uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

sabato 1 ottobre 2016

Da La Casa dell'Incesto. Anaїs Nin.





 
   Tutto quel che so è contenuto in
questo libro scritto senza testimoni,
un edificio senza dimensione, una
città appesa nel cielo.




  Galleggio di nuovo. Tutti i fatti e tutte le parole, tutte le immagini, tutti i presagi scorrono su di me, sbeffeggiandosi a vicenda. Il sogno! Il sogno squilla dentro di me come una gigantesca campana di bronzo quando desidero tradirlo. Mi passa accanto sfiorandomi con ali di pipistrello quando apro occhi umani nel tentativo di vivere senza sogni. Quando il dolore umano mi ha fieramente colpito, quando la rabbia mi ha corroso, mi alzo, mi alzo sempre dopo la crocifissione, e provo terrore per le mie ascensioni. LA CREPA DELLA REALTA'. La divina partenza. Cado. Cado nell'oscurità dopo la collisione col dolore, e dopo la divina partenza.
 

     Oh, il peso, il peso tremendo della mia testa levata in alto dalle nuvole e ciondolante nello spazio, il corpo come una manciata di paglia, le nuvole che mi trascinano i capelli come una sciarpa impigliata nella ruota di un cocchio, il corpo ondeggiante, in collisione con le stelle a lanterna, le nuvole che mi trascinano sopra il mondo.
 

     Non posso fermarmi, né discendere.

     Odo il dipanarsi dell'acqua, dei cieli e cortine. Odo lo stormire delle foglie, il respiro dell'aria, il lamento di ciò che non è nato, la pressione del vento.

     Odo il movimento delle stelle e dei pianeti, la ruggine leggera stride quando cambiano posizione. Il passaggio serico delle radiazioni, l'alito dei cerchi che girano.

     Odo il passaggio di misteri e il respiro di mostri. Soltanto sopra tono, o sotto tono. La collisione con la realtà offusca la mia visione e mi sommerge nel sogno. Sento la distanza come una ferita. Si srotola davanti a me come una passatoia sui gradini di una cattedrale per un matrimonio o un funerale. E' srotolato come un tulle cremisi tra me e gli altri , ma non posso camminarci sopra senza sentirmi impacciata, come accade a chi partecipa ad una cerimonia. La cerimonia di camminare su una passatoia srotolata fino alla cattedrale in cui si svolge una cerimonia a cui sono estranea. Io non mi sposo né muoio. E la distanza tra la folla, tra gli altri e me, si allarga sempre più.




     La distanza. Non ho mai camminato sulla passatoia fin dentro alla pienezza della vita della folla, fin dentro alla musica vera e all'odore degli uomini. Non ho mai assistito a un matrimonio o a un funerale. Mi è tutto accaduto nel campanile dove ero sola col suono assordante delle campane che chiamavano con voci metalliche o nella cantina in cui rodevo le candele o l'incenso accantonati con i topi.

     Non posso essere certa di eventi e di luoghi, solo della mia solitudine. Ditemi cosa dicono di me le stelle. Ha forse Saturno occhi di cipolle che che piangono senza sosta? Ha forse Mercurio piume di pollo sui talloni, e Marte indossa forse una maschera antigas? La costellazione dei Gemelli, i gemelli evoluti, si evolve di continuo, girando su un punto, i gemelli à la broche?

     C'è una crepa nella mia visione e la follia vi precipiterà sempre dentro. Piegati su di me, al capezzale della mia follia, e lasciami stare in piedi senza grucce.

     Sono una donna pazza a cui le case fanno l'occhietto e spalancano il ventre. Il significato mi fissa da ogni dove, come una gigantesca spettralità sottesa. Il significato emerge da vicoli umidi e volti aggrondati, si sporge dalle finestre di strane case. Non faccio che ricostruire un modello di qualcosa perso per sempre e che non posso dimenticare. Colgo gli odori del passato agli angoli delle strade e ho coscienza degli uomini che nasceranno domani. Dietro alle finestre ci sono dei nemici o degli adoratori. Mai la neutralità o la passività. Sempre l'intenzione o la premeditazione. Perfino le pietre hanno per me espressioni druidiche.

     Cammino sempre davanti a me stessa in una perpetua attesa di miracoli.

   Sono impigliata nella rete delle mie menzogne, e voglio venir assolta. Non posso dire la verità perché ho sentito teste d'uomini nel ventre. La verità sarebbe dispensatrice di morte e io preferisco le favole. Sono avvolta in menzogne che non riescono a penetrarmi l'anima. Quasi che le mie menzogne fossero dei costumi. Il guscio del mistero può spezzarsi e riformarsi in una notte. Ma nel momento in cui entro nella caverna delle mie menzogne finisco nell'oscurità. Vedo un volto che mi fissa con lo sguardo di un uomo strabico.

     Ricordo il freddo sulla gelida ammoniaca di Giove e fuori dai cristalli d'ammoniaca balzarono gli angeli. Fasce di ammoniaca e di metano circondano Urano. Ricordo i tornadi di metano infiammabile su Saturno. Su Marte ricordo una vegetazione come l'erba piumosa del Perù e della Patagonia, un rosso ocraceo, una vegetazione di un ruggine ferroso, muschi e licheni. Ferro che produce argille rosse e arenaria rossa. La luce lì aveva un suono e la luce del sole era un' orchestra. 

 



Tratto da "La Casa dell'Incesto" di Anais Nin, traduzione di Carlo Alberto Corsi. Ugo Guanda Editore, Milano 1979.



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