biologico, velocizzandone le
sequenze. Il bisogno di approdare alla purezza di un sentire naturale,
affrancato dalla soffocante stratificazione culturale, lo smuovere le
profondità organiche dell'esistenza, il protendersi verso la materialità delle
radici corporee, la ricerca di potenti suggestioni, forme di protesta contro il
sistema normativo e le convenzioni sociali, si traducono, però, in una vana
lotta contro gli accaniti imperativi del capitalismo feroce, che, in maniera
paradossale, finirà per essere abbondantemente alimentato dai consumatori di
LSD, impotenti contestatori, vittime elettive che, per combattere il naturale
estinguersi della vita, celebrano estenuanti rituali di morte, schegge
impazzite che gelosamente coltivano sinistre pulsioni, sfigurati personaggi che
incarnano
la brutalità del rassicurante quotidiano.
la brutalità del rassicurante quotidiano.
Nella Los Angeles del 1994 di Un Oscuro Scrutare, immaginata come prodotto avariato
degli anni Settanta, l'azzurro fiore della Sostanza M, Substance Death, droga
che invade il mercato, disseminando degenerazione, è coltivato dalla stessa comunità
di recupero Nuovo Sentiero, New Path. Robert Arctor, protagonista del romanzo,
agente in incognito della Narcotici, infiltrato tra i tossici per scoprire chi monopolizza
il traffico illegale di questa sostanza misteriosa, dall'origine e dalla composizione
ignota, giungerà alla verità, mai finale, ma sempre superabile, mai ultima, ma
sempre penultima per Dick, una volta che, trasformatosi da poliziotto in drogato,
diventando quello che finge di essere, imboccherà il corridoio cieco della dipendenza.
La confusione degli schieramenti, automatico precipitato del liberismo selvaggio
e della concorrenza sfrenata, sfuma le identità, interscambiandole, rendendole
inconsistenti, transitorie, fluttuanti, contaminate, ibride, penosamente e impietosamente
votate, nella smania investigativa dei personaggi, degenerata in delirio
persecutorio, alla logica del profitto, e richiamate allegoricamente dalla geniale
invenzione fantascientifica del romanzo, utilizzata in modo "antifantascientifico", l'abito crittante, lo scramble suit. Connessa a un computer
miniaturizzato, la cui memoria contiene parecchie migliaia di caratteristiche
fisiche, la tuta disindividuante, attraverso un'inesauribile successione di
disorientanti ed effimere metamorfosi, impedisce l'identificazione degli agenti
in incognito, simboleggiando splendidamente anche un'altra forma di ibridismo,
il connubio tra illuminazione psichedelica e invasione mediale, celebratosi su carne innocente e perversa, carne che invece rivendica freneticamente
la propria individualità, e ricerca spasmodicamente un tempo incontaminato e
vergini spazialità, chimere agognate attraverso il divertimento, che è modo del
divergere, del deviare, condizione altra di esistenza, virtualità di traduzione
dell'esperienza da una forma in un'altra.
I corpi dei beatniks, nati immersi
nella cultura televisiva, invasi da droghe e pervasi di impulsi elettrici, sono
destinati a trasformarsi molecolarmente, a tramutare i propri confini, a
intaccare volontariamente la propria integrità, ma anche a vederne violata
l'essenza naturale in rutilanti prefigurazioni di uno sviluppo sempre più
vertiginoso. È attraverso il potenziamento della risonanza percettiva,
raggiunta grazie all'uso di sostanze allucinogene, che la beat generation tenta
inutilmente di schivare pericolosi processi di omologazione, indotti da
sollecitazioni standardizzate, preconfezionate dai regimi dominanti, e cerca
vanamente di sconfiggere la violenza che i media elettrici finiranno per
infliggere ai loro utenti, programmandone i pensieri, stimolandone le fantasie,
accendendone i desideri, catturandone la fisicità nella rete di estensioni dei loro
sistemi nervosi (McLuhan, p. 91), nella trama di elementi inorganici non sempre
integrabili con il substrato organico, che imprigiona una coscienza spesso
destinata alla scissione, e un'identità che, per quanto espansa, appare
comunque contraffatta.
Le sensazioni prodotte dalle sostanze psicotrope o dagli stimoli
tecnologici introducono in mondi altri, attraversati da inesplorati sentieri
percettivi, calpestati da corpi dalla sensibilità potenziata o dalle forme
riplasmate, che, però, nell'esasperato anelito di sconfinata libertà e
illimitata sperimentazione, si convertono in ricettacoli passivi di segnali,
sovrapponendo sostanze chimiche al
naturale metabolismo cerebrale, o ibridando macchina e organismo. Come
molti scritti di Dick inquietantemente illustrano, questi corpi, simili a
reflex machine, a macchine dotate di riflessi, utilizzano forme di difesa
omologate, compiono azioni pedisseque, interagendo automaticamente con un
habitat che ha progressivamente assimilato organico e inorganico, compenetrato
umano e inumano, confuso natura e artificio.
Nel cruciale 1968, anno di pubblicazione di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?,
libro in cui "è pienamente attivo tutto il potenziale dickiano" (Di Costanzo
1994), si giunge a celebrare quest'amalgama in un ibrido amplesso che si immagina
impetuoso ("Noi androidi non riusciamo a controllare le nostre passioni fisiche
e sensuali"; Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, p. 219) e si
riconosce mostruoso ("Ricordati, però: non ci pensare su, fallo e basta.
Non ti fermare a filosofeggiare, perché dal punto di vista filosofico è un
macello: per tutti e due"; ivi, p. 216). Un cacciatore di androidi, Rick
Deckard, che ha il compito di eliminare le creature artificiali destinate alle
colonie spaziali, infiltratesi illegalmente sulla Terra, e un seducente
esemplare di unità Nexus-6, Rachael, sofisticatissimo prodotto dei laboratori
Rosen, un essere umano, dunque, e la sua ricreazione, fornita da una grande
industria, congiunti in un aberrante intreccio di programmazione e mistero, ragione
e istinto, desiderio e paura, trasporto e crudeltà, sesso e sofferenza, eros e tanatos.
Si realizza un connubio di vita e divertimento, carne e conoscenza, scienza e
ignoranza, intelligenza e stupidità: "Lo sai quanto vive in media un robot
umanoide come me? Io sono in vita da due anni. Quanto pensi che mi rimanga? [...]
È un problema che non sono mai riusciti a risolvere. Voglio dire, il ricambio delle
cellule. Un ricambio perpetuo, o almeno semiperpetuo" (ivi, p. 220).
Un incontro diverso, perverso si consuma in un incoerente abbraccio di
realtà ontologicamente difformi, in un innaturale incastro, sciolto da ogni
vincolo procreativo: " -Gli androidi non possono avere figli- disse infine.
-Ci perdiamo qualche cosa?- Lui finì di spogliarla, mettendo a nudo i suoi
lombi pallidi e freddi. [...] -Che si sente ad avere un figlio? Anzi che si
sente ad essere nati? Noi non nasciamo mica; non cresciamo; invece di morire di malattia o di vecchiaia,
ci consumiamo come formiche. Sempre le formiche: ecco cosa siamo. Cioè, non te.
Voglio dire, io: macchine chitinose dotate di riflessi, che non sono veramente
vive-. Girò la testa da un lato e gridò: -Io non sono viva!-" (ivi, p.
216). In questo straziante urlo risuona lo smarrimento dell'androide incapace
di affrancarsi dalla sua programmazione, ma anche il disorientamento dell'uomo
con cui si accoppia, un carnefice che, nel ribaltamento di ruoli così
tipicamente dickiano, appare comunque vittima della sua umana inconsapevolezza,
della sua umana finitezza, succube di un sistema, di uno scialbo, ordinario,
livido quotidiano che spegne le passioni, stempera i sentimenti, annacqua le
vocazioni, dissangua la vita nell'attesa della morte, ingrigendo i personaggi,
sospingendoli verso l'alienazione, la reificazione, rendendoli simili ad
automi, a prodotti di serie, stimolati a formulare risposte in base ad uno specifico
programma, condannati da un'antica maledizione a violare la propria identità,
ad offrire ognuno il proprio ricco tributo di cose sbagliate (ivi, p. 201).
È lo stesso smarrimento dei cervelli spappolati, gli slushed brains di Un
Oscuro Scrutare, che tentano di ridefinire i contorni di una nuova esistenza,
nell'intento di riaffidare ad essa un senso, infrangendone i confini, per
impossessarsi della propria fine. Destinati a scomparire tutti, uno dopo
l'altro, ad esaurirsi, proprio come gli androidi, i tossici vanno incontro ad
un tempo programmato, ne custodiscono il termine, instillandosi la morte,
pervicacemente, dose su dose: "Una terribile Nemesi per tutti coloro che
hanno continuato a giocare [divertendosi]. Io stesso non sono un personaggio di
questo romanzo [annuncia solennemente Dick]: io sono il romanzo. Tuttavia così
appariva la nostra nazione in quel periodo. [...] È stata [...] la decisione
sbagliata di un intero decennio, gli anni Sessanta, sia dentro sia fuori dal sistema.
E la natura ci è rovinata addosso"
(Nota dell'autore in Un Oscuro Scrutare, p. 332).
(Nota dell'autore in Un Oscuro Scrutare, p. 332).
Dal mitico miraggio di un'illimitata potenza o di una possibile infinitezza
umana le illusioni regalate da utopie perdenti, non trasformate in proiezioni
organizzative, e le precognizioni di un immaginario profetico, strutturato
attorno all'invasivo accoppiamento uomo-tecnologia, approdano ai terrificanti
incubi di disfacimento, affioranti in tutte le opere di Dick, e alle
premonizioni di una perversa morfogenesi che nega la storia. In Ma gli androidi
sognano pecore elettriche? una guerra mondiale ha desertificato la Terra,
ammantandola di kipple, uno spesso strato di fanghiglia formato da polvere
radioattiva, frammenti di rifiuti e detriti, minacciosamente dilagante, che
deturpa il volto di un pianeta degradato, "immerso nella gelida notte
dell'inquinamento" (Di Costanzo 1991), abitato da poche specie di animali
non ancora estinte e da uomini che rischiano di trasformarsi, per effetto delle
radiazioni, in esseri "speciali", minorati psichici, Kipple viventi,
residui di individui, devastati da un processo incontrovertibilmente in atto.
Corpi che potremmo definire kipplizzati calcano anche lo squallido scenario di
Un Oscuro Scrutare, avanzi di carne intaccata in cui albergano le menti
ottenebrate di misere creature alle prese con le proprie meschinità coatte, con
pratiche umilianti, con
mortificazioni senza riscatto, condotte dalla droga alle frontiere della
follia, accompagnate dal delirio paranoide al progressivo assorbimento nella
vita fantastica, all'isolamento tipico del comportamento autistico, carattere
fondamentale della costituzione schizoide, costrette all'appiattimento
idiosincratico sul proprio mondo interiore, all'indebolimento emotivo, e
predestinate, proprio come gli androidi, a non poter più concepire alcuna gioia
o alcun dolore in comunione con i propri simili.
In L'androide e l'umano, profonda incursione non narrativa nel campo dell'etica sociale (Sutin, p. 205), Dick racconta di aver udito un folle esprimersi così: "Ricevo segnali dagli altri. Ma non riesco a produrne di miei, finché non mi ricarico. Con un'iniezione" (L'androide e l'umano, in Mutazioni, p. 241). Il pensiero privo di pathos, che associa tossici, schizoidi e androidi, attraversa minacciosamente le pagine dickiane: "Ti amo [...]. Se entrassi in una stanza e trovassi un divano rivestito con la tua pelle, registrerei un punteggio altissimo al test Voigt-Kampff" (Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, p. 217) comunica l'androide Rachael al suo amante umano, riferendosi a un test utilizzato per rivelare la presenza delle creature artificiali, esaminarne la personalità, analizzarne i meccanismi verbali, misurarne l'insensibilità nei confronti del "vero" significato delle parole, che le reflex machine definiscono solo formalmente, esclusivamente sotto il profilo intellettuale (ivi, p. 213), proprio come accade agli schizofrenici, anch'essi in grado di approdare unicamente a processi di comprensione astratta, traducibile in un'atomistica riduzione a una serie di costituenti inadatti
a strutturare un'emozione.
In L'androide e l'umano, profonda incursione non narrativa nel campo dell'etica sociale (Sutin, p. 205), Dick racconta di aver udito un folle esprimersi così: "Ricevo segnali dagli altri. Ma non riesco a produrne di miei, finché non mi ricarico. Con un'iniezione" (L'androide e l'umano, in Mutazioni, p. 241). Il pensiero privo di pathos, che associa tossici, schizoidi e androidi, attraversa minacciosamente le pagine dickiane: "Ti amo [...]. Se entrassi in una stanza e trovassi un divano rivestito con la tua pelle, registrerei un punteggio altissimo al test Voigt-Kampff" (Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, p. 217) comunica l'androide Rachael al suo amante umano, riferendosi a un test utilizzato per rivelare la presenza delle creature artificiali, esaminarne la personalità, analizzarne i meccanismi verbali, misurarne l'insensibilità nei confronti del "vero" significato delle parole, che le reflex machine definiscono solo formalmente, esclusivamente sotto il profilo intellettuale (ivi, p. 213), proprio come accade agli schizofrenici, anch'essi in grado di approdare unicamente a processi di comprensione astratta, traducibile in un'atomistica riduzione a una serie di costituenti inadatti
a strutturare un'emozione.
La "coscienza riflessiva" (Carrére, p. 138) accomuna creature
condannate irrimediabilmente a una vita che non prevede redenzione, a un
drammatico scacco finale. Lo spettrale profilarsi dell'invincibile tomb world, che
cova la forza ultima, frantumando lo spazio e spezzando il tempo, conduce alla
deriva entropica verso cui declinano inesorabilmente le teorie degli
avveniristici paramondi e dei futuribili multiversi con l'armamentario di tutte
le loro possibilità.
le loro possibilità.
Bizzarrie
interpretative
Gli ibridi dickiani che conciliano (?) autosviluppo e progettazione
esterna, sperimentazione e profitto, ricerca e commercio, salvezza e dannazione
sembrano predelineare nitidamente un'ipercontemporaneità sempre più
proteiforme, presagita lucidamente da Dick, le cui intuizioni
fantascientifiche, fantapolitiche e fantastoriche illuminano il futuro nelle
sue pieghe più insondabili. Avventuriamoci pure, dunque, nei meandri di qualche
eccentricità ermeneutica o bizzarria interpretativa, divertiamoci, articolando
la lettura delle opere di Dick in modo da promuovere, attraverso osservazioni,
spunti, riferimenti, magari discutibili o azzardati, la continua rigenerazione
di testi che, trovando puntualmente conferma nella storia e nelle sue soluzioni,
sembrano creati apposta per autoriprodursi.
I tentativi di evasione dalla nostra gabbia corporea e di sottrazione dai ritmi evolutivi prestabiliti, così drammaticamente e potentemente raccontati da Dick, accompagnano il percorso di contraffazione attraversato da creature che popolano il nostro mondo, nuove alterità, perturbanti e irriconoscibili, indefinite e indefinibili, che sembrano oltrepassare l'avvenire prima ancora che si attualizzi, collocate in un flusso temporale ritoccato, in un continuum biologico sospeso, non più disteso sulle sue volute, non più adagiato sulla naturale sequenza passato-presente-futuro. È, ad esempio, il destino mutato di una cavia transgenica, l'OncoTopo, una delle numerose icone del dolore che infestano l'immaginario contemporaneo.
I tentativi di evasione dalla nostra gabbia corporea e di sottrazione dai ritmi evolutivi prestabiliti, così drammaticamente e potentemente raccontati da Dick, accompagnano il percorso di contraffazione attraversato da creature che popolano il nostro mondo, nuove alterità, perturbanti e irriconoscibili, indefinite e indefinibili, che sembrano oltrepassare l'avvenire prima ancora che si attualizzi, collocate in un flusso temporale ritoccato, in un continuum biologico sospeso, non più disteso sulle sue volute, non più adagiato sulla naturale sequenza passato-presente-futuro. È, ad esempio, il destino mutato di una cavia transgenica, l'OncoTopo, una delle numerose icone del dolore che infestano l'immaginario contemporaneo.
Modello di ricerca transpecifico,
sito per il trapianto di un gene tumorale umano, che produce cancro al seno,
primo animale brevettato al mondo (1), il suo ciclo vitale è modulato dalle
istituzioni normative che regolano il mercato mondiale. Ridefinito come invenzione
dallo status di brevetto, merce circolante nei circuiti di scambio del capitale
transnazionale, scheggia di potere innervata nella carne, coagulo di scienza, denaro
e natura, l'animale da laboratorio biotecnico e biomedico è una creatura che potremmo
definire dickianamente semiviva, appartenente al regno dei morti viventi (Haraway,
p. 119), è una metafora della nostra mortalità e una promessa di vita, di più
vita. Trapiantando nel ratto progettato l'oncogene, controllandone il comportamento,
procurandogli la malattia, promettendogli la morte, se ne tradisce la
biochimica spontanea, se ne devia la destinazione spazio-temporale, se ne contamina
l'originalità, se ne condiziona il telos, se ne adultera l'identità.
I bisogni impiantati, la proficua agonia,
i palpitanti squittii del topo umano esprimono una
I bisogni impiantati, la proficua agonia,
i palpitanti squittii del topo umano esprimono una
sofferenza reale di un corpo reale, di una vittima sacrificale che ha
introiettato la tecnica, ne ha investito i progressi, ne ha patito gli
sviluppi, ne ha pagato i fallimenti, in una crudele forma di esistenza altra,
che giustifica l'efferatezza e sublima il sadismo. Si inocula la morte negli
esseri viventi per ricercare più vita, e si simula la vita nella realtà
inanimata, per esperire la caritas: è l'esistenza di un altro animale, questa
volta virtuale, tuttavia in grado di incidere sulla realtà come un elemento
sensibile, manifestando un dolore finto, ma terribilmente convincente, a creare
paradossalmente un microcosmo di straordinaria,
per quanto effimera, pietas.
Inventato in un paese densamente popolato come il Giappone, dove sembra non esserci più spazio per gli animali veri, e dove pare che, proprio come nella San Francisco povera di stelle di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, lo smog stia per coprire il firmamento, il Tamagochi richiama abbastanza l'idea della fauna elettrica che, forse, non popolerà mai i sogni degli androidi, per non affiorare nei pensieri di noi abitanti di un mondo sconvolgentemente sempre più dickiano.
per quanto effimera, pietas.
Inventato in un paese densamente popolato come il Giappone, dove sembra non esserci più spazio per gli animali veri, e dove pare che, proprio come nella San Francisco povera di stelle di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, lo smog stia per coprire il firmamento, il Tamagochi richiama abbastanza l'idea della fauna elettrica che, forse, non popolerà mai i sogni degli androidi, per non affiorare nei pensieri di noi abitanti di un mondo sconvolgentemente sempre più dickiano.
Il trepidante accorrere ai richiami della bestiolina elettronica, capace di
suscitare accorata partecipazione, sembra in qualche modo voler contrastare il
senso di crescente inadeguatezza del nostro linguaggio, che, nella ricerca di
una sintesi estrema, assorbe l'influsso delle nuove tecnologie, subisce un
processo di corrosione, di sfarinamento, di disgregazione in kipple, si
avvicina sempre più alle scheletriche e scarnificate forme di espressione
linguistica degli androidi, abbandona lo spessore sensoriale della vita, si
sradica dalla materialità del corpo, confermando la previsione di Dick che,
precognito un naufragio entropico nell'oceano comunicativo, affida ai manufatti
umani, il compito di trattenere senso, di conservare significati, di
trasmettere messaggi, di comunicare emozioni.
Nonostante l'ineluttabile futuro di inutilità, di kipplizzazione,
caratterizzi anche il mondo inanimato, è l'interazione, per quanto illusoria,
per quanto fantasmatica, che consente alle cose di acquisire un'anima, che
agita la vita negli oggetti inerti, è la tecnica antropomorfizzata che forse
esprime un bisogno di compassione, che ricerca una più intensa reciprocità di
prospettive tra il soggetto e un ambiente sempre più automatizzati. Si
preconizza un dissolvimento della valenza simbolica nelle possibilità dialogiche
e un inaridimento della carica empatica nel sentire dell'uomo: nei robot,
partoriti dalla fervida immaginazione dickiana, muniti di lenti-scanner ad ampio
spettro e di motori, alimentati da batterie ad elio, magari capaci di sanguinare,
se feriti, come cuori umani, sempre più affiora, misteriosamente strisciante,
l'empatia, miseramente prosciugata negli uomini, preservata, forse, soltanto
nei corpi deevoluti di quei soggetti definiti "speciali", regrediti biologicamente,
destinati a uscire dalla storia.
destinati a uscire dalla storia.
Può accadere che nel programma degli androidi più sofisticati sia inserita
una memoria fittizia, che attribuisca loro l'illusione di essere degli umani,
rendendoli inconsapevoli della loro essenza artificiale. La sconvolgente
disperazione dell'androide che improvvisamente si scopre tale è una delle
reazioni più impressionantemente umane messe in scena da Dick, difficilmente
riconoscibile come modalità di un programma, come risposta prevista a
particolari stimoli verbali, derivata dall'attivazione di un determinato numero
di bit. Se è vero che le entità naturali appaiono caratterizzate da una sempre
più profonda acquisizione di schemi e modalità di comportamento meccanico, è
anche vero che un corpo, abitato da un programma di intelligenza artificiale, e
interagente con il mondo, non può non avere profonde influenze sulla propria
fondamentale elettronicità. "Io ne ho viste di cose che voi umani non
potreste immaginarvi" confida tragicamente, in punto di morte, Roy Batty,
replicante di Blade Runner, diretto da Ridley Scott, trasposizione filmica di
Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, ma anche di un intero ventaglio di
tematiche dischiuso nell'opera dickiana. "Questa entità artificiale che è diventata
sempre più umana mostra una capacità di meravigliarsi forse più che umana, di
fronte agli spettacoli che lo scontro tra natura e tecnologia mette in scena"
(Fattori 2001, p. 135), di fronte alla lacerante contraddizione tra una scienza
proiettata verso un luminoso progresso e un uomo alla deriva
nell'imperscrutabile universo.
Le trasformazioni della società, che si evolve grazie anche alla tecnica,
richiedendo nuovi e continui progressi scientifici, ci inducono a ritenere le
mutazioni antropologiche come il prodotto di un andamento ciclico promosso dal
vissuto quotidiano, dai bisogni espressi in un determinato contesto
spazio-temporale. L'assimilazione di uomo e macchina genera un'espansione del
corpo attraverso nuovi canali di scambio con il mondo esterno, diventato
un'estensione della coscienza umana, proprio come accadeva, attraverso il
processo di antropomorfizzazione della natura, nelle culture primitive (de
Kerckhove, p. 59), e nella reciprocità di prospettive tra l'individuo e
l'ambiente che esse realizzavano (Lévi-Strauss, p. 243).
Potenziati prodigiosamente nelle capacità, viviamo, come nelle
prefigurazioni dickiane, in un regime di spazio-temporalità che sembra aver
spezzato il compimento dell'evoluzione, ma rimaniamo comunque ingabbiati in una
fisicità votata all'estinzione. La brutalità esercitata ai fini terapeutici,
sullo sfondo del dominio delle priorità economiche, potrà offrirci
impressionanti spettacoli di morte, regalandoci oscene felicità, ma non ci
affrancherà dalla fine, dalla miseria della nostra condizione. Copie sempre più
fedeli degli androidi, intricati grovigli di circuiti, batterie, valvole e
bobine, dal labirinto delle nostre esistenze, invochiamo più vita, evocando
possibilità e provocando contraddizioni. Pronti a sostituire parti del nostro corpo
non più funzionanti, ridotte a cose inutili, a kipple, ci apprestiamo a ricolonizzare
il vissuto, sorretti dall'attività di ticchettanti macchinari, cancellando una
programmazione istintuale, annullando la virtualità animale di percepire l'approssimarsi
incontrastabile della fine. Non sentiamo più terminare il nostro tempo, come
Robert Arctor, con le sue varie individualità, o come Rachael Rosen, con la sua
identità ibridata, disorientati da una sensorialità alterata, da una vita ingurgitata
o affidata ad un congegno. Dotati di microchip, pace-maker ed elettrocateteri,
o addirittura forniti di cuori e sangue artificiali, patetici "manufatti bastardi"
(Haraway, p. 34), ibridi chimerici fatti di Kipple e vita, di scienza e morte, ridotti
a merce fin nel DNA, mentre le aziende biotech si affrettano a registrare brevetti,
percorriamo spediti il destino di cyborg, presagito da Dick, stampigliato sui nostri
circuiti, cogliendo inedite opportunità, instaurando nuove dipendenze, prolungando
l'esistenza, combattendo l'insensato.
Inane è la sfida contro l'implacabile trionfo della debolezza umana,
lanciata attraverso l'avvicendamento di trasformazioni organiche, frutto della
ricerca di un'artificialità che sconfigga l'ineluttabile destino di
dissoluzione, l'ineludibile, per quanto allontanata, tappa finale del cammino
individuale. I tossicomani folli di Un Oscuro Scrutare e le creature perdute di
Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, sbigottiti e dolenti, nel loro
tormento senz'anima (?), nella loro caparbia coazione, inconsapevoli kipple
umani e ignoranti kipple tecnologici, brandelli vaganti di paura e stupidità,
vanificato ogni ruolo, svanita ogni memoria, spenta la frenesia e sbiadita
l'anempatia, aspettano comunque il tempo della morte. Un tempo che non dipana
più i propri fili, che non scorre più, non spiana le proprie pieghe, non illumina
giorni nuovi, il tempo dell'ombra funesta, dell'oblio totale, del mistero ultimo
in cui si smarrisce la speranza e si illanguidisce la conoscenza.
Opere di Philip K.
Dick citate:
Solar Lottery, 1955 (trad. it. di L. Grimaldi,
Il disco di fiamma, Mondadori, Milano,
1992).
The Three Stigmata
of Palmer Eldritch, 1965 (trad. it. di G. Pannofino, Le tre
stimmate di Palmer Eldritch, Sellerio, Palermo, 1996).
Now Wait for Last
Year, 1966 (trad.
it. di G. Tamburini, Illusione di potere,
Mondadori, Milano, 1993).
Do Androids Dream
of Electric Sheep?, 1968 (trad. it. di R. Duranti, Ma gli androidi
sognano pecore elettriche?, Fanucci, Roma, 2000).
Flow My Tears, the Policeman
Said, 1974 (trad. it. di
V. Curtoni, Scorrete lacrime,
disse il poliziotto, Mondadori, Milano, 2000).
A Scanner Darkly, 1977 (trad. it. di G. Frasca,
Un Oscuro Scrutare, Fanucci, Roma,
1998).
Bibliografia critica:
E. Carrère Je suis vivant et vous êtes morts, 1993 (trad. it. di S.
Papetti, Io sono vivo e voi siete morti, Theoria, Roma-Napoli, 1995).
G. Di Costanzo Introduzione, in Gioco all'alba. Napoli nelle foto di
Paolo Pelli, Hidra, senza indicazione di città, 1991.
"Il narratore del raggio rosa", in "Il
Mattino", 1 marzo 1992.
"1994, allarme morte", in "Il
Mattino", 11 aprile 1994.
A. Fattori Di cose oscure e inquietanti, Ipermedium, Napoli, 1995.
Memorie dal futuro, Ipermedium, Napoli, 2001.
G. Frasca La scimmia di Dio, Costa & Nolan, Genova, 1996.
D.J. Haraway Modest_Witness@FemaleMan(c)MeetsOncoMouse(tm), 1997
(trad. it. di M. Morganti, rev. di L. Borghi, Testimone_Modesta@FemaleMan(c)_incontra_Oncotopo(tm),
Feltrinelli, Milano, 2000).
D. de Kerckhove The Skin of Culture, 1995 (trad. it. di M. T. Carbone, La
pelle della cultura, Costa & Nolan, Genova, 1996).
C. Lévi-Strauss La pensée sauvage, 1962 (trad. it. di P. Caruso, Il
pensiero selvaggio, Il Saggiatore, Milano, 1996).
M. McLuhan The Man and His Message, 1989 (trad. it. di F. Gorjup
Valente in coll. con S. Lepore, L'uomo e il suo messaggio, Sugarco, Milano,
1992).
C. Pagetti "Uomini e androidi", in Ph. K. Dick, Cacciatore
di androidi, Editrice Nord, Milano, 1986.
"La vita degli androidi è sogno", in Ph. K.
Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Fanucci, Roma, 2000.
L. Sutin (a cura di) The Shifting Realities of Philip K. Dick: Selected
Literary and Philosophical Writings, 1995 (trad. it. di G. Pannofino, Mutazioni.
Scritti inediti, filosofici, autobiografici e letterari, Feltrinelli, Milano, 1997).
1 "Le controversie che hanno
circondato la brevettazione e la commercializzazione del 'topo di Harvard' sono state al centro
dell'attenzione della stampa scientifica e popolare in Europa e negli Stati Uniti . [...] Il 12
aprile 1988 l'ufficio federale dei marchi e brevetti concesse un brevetto a due ricercatori
genetici, Philip Leder della Scuola di medicina di Harvard e Timothy Stewart di San
Francisco, che lo intestarono al presidente e agli amministratori
dell'Harvard College. L'ulteriore concessione del brevetto alla E. I. Du Pont de Nemours
& Co. per lo sviluppo commerciale è diventata il marchio della simbiosi tra
industria e accademia nel campo della biotecnologia dalla fine degli anni settanta
in poi. Con una concessione illimitata a Philip Leder per lo studio della genetica e
del cancro, la Du Pont è stata uno dei maggiori sponsor della ricerca. La Du Pont fece
successivamente degli accordi con i laboratori Charles River di Wilmington nel
Massachussets, per commercializzare OncoTopo(tm). Nel suo Listino Prezzi del
1994, Charles River pubblicava cinque versioni di questi topi portatori di
differenti oncogeni dei quali tre si traducevano in tumori del seno. Questi roditori
possono contrarre molti tipi di cancro, ma quello del seno è stato quello semioticamente
più potente nella stampa come nel brevetto originale" (Haraway, p. 120).
Nessun commento:
Posta un commento