uno dei due è l'altro

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lunedì 26 febbraio 2018

Il Circo del Dottor Lao. (L'Odore della Carta)

Charles G. Finney




Comprai Il Circo del Dottor Lao il nove agosto 1976 a Pescara. Ero giovane, e annotavo sempre sui libri la data in cui li acquistavo. Li amavo come li amo ora. Acquistavo soprattutto libri di fantascienza (ero tra i fondatori, tra l’altro, di una fanzine che non passò inosservata: Ubik). Il Circo in realtà non è esattamente fantascienza, ma a quei tempi il genere, in espansione, tendeva a fagocitare ogni testo che un po’ si discostasse dal vituperato mainstream. Tuttavia, in questo caso, si trattava di un testo estremamente particolare. Infatti, Renato Prinzhofer curatore insieme a Riccarco Valla della collana “Narrativa di Anticipazione” della meravigliosa Editrice Nord, si sentì in dovere di scrivere nella presentazione:
“Fra le proposte di nuova letteratura, alle quali questa collana è destinata, abbiamo perciò incluso questo libro, Il Circo del Dottor Lao, rimasto stranamente sconosciuto in Italia. Esso costituisce, però, l’estremo limite al quale ci permetteremo di spingere la nostra proposta al lettore.”

Quindi: cos’è questo libro? Che storia vi si racconta, e perché? Non sarò certo io a svelarvi l’arcano. Ma per voi posso fare di più: posso offrirvene una parte, estratta con le moderne tecnologie (ma non per questo senza una certa piacevole fatica) da quella carta che ancora mi accompagna. 

Vi offro anche i bellissimi disegni di Boris Artzybasheff che impreziosiscono il volume originale. Quello che non posso offrirvi è l’odore. L’Odore della Carta.



***


Il signor Etaoin contemplava il serpente di mare, e il serpente di mare contemplava il signor Etaoin. Il signor Etaoin accese una sigaretta e soffiò una nuvoletta azzurrina di fumo. Il serpente di mare tirò fuori la lingua e la fece guizzare. Era un nudo e lungo nerbo giallo, quella lingua, grande e grossa quanto la mano, il polso e il braccio di un uomo, provvista di una languida sensibilità, biforcuta con grazia, assaporatrice di suoni, percettrice di vibrazioni, simbolo di sensi strani, silenziosa e segreta, reminiscente di un male che risaliva all’Eden.

Gli occhi del signor Etaoin, circoscritti da anelli di corno, guardavano il serpente attraverso vetri ovali maculati di polvere. Gli occhi del serpente, senza palpebre e fissi, consideravano il correttore di bozze con pupille da gatto, ellissi verticali nere e sottili in campo color rame.

Gli occhi del correttore di bozze erano degli affari verdi e opachi racchiusi da muscoli. Gli occhi del serpente erano dei gioielli cupi, rari e malvagi.




Stufo di quell’esame reciproco, il serpente fece il circuito della sua gabbia enorme; le sinuosità del corpo e della coda seguivano il cammino descritto in precedenza dalla testa. Drizzata la testa, saggiò gli interstizi e i reticoli del fitto traliccio d’acciaio che lo teneva prigioniero, con la fiacca speranza di trovare uno spiraglio sinora sfuggitogli, frugando i confini del carcere che era il suo mondo alla ricerca di una libertà nell’al di là, ed esplorando per la millesima volta le stesse vecchie sbarre che lo circondavano e lo chiudevano dentro.

Un gesto brusco di Etaoin allarmò il serpente. Che lo fronteggiò facendo vibrare la coda sul pavimento di legno della sua gabbia e producendo un frullio sibilante come quello di una sega meccanica.

IL SERPENTE: Perché te ne stai li' a fissarmi? Non abbiamo nulla in comune, tu ed io, eccetto il nostro reciproco odio.

ETAOIN: Mi affascini. Ma perché far ronzare la coda a quel modo, a imitazione di un crotalo?

IL SERPENTE: E perché no? E' il mio atavismo prediletto.

ETAOIN: Può mai darsi che quella stessa spinta istintiva che mi suggerisce di cercare un albero su cui arrampicarmi, quando un cane abbaia, suggerisca a te di provare a fare un rumore di sonagli quando ti allarmi?

IL SERPENTE: No. La spinta che tu provi nasce dalla paura. La mia dall’odio. Il tuo è un istinto di codardia. Il mio è di contrattacco. Tu desideri fuggire. Io rispondo combattendo. Tu hai paura della tua stessa ombra. Io non ho paura di nulla.




ETAOIN: Quel dio che ti ha dato il coraggio mi ha dato l’astuzia.

IL SERPENTE: Non farei il cambio con te.

ETAOIN: Nondimeno, tu sei in una gabbia e io, sono libero di andarmene in giro.

IL SERPENTE: Macché, anche tu hai una gabbia. Ne tasti le sbarre non meno spesso di quanto io tasti le mie.

ETAOIN: Non ti capisco molto chiaramente.

IL SERPENTE: Non sarò più esplicito.

ETAOIN: Perché sfreghi di continuo il mento sul pavimento?

IL SERPENTE: Perché te ne stai li impalato come uno sciocco? Lo faccio perché mi dà una sensazione che mi piace; perché la frizione mi procura un piacere sensuale; perché la mia faccia prude e il fregarla allevia l’irritazione. Ah! Diresti che il grattare sia un contro-irri-tante per il prurito? Ho detto un epigramma?

ETAOIN: Ne dubito.

IL SERPENTE: Perché porti quegli affari sopra gli occhi?

ETAOIN: Per vederci.

IL SERPENTE: Il dio che t’ha fatto astuto mi ha dato degli occhi abbastanza efficienti da vedere gli oggetti senza aiuti. In realtà, il Signore di Tutti i Viventi mi ha trattato con molta generosità. Egli mi ha dato la forza, e la simmetria, la resistenza, la pazienza. Egli mi ha fatto e vipera e boa. Il mio veleno e più tossico di quello d’un cobra. Le mie spire sono più terribili di quelle d’un pitone. Posso ammazzare con un sol morso. Posso uccidere con una sola stretta. E, quando stritolo e mordo al tempo stesso, la morte arriva al galoppo, te l’assicuro. 

Eh, eh, eh! Ma tu, guardati un po’! Sei persino costretto ad appenderti addosso degli stracci per proteggere la tua debole pelle. Devi appenderti degli affari davanti agli occhi per poter vedere. Guarda, ma guardati. Eh, eh, eh! Dio, con te, ha fatto davvero un bel lavoro!

ETAOIN: Riconosco di non essere il Suo vaso più perfetto.

IL SERPENTE: Che cosa mangi?

ETAOIN: Ho una certa cattolicità di gusti. Mangio uva e zampone, lumache e pesci, proteine e carboidrati. Sono anche ghiotto di fegato d’oca.

IL SERPENTE: lo mangio solo carne, pesce e selvaggina. Una volta ho mangiato un bambinetto color marrone. Vuoi che te lo racconti?

ETAOIN: Se lo desideri.




IL SERPENTE: Be’, non sono forte in geografia, ma fu in un’isola da qualche parte, su qualche oceano; ci volle molto tempo per andarci a nuoto, e io nuoto veloce. Nota come ho la coda a pagaia. Be’, arrivai in quell’isola verso l’alba del settimo giorno, e decisi di cambiare pelle là. Avrei già dovuto cambiarla alcuni giorni prima, ma non si può fare la muta in pieno oceano. 

Presi terra, perciò, su una graziosa spiaggetta, dopo aver governato tra scogli e frangenti traditori ed evitato d’un pelo un tratto di secche. Con tutti i miei ventiquattro metri (tanto almeno sono lungo secondo il dottor Lao, che di queste cose se n’intende) scivolai fuori sulla sabbia e mi diressi verso dei cespugli fitti e spinosi che vedevo un certo tratto più su sulla riva.

Ti assicuro ch’è una seccatura, dover strisciare sulla terra dopo aver nuotato nell’oceano. Be’, entrai fra i cespugli spinosi, ficcai e fregai la testa qua e là, e infine sganciai l’epidermide dalla mandibola inferiore e superiore. Poi puntai le estremità della vecchia pelle sui cespugli, dopo di che il contorcermi fuori del resto fu solo una questione di routine

La pelle vecchia ti s’accumula sotto la gola, sai, e gradatamente si sfila indietro lungo il resto del corpo. Quanto più veloce ti freghi sui cespugli, tanto più presto la pelle vecchia vien via. Be’, dài e dài, venne via, e fui felice d’essermene sbarazzato. Era diventata molto fastidiosa da un paio di giorni o giù di li'. Ora, ho notato che ogniqualvolta cambio pelle, subito dopo aver fatto la muta mi viene una gran fame. Perciò, lucente, luccicante, splendente e scintillante, liscio e colorito nella mia pelle nuova, mi misi in giro a cercare per l’isola qualcosa da mangiare. 

Passai oltre un’altura e attraverso una foresta e dall’altra parte di una valle, senza mai vedere niente. Poi giunsi a un fiume e ne rimontai a nuoto la corrente. Era un fiumicello, tortuoso per di più, e se mi voltavo a guardare indietro vedevo soltanto me stesso scomparire dietro un’ansa. Comunque, rimontai quel fiume e t’assicuro che i pesciolini credettero che fosse venuto il loro anno mille.




Capitai assai presto a una città: una città con tuguri di mota e gente di pelle scura. Stavano tutti oziando presso la riva del fiume, ad ascoltare uno dei loro stregoni che raccontava, non ne ho alcun dubbio, qualche atroce bugia. Giunsi nell’acqua bassa vicino a loro, che si misero a strillare e a fuggire. Come i polli, fuggivano in cerchio e, anche se ti sembrerà incredibile, alcuni saltarono addirittura in acqua per cercare di attraversare a nuoto.

Io li osservai, li guardai ben bene e individuai quello che desideravo per pietanza. Scelsi un bambinetto grasso color caffè. Ah, era cosi bello grassoccio che sono pronto a scommettere che sua madre l’aveva nutrito d’uova d’anatra e di banane arrostite. Col pancino tondeggiante e prominente che aveva, perbacco, non vedeva le proprie ginocchia.

A ogni modo, pensò di arrampicarsi su un albero. Sai come codesti indigeni si arrampicano sugli alberi, intrecciando i piedi di dietro e salendo su per un tronco inclinato con stupidi salti della rana. E ciò che fece quel marmocchio. Lasciai che arrivasse proprio in cima, su tra le fronde e le noci di cocco. Mi guardava di lassù come una scimmietta, e da come berciava si sarebbe creduto che stesse per accadergli qualcosa di terribile.

Be’, signor mio, io salgo davvero piuttosto facilmente, sai, mollandomi su lungo il tronco, adagio, adagio, con la pelle che s’increspa e ondula mentre con morbido sforzo do maggiore altitudine alla mia testa. E la mia cara lingua che fa tanta paura alla gente, perché crede che sia un pungiglione. . . Be’, signor mio, tiravo fuori e rientravo la lingua continuamente, un diavolo di roba, te l’assicuro. Dio buono! Credevo che quel negretto si facesse scoppiare le corde vocali quando ha visto la mia vecchia lingua guizzante verso di lui, in quel modo del diavolo.

Be’, signor mio, lo acchiappo per la gamba e. . . Gesù, se si mette a berciare! Ma io tengo buona presa, dicendo fra i denti: “Vieni fuori di li, mascalzoncello!” e gli do un diavolo di strattone che gli fa mollare presa, cosi che io barcollo indietro con lui in bocca, perdo l’equilibrio, e tutt’e due piombiamo al suolo con un diavolo di botto. Per poco non ci rimango secco, dannazione!




L’ho ingoiato più o meno come tu ingoieresti un’ostrica e con assolutamente altrettanto diritto, se mi consenti una digressione etica. Giusto mentre lo stavo mandando giù fra le mandibole, cosi che avevo la testa tutta sformata e gli occhi che strabuzzavano come globi di lampada, ch’io sia dannato, perbacco, se il buon paparino del bimbetto non se ne viene brandendo il suo arpione da pesca, e si mette a dar fastidio. 

Be’, col bambino incuneato in bocca a quel modo, non potevo fare gran che in quanto a mordere; ma, credimi pure, amico, ho provveduto senz’altro al paterno genitore. Con circa l’ultimo terzo del mio corpo ho fatto una gassa intorno a lui e al suo dannato arpione; e quando ho finito di spremerlo, era pronto per gridare pietà, solo che non poteva a causa dei polmoni acciaccati.

ETAOIN: Il tuo racconto è molto colorito. Che n’è stato del padre del bambino?

IL SERPENTE: Oh, ho pappato anche lui. E ho cercato in giro la vecchia; ma non l’ho trovata e perciò mi sono soltanto pappato la prima vahine in cui mi sono imbattuto. Ma il bambinetto grasso è stato il migliore.

ETAOIN: Sei un raconteur di raro pregio. Raccontami di qualche altro tuo pasto.

IL SERPENTE: No. Adesso tocca a te. Raccontami una storia.

ETAOIN: C’era un maiale. Un maiale Duroc-Jersey. Sgambettava nel suo porcile, mangiando la brodaglia del truogolo, e non coltivava conflitti spirituali. Diventò grasso e ancora più grasso. Poi un giorno il suo padrone lo caricò su un carro, lo portò al deposito, lo caricò su un treno merci e lo mandò a un’industria conserviera. 

Li fu abbattuto, ripulito delle interiora e squartato, come s’usa nei macelli. Alcuni mesi dopo, andai in un ristorante. e ordinai braciole di maiale. E le braciole che mi servirono (possa io morire all’istante se mento) erano proprio di quel maiale che dicevo.

La morale della storia è che lo scopo unico e solo, autentico e genuino della vita di quel maiale, e delle vite dei suoi progenitori, e delle vite di ciò di cui si nutrirono maiale e progenitori, come pure del clima e dell’habitat che ne favorirono la propagazione e maturazione, e degli uomini che li allevarono, che ne ebbero cura e che li misero sul mercato. . . l’unico scopo, dico, di tutto ciò, fu quello di farmi avere in quel ristorante, nel momento in cui le desideravo, un paio di saporite braciole di maiale. 
 



IL SERPENTE: La tua opinione non manca di merito. Filosofavo in un ordine d’idee più o meno identico mentre mangiavo il bambinetto marrone. Ah, come mi è caro parlar di mangiare!

ETAOIN: Esiste un solo argomento più interessante di questo.

IL SERPENTE: Presumo che tu ti riferisca all’amore.

ETAOIN: Si. Infatti. Si'.

IL SERPENTE: Io ricordo ancora il mio primo amore. Dev’essere stato undici secoli fa. Ah, s’era bella! Doveva essere un sei metri più lunga di me, perché io ero di un anno, a quel tempo. E i suoi grandi denti velenosi, erano come le lame delle picche. Io ero a occidente, lei a oriente. Ne sentii l’odore da una parte all’altra del mondo. Era la prima volta che lo sentivo, ma sapevo che cosa significava: strano come a volte si sanno le cose senza che nessuno te le dica. Governai attraverso le acque oceaniche verso l’oriente dov’ella dimorava.

ETAOIN: Dev’essere stato un viaggio formidabile.

IL SERPENTE: Tale fu. Vidi il nautilo, il calamaro, l’obelia e lo squalo elasmobranchio. Spiccavano il volo intorno alla mia testa i pesci volanti e Sopra di me veleggiava ad ali aperte una fregata. Avendo fame, acchiappai la fregata per aria e la divorai senza mancare nemmeno una palata con la mia coda.

ETAOIN: Che gusto aveva?

IL SERPENTE: Cattivo, di pesce fracido. Non ne ho mai più mangiato, neanche una. I pellicani, però, non sono male; e le anatre delle navi sono quanto mai gustose. 
 



ETAOIN: Hai poi trovato la tua compagna?

IL SERPENTE: Altroché. Lungo le rocce brune in riva a un’isola. Era fredda e riservata. Strusciò su in cima alle rocce e mi si rivoltò sibilando. Io le scivolai dietro; la mia passione la riscaldò, il mio ardore sciolse un poco la sua riservatezza. Dimmi un po’: che gli uomini, quando fanno opera di seduzione con le donne, le mordono sulla nuca?

ETAOIN: Qualche volta.

IL SERPENTE: Anche noi. La morsi sulla nuca e lei mi agganciò la mandibola inferiore. Sentii che il suo veleno circolava in me; ma non mi faceva punto male, né il mio faceva male a lei. Poi la trascinai via da quell’isola rocciosa, la avvinghiai con un paio di spire, e lottammo cosi in corpo a corpo fra le onde nervose e rimbalzanti. Ricordo che il cielo si copri di nubi e che il tuono brontolò, come se le nostre capriole scuotessero gli elementi. Dimmi un po’: che gli uomini, dopo avere giaciuto con le donne, se ne stancano?

ETAOIN: Qualche volta.

IL SERPENTE: Anche noi. Mi stancai, la lasciai e  tornai a occidente in un luogo tutto pietre vulcaniche e pieno di tartarughe enormi. Quelle tartarughe si nutrono solo di verdura e frutta. Raggiungono delle età fenomenali e, pur non essendosi mai allontanate dalla loro isoletta vulcanica, possiedono una saggezza profonda. Giacendo sulla sabbia parlai con loro. Mi rivolsero delle domande e mi raccontarono molte cose, strane e belle. Hanno i piedi come quelli degli elefanti e una voce bassa e lenta. Ma dimmi un po’: che gli uomini, quando è trascorso il periodo di sazietà, concupiscono nuovamente le donne?

ETAOIN: Qualche volta.

IL SERPENTE: Anche noi. L’anno successivo sentii di nuovo il suo odore, nuovamente all’altro capo del mondo, e rispondendo al richiamo andai da lei. Cosi pure andai da lei ogni anno da allora in poi, finché. . .

ETAOIN: Finché che cosa?

IL SERPENTE: Finché non accadde che il dottor Lao mi acchiappò e mi rinchiuse. Dimmi un po’: che gli uomini, quando sono in gabbia...?

ETAOIN: Qualche volta.

IL SERPENTE: Anche noi.

ETAOIN: Più e più volte, attraverso tutta la storia marittima, ci sono state delle persone che hanno affermato di averti veduto. E' davvero tuo costume, il ficcare la testa fuor dell’onde per spaventare le persone?



IL SERPENTE: Bah, qualche volta, vedendo una barca, la raggiungo a nuoto e ci do dentro un’occhiatina, tanto per il gusto di sentire gli strilli della gente. Poi, capisci, non mi dispiace di tener viva la mia leggenda.

ETAOIN: Raccontami come ha fatto, il dottor Lao, a catturarti.

IL SERPENTE: E' stato a cagione della sirena. Non avevo… mai visto prima nulla di simile. Dimmi un po’: è bella?

ETAOIN: Estremamente.

IL SERPENTE: Be’, facevo un giretto, al largo, lungo la costa della Cina, quando il dottor Lao se ne venne  nella sua vecchia e grande giunca. Quell’affare passò proprio sopra di me, che in quel momento cacciavo le seppie in immersione. Subito dopo, però, affiorai per prendere un po’ d’aria e vidi che il dottore stava tirando fuor dell’acqua ciò che allora mi parve un gran pesce splendente. 

Lui e tutti i coolies ch’erano con lui strillavano da far paura al diavolo, e perciò nuotai fin lungo il bordo per vedere che avessero pescato, per essere cosi eccitati. Sporsi solo la testa oltre la prua di quella giunca e rimasi a guardar lei con tanto d’occhi. 

Allora, mentre ero ancora come in trance, il dottor Lao mi gettò un nodo d’anguilla di cavo intorno al collo, e all’altra cima passò il doppino intorno al verricello. Quei cinesini mi presero a bordo, alandomi in coperta come una maledetta gomena. Quel dannato cavo mi strozzava, e persi conoscenza, quando rinvenni ero in una gabbia. Sono in gabbia da allora. E' stato nove anni fa. Ma il mio giorno si avvicina. Io non dimentico.




ETAOIN: Che cosa farai?

IL SERPENTE: Pranzerò, e la portata di carne sarà fornita dal dottor Lao.

ETAOIN: Subordinato, s’intende, alla tua evasione da questa gabbia.

IL SERPENTE: Precisamente.

ETAOIN: E dopo il pasto? Che farai?

IL SERPENTE: Oh, prenderò la sirena, me la caricherò sul dorso (credo che possa tenersi aggrappata, se adopera contemporaneamente le mani e la coda di pesce) e poi entrerò nel fiume più vicino e nuoterò fino al mare. E sarà bene che nulla s’attenti a fermarmi.

ETAOIN: Perché prendere la sirena?

IL SERPENTE: E una figlia del mare, esattamente come io stesso ne sono figlio. Si strugge, a suo riguardo, esattamente come me. Inoltre, è bella. L’hai detto tu stesso. La porterò al mare e la libererò. Credi che mi saluterà, agitandomi la mano, quando sarà fuori nella corsa delle onde? Credi che mi manderà un sorriso nel nuotar via?

ETAOIN: Certo che lo farà.

IL SERPENTE: Lo spero. Poi entrerò anch’io nel riflusso e andrò a oriente, fino a quell’isola scura e rocciosa. La mia compagna sarà ancora li’; io so che ci sarà. Andrò a oriente da lei. L’obelia, il nautilo, il calamaro, lo squalo elasmobranchio. . . li rivedrò tutti.

ETAOIN: Mi piacerebbe accompagnarti.





Titolo originale The Circus of Dr. Lao
traduzione Renato Prinzhofer
1935 by Charles G. Finney
1974 by Editrice Nord










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