Tutto quel che so è contenuto in
questo libro scritto senza testimoni,
un edificio senza dimensione, una
città appesa nel cielo.
Galleggio di nuovo. Tutti i
fatti e tutte le parole, tutte le immagini, tutti i presagi scorrono
su di me, sbeffeggiandosi a vicenda. Il sogno! Il sogno squilla
dentro di me come una gigantesca campana di bronzo quando desidero
tradirlo. Mi passa accanto sfiorandomi con ali di pipistrello quando
apro occhi umani nel tentativo di vivere senza sogni. Quando il
dolore umano mi ha fieramente colpito, quando la rabbia mi ha
corroso, mi alzo, mi alzo sempre dopo la crocifissione, e provo
terrore per le mie ascensioni. LA CREPA DELLA REALTA'. La divina
partenza. Cado. Cado nell'oscurità dopo la collisione col dolore, e
dopo la divina partenza.
Oh, il peso, il peso tremendo
della mia testa levata in alto dalle nuvole e ciondolante nello
spazio, il corpo come una manciata di paglia, le nuvole che mi
trascinano i capelli come una sciarpa impigliata nella ruota di un
cocchio, il corpo ondeggiante, in collisione con le stelle a
lanterna, le nuvole che mi trascinano sopra il mondo.
Non posso fermarmi, né
discendere.
Odo il dipanarsi dell'acqua,
dei cieli e cortine. Odo lo stormire delle foglie, il respiro
dell'aria, il lamento di ciò che non è nato, la pressione del
vento.
Odo il movimento delle stelle
e dei pianeti, la ruggine leggera stride quando cambiano posizione.
Il passaggio serico delle radiazioni, l'alito dei cerchi che girano.
Odo il passaggio di misteri e
il respiro di mostri. Soltanto sopra tono, o sotto tono. La
collisione con la realtà offusca la mia visione e mi sommerge nel
sogno. Sento la distanza come una ferita. Si srotola davanti a me
come una passatoia sui gradini di una cattedrale per un matrimonio o
un funerale. E' srotolato come un tulle cremisi tra me e gli altri ,
ma non posso camminarci sopra senza sentirmi impacciata, come accade
a chi partecipa ad una cerimonia. La cerimonia di camminare su una
passatoia srotolata fino alla cattedrale in cui si svolge una
cerimonia a cui sono estranea. Io non mi sposo né muoio. E la
distanza tra la folla, tra gli altri e me, si allarga sempre più.
La distanza. Non ho mai
camminato sulla passatoia fin dentro alla pienezza della vita della
folla, fin dentro alla musica vera e all'odore degli uomini. Non ho
mai assistito a un matrimonio o a un funerale. Mi è tutto accaduto
nel campanile dove ero sola col suono assordante delle campane che
chiamavano con voci metalliche o nella cantina in cui rodevo le
candele o l'incenso accantonati con i topi.
Non posso essere certa di
eventi e di luoghi, solo della mia solitudine. Ditemi cosa dicono di
me le stelle. Ha forse Saturno occhi di cipolle che che piangono
senza sosta? Ha forse Mercurio piume di pollo sui talloni, e Marte
indossa forse una maschera antigas? La costellazione dei Gemelli, i
gemelli evoluti, si evolve di continuo, girando su un punto, i
gemelli à la broche?
C'è una crepa nella mia
visione e la follia vi precipiterà sempre dentro. Piegati su di me, al
capezzale della mia follia, e lasciami stare in piedi senza grucce.
Sono una donna pazza a cui le
case fanno l'occhietto e spalancano il ventre. Il significato mi
fissa da ogni dove, come una gigantesca spettralità sottesa. Il
significato emerge da vicoli umidi e volti aggrondati, si sporge
dalle finestre di strane case. Non faccio che ricostruire un modello
di qualcosa perso per sempre e che non posso dimenticare. Colgo gli
odori del passato agli angoli delle strade e ho coscienza degli
uomini che nasceranno domani. Dietro alle finestre ci sono dei nemici
o degli adoratori. Mai la neutralità o la passività. Sempre
l'intenzione o la premeditazione. Perfino le pietre hanno per me
espressioni druidiche.
Cammino sempre davanti a me
stessa in una perpetua attesa di miracoli.
Sono impigliata nella rete
delle mie menzogne, e voglio venir assolta. Non posso dire la verità
perché ho sentito teste d'uomini nel ventre. La verità sarebbe
dispensatrice di morte e io preferisco le favole. Sono avvolta in
menzogne che non riescono a penetrarmi l'anima. Quasi che le mie
menzogne fossero dei costumi. Il guscio del mistero può spezzarsi e
riformarsi in una notte. Ma nel momento in cui entro nella caverna
delle mie menzogne finisco nell'oscurità. Vedo un volto che mi fissa
con lo sguardo di un uomo strabico.
Ricordo il freddo sulla
gelida ammoniaca di Giove e fuori dai cristalli d'ammoniaca balzarono
gli angeli. Fasce di ammoniaca e di metano circondano Urano. Ricordo
i tornadi di metano infiammabile su Saturno. Su Marte ricordo una
vegetazione come l'erba piumosa del Perù e della Patagonia, un rosso
ocraceo, una vegetazione di un ruggine ferroso, muschi e licheni.
Ferro che produce argille rosse e arenaria rossa. La luce lì aveva
un suono e la luce del sole era un' orchestra.
Tratto da "La Casa dell'Incesto" di Anais Nin, traduzione di Carlo Alberto Corsi. Ugo Guanda Editore, Milano 1979.
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