Felicien Rops |
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"Mai nella storia, per quanto ne sappiamo, c'è stato un
tentativo così determinato, riccamente sovvenzionato, politicamente
organizzato di persuadere il genere umano che tutto il progresso, tutta
la prosperità, tutta la salvezza, individuale e sociale, dipende da un
conflitto indiscriminato per il cibo e il denaro, dalla soppressione del
debole da parte del forte, dal Libero Commercio, dal Libero Contratto,
dalla Libera Competizione, dalla Libertà Naturale, dal Laissez-faire: in
breve, dall'abbattere il nostro simile impunemente"
George Bernard Shaw
***
Introduzione: liberismo e globalizzazione, al di là del bene e del male.
« Gesù disse ai suoi Giudei:
“La legge era fatta per i servi, amate Dio come io lo amo, come suo
figlio! Che importa della morale a noi figli di Dio!”» “Al di là
del bene e del male”, Friedrich Wilhelm Nietzsche
Il
Trilemma di Rodrik è sicuramente un potente strumento concettuale
che modellizza ciò che dovrebbe essere ovvio ad una persona
istruita: ovvero che il diffuso benessere sociale che l'effettività
della democrazia comporta, è in contrapposizione con la
deregolamentazione del movimento dei capitali che il liberoscambismo
impone.
Punto.
Non
ci sarebbe nulla da aggiungere, oltre che invitare a studiare la
storia dell'economia politica: il dogma del laissez-faire non è
proprio né dei grandi economisti classici come Adam Smith né,
tantomeno, di quelli un po' più “incolti” à la David Ricardo.
Il
liberista così come lo conosciamo, è prodotto coscienziale di un
marketing legittimamente promosso e lautamente finanziato dalle
grandi oligarchie protagoniste dello sviluppo del capitalismo finanziario. Diffonde quindi proseliti che esulano, perlopiù, dalla
scienza economica e, quando ciò non si verifica, la Storia li
riscontra al di fuori delle prestigiose sale convegni, rigorosamente
nella forma di immani catastrofi sociali; queste fallacie
previsionali – oltre ad essere propedeutiche a ristrutturazioni
sociali efficacissime nei loro effetti malthusiani – hanno l'utile
risvolto di screditare la professione economica nel suo insieme, in
modo che chiunque – dall'esperto di diritto internazionale della
finanza, al prestinaio – possa esprimere la sua democratica
opinione su ciò che, non avendo empiricamente i presupposti di
scientificità, ha egual diritto di comparire nelle discussioni al
bar, o di essere pubblicata nelle colonne di prestigiosi quotidiani
economici.
(Non
a caso le argomentazioni sono più o meno similmente argute: con una
certa maggior raffinatezza tra gli avventori del Bar dello sport,
grazie alla miglior predisposizione alla statistica e all'aritmetica,
abilità perfezionate tra un bianchino e una Quaterna, e tra un conto
della Primiera e un altro bianchino).
Tuttociò è razionale, in quanto i monopoli finanziari possono
consolidare rendite, quote e potere di mercato.
Nel
virile darwinismo globale tanto amato dai liberisti, “giusto” «
è l'utile del più forte ». Il diritto internazionale non è altro
che, quindi, assicurarsi che «a ognuno venga restituito il dovuto »:
ossia «restituire il bene agli amici e il male ai nemici ».
Va
da sé che per lo squalo della finanza – forte nel capitale – e
per i moderati – forti nel numero – lo Stato-nazione è Il Male.
Se
un'economia di mercato è liberalizzata, è naturale che le divine
forze della natura si sfoghino darwinisticamente, edificando un nuovo
ordine etico e giuridico: in una società capitalistica, la logica
propulsiva è quella del profitto e dell'accumulo, ed è legittimo
che solo chi controlla una spropositata concentrazione economica
possa comprare leggi, morale e – sputando per terra – creare
l'uomo nuovo a propria immagine e somiglianza; pronto a servirlo e ad
amarlo. Questo è con tutta evidenza il lavoro di Dio.
Il
mercato della morale ha un nuovo soggetto in posizione dominante: il
monopolio diventa monoteismo.
1 – La fioritura del liberalismo: modernità come reazione al progresso.
« Una terribile moralità »,
Charles Baudelaire commenta il suo capolavoro, simbolo dell'art pour
l’art, cioè del “liberalismo in letteratura” [1].
Per
quanto sia comprensibile che vivere come superuomini [2] – con “i
dollari che scorrono a posto del sangue” – sia un'ebbrezza
talmente appagante che non possa essere scambiata con nulla che valga
la pena di essere – comparabilmente – vissuto, è altrettanto
comprensibile che quella restante componente di ominidi – zerbini
sottesi tra la bestia e l'uomo, pericolosamente sporti sull'abisso
della rete fognaria – cerchi di organizzarsi per vivere in modo
libero e dignitoso.
Nella
realtà, come intuito dall'idealista di Stoccarda nell'analizzare la
dialettica servo-signore, sarà più facile che il subalterno rinunci
ai propri diritti, che il dominante rinunci ai propri privilegi:
concetto ben rappresentato in via simbolica da Félicien Rops
(1878): [3]
Il
signore è il servo del servo, e il servo è il signore del
signore [4].
Insomma:
sotto il loden niente.
2 – Il dilemma del lemma nel Trilemma: breve patografia del senso democratico.
« Conviene che la riforma
[costituzionale fascista] rispetti quanto è possibile le forme
esistenti, rinnovando la sostanza. […] I modi sono infiniti, lo
scopo è unico ed è di evadersi dalle ideologie democratiche della
sovranità della maggioranza. A questa rimanga l’apparenza, ma vada
la sostanza ad una élite, poiché è per il meglio oggettivamente. »
Vilfredo Pareto
Vilfredo Pareto
«Voi inorridite perché
vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società
attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi
membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per
nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire
una proprietà che presuppone come condizione necessaria la
privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della società.
In una parola, voi ci rimproverate di volere abolire la vostra
proprietà.
Certo, questo vogliamo.»
Carlo Marx
Carlo Marx
«È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale
del Paese »
Lelio Basso
Lelio Basso
A
fare brillantemente il re nudo – che Dio ce ne scampi! – con uno
di quegli schemini che piacciono tanto ai microliberisti
american-style, è stato l'economista di Harvard Dani Rodrik.
Già
Amartya Sen, sulla falsa riga del “teorema dell'impossibilità di
Arrow”, aveva già dimostrato matematicamente come non fosse
possibile realizzare nemmeno teoricamente il dogma del liberalismo
classico, che postula indissolubilmente efficienza paretiana del
mercato e rispetto delle libertà individuali.
Sen
dimostra che nessun sistema sociale può contemporaneamente:
1
– essere votato ad un senso minimo di libertà;
2
– rispettare l'efficienza allocativa così come formulata da
Vilfredo Pareto;
3
– essere in grado di funzionare in qualsiasi società.
Era
perciò matematico che un processo di mondializzazione strutturato
sul dogma dell'efficienza allocativa liberista si traducesse nella
barbarie della macelleria sociale e dell'inciviltà. D'altronde così
è sempre stato.
Il Paradosso di Sen, chiamato anche Liberal paradox, è un “paradosso”
solo per colui che non conosce la storia: in definitiva non fa altro
che, usando gli strumenti dell'economia neoclassica stessa,
utilizzare “raffinate” dimostrazioni matematiche per evidenziare
che la “libertà” per i liberali classici è sempre – e solo –
quella del mercato. La propria.
Ovvero
la struttura che viene imposta con il libero mercato non implica
affatto sovrastrutture politiche e giuridiche che possano minimamente
essere funzionali a tutelare la libertà dell'individuo. Soprattutto
se questi non nasce già schifosamente ricco o non ha come obiettivo
totalizzante della propria esistenza fare soldi a palate.
Grazie
Amartya, ma lo aveva già detto Carletto Marx quasi due secoli fa,
scritto su un best seller:
«
[...] l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e
vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante.
[…]
Nella
società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre
l'individuo operante è dipendente e impersonale[5].
E
la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà
l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti, si tratta
dell'abolizione della personalità, della indipendenza e della
libertà del borghesnon ce lae.
Entro
gli attuali rapporti di produzione borghesi per libertà s'intende il
libero commercio, la libera compravendita.
[...]
Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla
libertà della nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto
rispetto al traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del
medioevo »
La
libertà è una merce come tutte le altre, si vende e si compra. Da
secoli.
2.1
Dani Rodrik estende il non-paradosso alla globalizzazione,
sottolineando che solo due su tre delle seguenti proposizioni possono
teoricamente realizzarsi con un certo grado di effettività:
(A)
– costruire una profonda integrazione economica;
(B)
– lasciare sostanzialmente inalterata la sovranità degli Stati
nazionali;
(C)
– perseguire politiche democratiche.
Infatti:
1
– (A Λ B) → ⌐C – Un sistema monetario internazionale con
cambi fissi tipo gold standard permette di integrare le economie e
preservare formalmente le sovranità nazionali, ma, come dimostrato
per l'ennesima volta dall'euro, “quote 90” e monete uniche si
rivelano strumenti fascisti di repressione.
2
– (B Λ C) → ⌐A – Si rinuncia per l'ennesima volta alla
globalizzazione e alla libera circolazione dei capitali, e si torna
ai gloriosi anni di Bretton Woods.
3
– (A Λ C) → ⌐B – Un federalismo globale kantiano – il
Fogno! – eliminerebbe gli stati nazionali ma “preserverebbe la
democrazia”... Hayek e Madison si stanno ancora sganasciando dalle risate.
«
Il professor Hayek ha anche probabilmente ragione nel dire che in
questo paese gli intellettuali hanno un'attitudine mentale più
totalitarista rispetto alla gente comune. Ma lui non vede, o non
ammette, che un ritorno alla “libera” concorrenza significa per
la grande massa di persone una tirannia probabilmente peggiore,
perché più irresponsabile, rispetto a quella dello Stato. Il
problema con la competizione è che qualcuno la vince. Il professor
Hayek nega che il libero capitalismo porti necessariamente al
monopolio, ma in pratica è lì che ha condotto, e dal momento che la
stragrande maggioranza delle persone preferirebbe di gran lunga una
stretta regolamentazione statale ai crolli e alla disoccupazione, la
propensione verso il socialismo è destinata a continuare, se
l'opinione pubblica ha qualche voce in capitolo. »
« […] tutti i cittadini concorrono in misura giuridicamente uguale alla formazione della volontà dello Stato che si manifesta nelle leggi e in cui in misura giuridicamente uguale tutti i cittadini partecipano ai diritti e ai doveri che dalle leggi derivano [...]. D'altra parte, per aversi uno Stato sovrano ed indipendente è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò preposti, le forze politiche interne: Stato democratico sovrano è quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato. »
(Tutto
ciò è sensato ed è a prova di american-style-minded: quindi?
Quindi basta intervistare un trumbè, che ha un cugino che lavora
nella prestigiosissima istituzione e che gli ha detto « xxx xx xxx
xx [quattro proposizioni sconnesse a caso] », e farlo pubblicare su
un organo d'informazione di massa: la risposta a chi ha speso anni e
anni di studio per formalizzare l'ovvio è stata data, quindi pari e
patta, “la tua parola contro la mia”, l'economia non è una
scienza, lo Stato è cattivo anche se lo Stato sei tu, l'austerità è
brutta ma espansiva, quindi l'euro è bello... ecc.)
Tralasciamo
che i simpatici architetti della globalizzazione auspicano (pardon,
stando con Attali, «prevedono») pure una moneta unica alla fine
del processo di mondializzazione: siamo avviati in fretta e furia
verso un dispotismo tirannico con tutta l'irresponsabilità tipica
del mercato monopolistico. Proprio la conclusione a cui è giunto
George Orwell recensendo "The Road to Serfdom" di Hayek:
2.1 – Il “Lemma”
La
letteratura che esiste sull'inconciliabilità tra laissez-faire e
libertà individuale – con “libertà” intesa come qualcosa che
non sia l'illimitata possibilità del più forte di « abbattere il
proprio simile impunemente » – è sterminata: sorprendentemente
“pop” a tutti i livelli è invece la cultura democratica, dove
per Democrazia sovrana– stando con Calamandrei – si intende
quella forma di governo per cui:
« […] tutti i cittadini concorrono in misura giuridicamente uguale alla formazione della volontà dello Stato che si manifesta nelle leggi e in cui in misura giuridicamente uguale tutti i cittadini partecipano ai diritti e ai doveri che dalle leggi derivano [...]. D'altra parte, per aversi uno Stato sovrano ed indipendente è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò preposti, le forze politiche interne: Stato democratico sovrano è quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato. »
Evocativa
della cultura democratica al di fuori della tanto deprecata
Repubblica Italiana, è la difesa di Rodrik nell'argomentare contro
l'attacco portato dall'eurista – ovviamente filosofo morale –
Martin Sandbu.
Il
lemma “democrazia” nel vocabolario del liberale (filosofo) è un
concetto indubbiamente esoterico [6]: secondo Rodrik:
Questo sarebbe vero nelle situazioni “ottimistiche” come, ad esempio,
«
il caso in cui il governo affronta un problema di "incoerenza temporale" [la teoria dei giochi!, ndt]. Questo vorrebbe votarsi
al libero scambio o al consolidamento fiscale, ma si rende conto che
col tempo cederà alle pressioni e devierà da ciò che ex ante è la
sua politica ottimale. Così sceglie di legarsi le mani attraverso la
disciplina esterna. In questo modo, quando i protezionisti e grandi
spendaccioni [big spender] si presentano alla sua porta, il governo
dice: "Mi dispiace, l'OMC e il FMI non mi permette di farlo."
È meglio per tutti [“paretianamente efficiente”, ndt], tranne
che per i lobbisti e gli interessi particolari [tra cui quelli dei
lavoratori, titolari della sovranità democratica, ndt]. Questo è un
buon caso di delega e di disciplina esterna »
Cercando
nei Paesi dell'Unione Europea non troveremmo granché di meglio:
anche se per motivi storici diversi, Francia e Germania non sono
dotate di una costituzione economica che imponga inderogabilmente un
modello di azione di governo di matrice keynesiana, risolvendo il
conflitto sociale tramite lo Stato sociale. Né, tantomeno, sono
dotate di un “art.11 Cost.” che permetterebbe di “far fronte
comune” in caso si dovesse negoziare livello internazionale per la
risoluzione dei Trattati liberoscambisti.
Per dimostrarlo, si propone il seguente trilemma, che illustra come l' homo politicus non possa essere al contempo:
«le
democrazie hanno vari meccanismi per limitare l'autonomia e lo spazio
politico dei decisori. Ad ese«le
democrazie hanno vari meccanismi per limitare l'autonomia e lo spazio
politico dei decisori. Ad esempio, i parlamenti democraticamente
eletti spesso delegano il potere a organismi autonomi indipendenti o
quasi-indipendenti. Le banche centrali sono spesso indipendenti e ci
sono vari altri tipi di pesi e contrappesi nelle democrazie
costituzionali. Allo stesso modo, le regole globali possono rendere
più facile alle democrazie nazionali il raggiungere gli obiettivi
che si prefiggono, anche se queste comportano alcune restrizioni in
termini di autonomia. Keohane at al. discutono tre meccanismi
specifici: le regole globali possono migliorare la democrazia
controbilanciando i sezionalismi, tutelando i diritti delle
minoranze, sia migliorando la qualità delle scelte democratiche »
Questo sarebbe vero nelle situazioni “ottimistiche” come, ad esempio,
Questo
è un professore democratico di Harvard: la più prestigiosa
università al mondo con sede nel Paese che proclama di essere
modello di democrazia.
Il
danno che ha fatto l'economia neoclassica alle scienze sociali,
cercando di piegarle a quelle naturali, è pari solo al danno che ha
fatto alla democrazia e al sano internazionalismo che questa impone.
Insomma,
dopo quasi dieci anni, riscontriamo che il famoso Trilemma sulla
globalizzazione è stato formulato da un economista che crede al
potenziale benefico della banca centrale indipendente e della
disciplina esterna per la democrazia stessa: si pensi al senso
democratico dei Pasdaran del mondialismo che lo criticano!
Almeno
i nostri despoti e traditori della Patria ci hanno detto chiaro e
tondo che il vincolo esterno è necessario per disciplinarci, visto
che siamo plebei irresponsabili, non sappiamo governarci, e la
democrazia non la meritiamo: meritiamo solo « la durezza del vivere».
3 – Fenomenologia del liberale: coscienza democratica e sua riduzione eidetica (trilemma di Bazaar).
«Tutta l'opera di un artista
può servire allo scopo di occultare se stesso»
a proposito di Johann Wolfgang von Goethe, Sigmund Freud
a proposito di Johann Wolfgang von Goethe, Sigmund Freud
«Tutta l'opera di un liberale
può servire allo scopo di occultare se stesso»
a proposito del
liberista, Bazaar
L'occasione
che ha avuto Rodrik di asfaltare pubblicamente Sandbu sul Financial
Times, evidenziandone – magari – la preoccupante assenza di
quelle minime risorse culturali che permettono di parlare con cognita
causa di “democrazia”, è stata parzialmente sprecata, come
costernati constatiamo, da un certo deficit di cultura democratica
che sapevamo già essere insito nei principi fondanti della
Costituzione statunitense.
Ad
un esame approfondito ci potremmo rendere conto anche delle distanze
siderali che pare ci siano state tra la cultura democratica dei
nostri maggiori padri costituenti e quella di chi ha prodotto (è il
caso evidente della Spagna laddove si faccia un'analisi comparata
della struttura di tale Costituzione con quella italiana, ndQ.) le
Carte anche più moderne [7].
Meglio
delle prime costituzioni rigide o di quelle più moderne di stampo
ordoliberale, è – a questo punto – il modello degli inglesi, che
sono privi di una costituzione scritta e hanno maggiori margini di
discrezionalità (il che è attestato dalla profondità riformatrice
che potè assumente il Rapporto Beveridge, con un'attitudine che è
sempre riespandibile, ndQ.).
Notevole
è la conclusione di Beveridge, riportata da Villari:
“L’abolizione
del bisogno non può essere imposta né regalata ad una democrazia,
la quale deve sapersela guadagnare avendo fede, coraggio e sentimento
di unità nazionale”.
Se
una costituzione rigida ha – come nel caso eclatante di quella
americana – lo scopo effettivo di proteggere gli interessi delle
oligarchie dalle pretese democratiche dei lavoratori, tanto meglio
per le classi subalterne non aver vincoli fondamentali che, in
ultimo, tutelano gli interessi delle facoltose minoranze.
Questo
ci porta realisticamente a rivalutare al ribasso le effettive
possibilità di una riaffermazione delle democrazie sociali in
Europa.
E,
al contempo, considerando che questi sono incredibilmente gli unici
spazi in cui si ha la possibilità di acquisire effettiva
consapevolezza democratica in Italia, ci troviamo di fronte – con
un senso di orgoglioso sbigottimento – ad una grande
responsabilità.
Ad
ora ci si limiterà ad illustrare l'ipotesi per cui la genesi del
“batterio pop” – che trasforma qualsiasi argomentazione
fondamentale sull'ordine sociale, in un vociare ubriaco da Bar dello
Sport – sta nel liberalismo stesso.
Per dimostrarlo, si propone il seguente trilemma, che illustra come l' homo politicus non possa essere al contempo:
(A)
– Democratico;
(B)
– Liberale;
(C)
– Statista [8].
(
(A Λ B) → ⌐C ) Λ ( (A Λ B) → ⌐C ) Λ ( (A Λ C) → ⌐B
)
Chi
comincia ad avere un po' più chiari i principi di analisi economica
istituzionalista, depurati intenzionalmente dai retaggi ideologici
tramite un approccio epistemologico multidisciplinare – ovvero
sgomberando in primis tutte quelle sovrastrutture “pop” che non
sono altro che falsa coscienza – può cimentarsi nel tentativo di
falsificare questo trilemma con degli esempi storici.
(Inizierei
con Keynes e Calamandrei, tenendo bene in mente l'evoluzione del loro
pensiero)
4- Conclusioni. Modernità, mondialismo liberale e narcosi atonale: “la fine della storia” come eterna adolescenza.
« ...studiando la struttura
tonale imparai a leggere meglio gli spartiti. […] Di qui mi nacque
anche un odio per la musica moderna e per tutto quello che non è
musica classica. »
« ...l'uso frequente di frasi
fatte testimonia infatti una mente incapace di creare qualcosa. […]
Una trascuratezza di stile è molto più perdonabile di un'idea
confusa. […]
La gioventù, cui mancano
ancora pensieri propri, cerca di nascondere il suo vuoto mentale
dietro uno stile mutevole e luccicante. Non è in ciò la poesia
simile alla musica moderna? Allo stesso modo essa diverrà presto la
poesia dell'avvenire. Si parlerà con le immagini più strane; si
maschereranno pensieri confusi con argomentazioni oscure ma dal suono
elevato, in breve si scriveranno opere nello stile di Faust (seconda
parte), solo che mancheranno le idee di quella tragedia. Dixi!!!! »
Friedrich Wilhelm Nietzsche, 1858, “Come si diventa ciò che si è”
[1]
Cit. Michael Hamburger
[2]
Un Nietzsche ancora poco più che fanciullo argomentava che «...anche
Napoleone era infatti come un'aquila di carta. Se si toglieva la luce
che lo illuminava da dietro, anche lui era solo un povero pezzo di
carta che finiva relegato in un angolo! », 1858, “Come si diventa
ciò che si é”
[3]
Notare le arti che vengono calpestate: liberalismo come “trionfo della
banalità e della cazzata”.
[4]
Un cappello a cilindro sul porcellino potrebbe contribuire ad
attualizzarne la potenza espressiva: notare la cultura, rappresentata
dalle arti che vengono calpestate dalla élite pornocratica.
[5]
Risorsa umana, o come si dice in Goldman Sachs, « capitale umano ».
[6]
Dal “Vocabolario del buon liberale”: « Democrazia: forma di
governo che rende impossibile la realizzazione di se stessa »
[7]
Cfr. l'art.40 Cost. spagnola, per collocazione e formulazione, con la
chiarezza e la collocazione degli artt.3 cpv, 4 e 36 Cost.italiana.
[8]
Statista nell'effettività dell'accezione di: “abile nella prassi
politica in quanto consapevole teoreticamente dell'essenza tanto
della politica democratica, quanto di quella liberale”.
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