uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

domenica 17 aprile 2016

L'EQUIVOCO LIBERISTA SU RODRIK: IL TRILEMMA VALE UN DILEMMA (MOLTO RUMORE PER POCO)

Bazaar



Felicien Rops
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"Mai nella storia, per quanto ne sappiamo, c'è stato un tentativo così determinato, riccamente sovvenzionato, politicamente organizzato di persuadere il genere umano che tutto il progresso, tutta la prosperità, tutta la salvezza, individuale e sociale, dipende da un conflitto indiscriminato per il cibo e il denaro, dalla soppressione del debole da parte del forte, dal Libero Commercio, dal Libero Contratto, dalla Libera Competizione, dalla Libertà Naturale, dal Laissez-faire: in breve, dall'abbattere il nostro simile impunemente"
George Bernard Shaw
 
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Introduzione: liberismo e globalizzazione, al di là del bene e del male.

 

« Gesù disse ai suoi Giudei: “La legge era fatta per i servi, amate Dio come io lo amo, come suo figlio! Che importa della morale a noi figli di Dio!”» “Al di là del bene e del male”, Friedrich Wilhelm Nietzsche


Il Trilemma di Rodrik è sicuramente un potente strumento concettuale che modellizza ciò che dovrebbe essere ovvio ad una persona istruita: ovvero che il diffuso benessere sociale che l'effettività della democrazia comporta, è in contrapposizione con la deregolamentazione del movimento dei capitali che il liberoscambismo impone.

Punto.

Non ci sarebbe nulla da aggiungere, oltre che invitare a studiare la storia dell'economia politica: il dogma del laissez-faire non è proprio né dei grandi economisti classici come Adam Smith né, tantomeno, di quelli un po' più “incolti” à la David Ricardo.

Il liberista così come lo conosciamo, è prodotto coscienziale di un marketing legittimamente promosso e lautamente finanziato dalle grandi oligarchie protagoniste dello sviluppo del capitalismo finanziario. Diffonde quindi proseliti che esulano, perlopiù, dalla scienza economica e, quando ciò non si verifica, la Storia li riscontra al di fuori delle prestigiose sale convegni, rigorosamente nella forma di immani catastrofi sociali; queste fallacie previsionali – oltre ad essere propedeutiche a ristrutturazioni sociali efficacissime nei loro effetti malthusiani – hanno l'utile risvolto di screditare la professione economica nel suo insieme, in modo che chiunque – dall'esperto di diritto internazionale della finanza, al prestinaio – possa esprimere la sua democratica opinione su ciò che, non avendo empiricamente i presupposti di scientificità, ha egual diritto di comparire nelle discussioni al bar, o di essere pubblicata nelle colonne di prestigiosi quotidiani economici.

(Non a caso le argomentazioni sono più o meno similmente argute: con una certa maggior raffinatezza tra gli avventori del Bar dello sport, grazie alla miglior predisposizione alla statistica e all'aritmetica, abilità perfezionate tra un bianchino e una Quaterna, e tra un conto della Primiera e un altro bianchino).

Tuttociò è razionale, in quanto i monopoli finanziari possono consolidare rendite, quote e potere di mercato.

Nel virile darwinismo globale tanto amato dai liberisti, “giusto” « è l'utile del più forte ». Il diritto internazionale non è altro che, quindi, assicurarsi che «a ognuno venga restituito il dovuto »: ossia «restituire il bene agli amici e il male ai nemici ».

Va da sé che per lo squalo della finanza – forte nel capitale – e per i moderati – forti nel numero – lo Stato-nazione è Il Male.

Se un'economia di mercato è liberalizzata, è naturale che le divine forze della natura si sfoghino darwinisticamente, edificando un nuovo ordine etico e giuridico: in una società capitalistica, la logica propulsiva è quella del profitto e dell'accumulo, ed è legittimo che solo chi controlla una spropositata concentrazione economica possa comprare leggi, morale e – sputando per terra – creare l'uomo nuovo a propria immagine e somiglianza; pronto a servirlo e ad amarlo. Questo è con tutta evidenza il lavoro di Dio.

Il mercato della morale ha un nuovo soggetto in posizione dominante: il monopolio diventa monoteismo.

 


1 – La fioritura del liberalismo: modernità come reazione al progresso.



« Una terribile moralità », Charles Baudelaire commenta il suo capolavoro, simbolo dell'art pour l’art, cioè del liberalismo in letteratura” [1].

Per quanto sia comprensibile che vivere come superuomini [2] – con “i dollari che scorrono a posto del sangue” – sia un'ebbrezza talmente appagante che non possa essere scambiata con nulla che valga la pena di essere – comparabilmente – vissuto, è altrettanto comprensibile che quella restante componente di ominidi – zerbini sottesi tra la bestia e l'uomo, pericolosamente sporti sull'abisso della rete fognaria – cerchi di organizzarsi per vivere in modo libero e dignitoso.
Nella realtà, come intuito dall'idealista di Stoccarda nell'analizzare la dialettica servo-signore, sarà più facile che il subalterno rinunci ai propri diritti, che il dominante rinunci ai propri privilegi: concetto ben rappresentato in via simbolica da Félicien Rops (1878): [3]
Il signore è il servo del servo, e il servo è il signore del signore [4].
Insomma: sotto il loden niente.
Il sobrio rigore morale della tecnocrazia non è altro che la versione gesuitica della pornocrazia.

 


2 – Il dilemma del lemma nel Trilemma: breve patografia del senso democratico.


« Conviene che la riforma [costituzionale fascista] rispetti quanto è possibile le forme esistenti, rinnovando la sostanza. […] I modi sono infiniti, lo scopo è unico ed è di evadersi dalle ideologie democratiche della sovranità della maggioranza. A questa rimanga l’apparenza, ma vada la sostanza ad una élite, poiché è per il meglio oggettivamente. » 
Vilfredo Pareto


«Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della società. In una parola, voi ci rimproverate di volere abolire la vostra proprietà.
Certo, questo vogliamo.» 
Carlo Marx

«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese »
 Lelio Basso

A fare brillantemente il re nudo – che Dio ce ne scampi! – con uno di quegli schemini che piacciono tanto ai microliberisti american-style, è stato l'economista di Harvard Dani Rodrik.

Già Amartya Sen, sulla falsa riga del “teorema dell'impossibilità di Arrow”, aveva già dimostrato matematicamente come non fosse possibile realizzare nemmeno teoricamente il dogma del liberalismo classico, che postula indissolubilmente efficienza paretiana del mercato e rispetto delle libertà individuali.
Sen dimostra che nessun sistema sociale può contemporaneamente:

1 – essere votato ad un senso minimo di libertà;
2 – rispettare l'efficienza allocativa così come formulata da Vilfredo Pareto;
3 – essere in grado di funzionare in qualsiasi società.

Era perciò matematico che un processo di mondializzazione strutturato sul dogma dell'efficienza allocativa liberista si traducesse nella barbarie della macelleria sociale e dell'inciviltà. D'altronde così è sempre stato.


 
Il Paradosso di Sen, chiamato anche Liberal paradox, è un “paradosso” solo per colui che non conosce la storia: in definitiva non fa altro che, usando gli strumenti dell'economia neoclassica stessa, utilizzare “raffinate” dimostrazioni matematiche per evidenziare che la “libertà” per i liberali classici è sempre – e solo – quella del mercato. La propria.
Ovvero la struttura che viene imposta con il libero mercato non implica affatto sovrastrutture politiche e giuridiche che possano minimamente essere funzionali a tutelare la libertà dell'individuo. Soprattutto se questi non nasce già schifosamente ricco o non ha come obiettivo totalizzante della propria esistenza fare soldi a palate.

Grazie Amartya, ma lo aveva già detto Carletto Marx quasi due secoli fa, scritto su un best seller:

« [...] l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante. […]
Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e impersonale[5].
E la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti, si tratta dell'abolizione della personalità, della indipendenza e della libertà del borghesnon ce lae.
Entro gli attuali rapporti di produzione borghesi per libertà s'intende il libero commercio, la libera compravendita.
[...] Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libertà della nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto rispetto al traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del medioevo »
La libertà è una merce come tutte le altre, si vende e si compra. Da secoli. 


  


2.1 Dani Rodrik estende il non-paradosso alla globalizzazione, sottolineando che solo due su tre delle seguenti proposizioni possono teoricamente realizzarsi con un certo grado di effettività:

(A) – costruire una profonda integrazione economica;
(B) – lasciare sostanzialmente inalterata la sovranità degli Stati nazionali;
(C) – perseguire politiche democratiche.

Infatti:

1 – (A Λ B) → ⌐C – Un sistema monetario internazionale con cambi fissi tipo gold standard permette di integrare le economie e preservare formalmente le sovranità nazionali, ma, come dimostrato per l'ennesima volta dall'euro, “quote 90” e monete uniche si rivelano strumenti fascisti di repressione.

2 – (B Λ C) → ⌐A – Si rinuncia per l'ennesima volta alla globalizzazione e alla libera circolazione dei capitali, e si torna ai gloriosi anni di Bretton Woods.

3(A Λ C) → ⌐B – Un federalismo globale kantiano – il Fogno! – eliminerebbe gli stati nazionali ma “preserverebbe la democrazia”... Hayek e Madison si stanno ancora sganasciando dalle risate.

 
 
(Tutto ciò è sensato ed è a prova di american-style-minded: quindi? Quindi basta intervistare un trumbè, che ha un cugino che lavora nella prestigiosissima istituzione e che gli ha detto « xxx xx xxx xx [quattro proposizioni sconnesse a caso] », e farlo pubblicare su un organo d'informazione di massa: la risposta a chi ha speso anni e anni di studio per formalizzare l'ovvio è stata data, quindi pari e patta, “la tua parola contro la mia”, l'economia non è una scienza, lo Stato è cattivo anche se lo Stato sei tu, l'austerità è brutta ma espansiva, quindi l'euro è bello... ecc.)

Tralasciamo che i simpatici architetti della globalizzazione auspicano (pardon, stando con Attali, «prevedono») pure una moneta unica alla fine del processo di mondializzazione: siamo avviati in fretta e furia verso un dispotismo tirannico con tutta l'irresponsabilità tipica del mercato monopolistico. Proprio la conclusione a cui è giunto George Orwell recensendo "The Road to Serfdom" di Hayek:

« Il professor Hayek ha anche probabilmente ragione nel dire che in questo paese gli intellettuali hanno un'attitudine mentale più totalitarista rispetto alla gente comune. Ma lui non vede, o non ammette, che un ritorno alla “libera” concorrenza significa per la grande massa di persone una tirannia probabilmente peggiore, perché più irresponsabile, rispetto a quella dello Stato. Il problema con la competizione è che qualcuno la vince. Il professor Hayek nega che il libero capitalismo porti necessariamente al monopolio, ma in pratica è lì che ha condotto, e dal momento che la stragrande maggioranza delle persone preferirebbe di gran lunga una stretta regolamentazione statale ai crolli e alla disoccupazione, la propensione verso il socialismo è destinata a continuare, se l'opinione pubblica ha qualche voce in capitolo. »

 
 

2.1 – Il “Lemma”

La letteratura che esiste sull'inconciliabilità tra laissez-faire e libertà individuale – con “libertà” intesa come qualcosa che non sia l'illimitata possibilità del più forte di « abbattere il proprio simile impunemente » – è sterminata: sorprendentemente pop” a tutti i livelli è invece la cultura democratica, dove per Democrazia sovrana– stando con Calamandrei – si intende quella forma di governo per cui:
 
« […] tutti i cittadini concorrono in misura giuridicamente uguale alla formazione della volontà dello Stato che si manifesta nelle leggi e in cui in misura giuridicamente uguale tutti i cittadini partecipano ai diritti e ai doveri che dalle leggi derivano [...]. D'altra parte, per aversi uno Stato sovrano ed indipendente è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò preposti, le forze politiche interne: Stato democratico sovrano è quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato. »


Evocativa della cultura democratica al di fuori della tanto deprecata Repubblica Italiana, è la difesa di Rodrik nell'argomentare contro l'attacco portato dall'eurista – ovviamente filosofo morale – Martin Sandbu.

Il lemma “democrazia” nel vocabolario del liberale (filosofo) è un concetto indubbiamente esoterico [6]: secondo Rodrik:
                                 
«le democrazie hanno vari meccanismi per limitare l'autonomia e lo spazio politico dei decisori. Ad ese«le democrazie hanno vari meccanismi per limitare l'autonomia e lo spazio politico dei decisori. Ad esempio, i parlamenti democraticamente eletti spesso delegano il potere a organismi autonomi indipendenti o quasi-indipendenti. Le banche centrali sono spesso indipendenti e ci sono vari altri tipi di pesi e contrappesi nelle democrazie costituzionali. Allo stesso modo, le regole globali possono rendere più facile alle democrazie nazionali il raggiungere gli obiettivi che si prefiggono, anche se queste comportano alcune restrizioni in termini di autonomia. Keohane at al. discutono tre meccanismi specifici: le regole globali possono migliorare la democrazia controbilanciando i sezionalismi, tutelando i diritti delle minoranze, sia migliorando la qualità delle scelte democratiche »

Questo sarebbe vero nelle situazioni “ottimistiche” come, ad esempio,

« il caso in cui il governo affronta un problema di "incoerenza temporale" [la teoria dei giochi!, ndt]. Questo vorrebbe votarsi al libero scambio o al consolidamento fiscale, ma si rende conto che col tempo cederà alle pressioni e devierà da ciò che ex ante è la sua politica ottimale. Così sceglie di legarsi le mani attraverso la disciplina esterna. In questo modo, quando i protezionisti e grandi spendaccioni [big spender] si presentano alla sua porta, il governo dice: "Mi dispiace, l'OMC e il FMI non mi permette di farlo." È meglio per tutti [“paretianamente efficiente”, ndt], tranne che per i lobbisti e gli interessi particolari [tra cui quelli dei lavoratori, titolari della sovranità democratica, ndt]. Questo è un buon caso di delega e di disciplina esterna »




Questo è un professore democratico di Harvard: la più prestigiosa università al mondo con sede nel Paese che proclama di essere modello di democrazia.

Il danno che ha fatto l'economia neoclassica alle scienze sociali, cercando di piegarle a quelle naturali, è pari solo al danno che ha fatto alla democrazia e al sano internazionalismo che questa impone.

Insomma, dopo quasi dieci anni, riscontriamo che il famoso Trilemma sulla globalizzazione è stato formulato da un economista che crede al potenziale benefico della banca centrale indipendente e della disciplina esterna per la democrazia stessa: si pensi al senso democratico dei Pasdaran del mondialismo che lo criticano!

Almeno i nostri despoti e traditori della Patria ci hanno detto chiaro e tondo che il vincolo esterno è necessario per disciplinarci, visto che siamo plebei irresponsabili, non sappiamo governarci, e la democrazia non la meritiamo: meritiamo solo « la durezza del vivere».



3 – Fenomenologia del liberale: coscienza democratica e sua riduzione eidetica (trilemma di Bazaar).


«Tutta l'opera di un artista può servire allo scopo di occultare se stesso»
a proposito di Johann Wolfgang von Goethe, Sigmund Freud


«Tutta l'opera di un liberale può servire allo scopo di occultare se stesso»
 a proposito del liberista, Bazaar

L'occasione che ha avuto Rodrik di asfaltare pubblicamente Sandbu sul Financial Times, evidenziandone – magari – la preoccupante assenza di quelle minime risorse culturali che permettono di parlare con cognita causa di “democrazia”, è stata parzialmente sprecata, come costernati constatiamo, da un certo deficit di cultura democratica che sapevamo già essere insito nei principi fondanti della Costituzione statunitense.

Ad un esame approfondito ci potremmo rendere conto anche delle distanze siderali che pare ci siano state tra la cultura democratica dei nostri maggiori padri costituenti e quella di chi ha prodotto (è il caso evidente della Spagna laddove si faccia un'analisi comparata della struttura di tale Costituzione con quella italiana, ndQ.) le Carte anche più moderne [7].

Cercando nei Paesi dell'Unione Europea non troveremmo granché di meglio: anche se per motivi storici diversi, Francia e Germania non sono dotate di una costituzione economica che imponga inderogabilmente un modello di azione di governo di matrice keynesiana, risolvendo il conflitto sociale tramite lo Stato sociale. Né, tantomeno, sono dotate di un “art.11 Cost.” che permetterebbe di “far fronte comune” in caso si dovesse negoziare livello internazionale per la risoluzione dei Trattati liberoscambisti.





Meglio delle prime costituzioni rigide o di quelle più moderne di stampo ordoliberale, è – a questo punto – il modello degli inglesi, che sono privi di una costituzione scritta e hanno maggiori margini di discrezionalità (il che è attestato dalla profondità riformatrice che potè assumente il Rapporto Beveridge, con un'attitudine che è sempre riespandibile, ndQ.).
Notevole è la conclusione di Beveridge, riportata da Villari:  

“L’abolizione del bisogno non può essere imposta né regalata ad una democrazia, la quale deve sapersela guadagnare avendo fede, coraggio e sentimento di unità nazionale”.



Se una costituzione rigida ha – come nel caso eclatante di quella americana – lo scopo effettivo di proteggere gli interessi delle oligarchie dalle pretese democratiche dei lavoratori, tanto meglio per le classi subalterne non aver vincoli fondamentali che, in ultimo, tutelano gli interessi delle facoltose minoranze.

Questo ci porta realisticamente a rivalutare al ribasso le effettive possibilità di una riaffermazione delle democrazie sociali in Europa.

E, al contempo, considerando che questi sono incredibilmente gli unici spazi in cui si ha la possibilità di acquisire effettiva consapevolezza democratica in Italia, ci troviamo di fronte – con un senso di orgoglioso sbigottimento – ad una grande responsabilità.

Ad ora ci si limiterà ad illustrare l'ipotesi per cui la genesi del “batterio pop” – che trasforma qualsiasi argomentazione fondamentale sull'ordine sociale, in un vociare ubriaco da Bar dello Sport – sta nel liberalismo stesso.

Per dimostrarlo, si propone il seguente trilemma, che illustra come l' homo politicus non possa essere al contempo:

(A) – Democratico;
(B) – Liberale;
(C) – Statista [8].

( (A Λ B) → ⌐C ) Λ ( (A Λ B) → ⌐C ) Λ ( (A Λ C) → ⌐B )

Chi comincia ad avere un po' più chiari i principi di analisi economica istituzionalista, depurati intenzionalmente dai retaggi ideologici tramite un approccio epistemologico multidisciplinare – ovvero sgomberando in primis tutte quelle sovrastrutture “pop” che non sono altro che falsa coscienza – può cimentarsi nel tentativo di falsificare questo trilemma con degli esempi storici.

(Inizierei con Keynes e Calamandrei, tenendo bene in mente l'evoluzione del loro pensiero)



4- Conclusioni. Modernità, mondialismo liberale e narcosi atonale: “la fine della storia” come eterna adolescenza.



« ...studiando la struttura tonale imparai a leggere meglio gli spartiti. […] Di qui mi nacque anche un odio per la musica moderna e per tutto quello che non è musica classica. »
« ...l'uso frequente di frasi fatte testimonia infatti una mente incapace di creare qualcosa. […] Una trascuratezza di stile è molto più perdonabile di un'idea confusa. […]
La gioventù, cui mancano ancora pensieri propri, cerca di nascondere il suo vuoto mentale dietro uno stile mutevole e luccicante. Non è in ciò la poesia simile alla musica moderna? Allo stesso modo essa diverrà presto la poesia dell'avvenire. Si parlerà con le immagini più strane; si maschereranno pensieri confusi con argomentazioni oscure ma dal suono elevato, in breve si scriveranno opere nello stile di Faust (seconda parte), solo che mancheranno le idee di quella tragedia. Dixi!!!! » Friedrich Wilhelm Nietzsche, 1858, “Come si diventa ciò che si è”





[1] Cit. Michael Hamburger
[2] Un Nietzsche ancora poco più che fanciullo argomentava che «...anche Napoleone era infatti come un'aquila di carta. Se si toglieva la luce che lo illuminava da dietro, anche lui era solo un povero pezzo di carta che finiva relegato in un angolo! », 1858, “Come si diventa ciò che si é”
[3] Notare le arti che vengono calpestate: liberalismo come “trionfo della banalità e della cazzata”.
[4] Un cappello a cilindro sul porcellino potrebbe contribuire ad attualizzarne la potenza espressiva: notare la cultura, rappresentata dalle arti che vengono calpestate dalla élite pornocratica.
[5] Risorsa umana, o come si dice in Goldman Sachs, « capitale umano ».
[6] Dal “Vocabolario del buon liberale”: « Democrazia: forma di governo che rende impossibile la realizzazione di se stessa »
[7] Cfr. l'art.40 Cost. spagnola, per collocazione e formulazione, con la chiarezza e la collocazione degli artt.3 cpv, 4 e 36 Cost.italiana.
[8] Statista nell'effettività dell'accezione di: “abile nella prassi politica in quanto consapevole teoreticamente dell'essenza tanto della politica democratica, quanto di quella liberale”.




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