Ed
eccoci arrivati al più grande gruppo rock italiano di tutti i tempi: gli Area, e alle perentorie e attinenti strutture “mutanti”: la Cramps, straordinaria casa discografica il cui logo (Frankenstein) è anche lo pseudonimo con cui Gianni Sassi, manager illuminato e intellettuale visionario firma i testi delle canzoni scritte per il gruppo.
Un logo che che allude alla mutazione del corpo e dei valori culturali accelerati dall’informazione e dalla comunicazione.
Un logo che che allude alla mutazione del corpo e dei valori culturali accelerati dall’informazione e dalla comunicazione.
Mostro “frammentario”,
solo e diverso, minaccioso e ingovernabile, identifica l’indipendenza
creativa, se non funzionale, di una delle più importanti labels dei
Settanta, dotata di un alto potere d’attrazione su uno stuolo di
intellettuali e ingegni sparsi.
La Cramps è un tentativo strutturato di impresa culturale, costruita sui valori leninisti di agitazione e audacia, leadership e carisma, che la avvantaggiano sulla separazione delle arti grazie all’attività isterica e seducente di quel self-made-man che è Gianni Sassi.
Figura
di manager comunista, se volete di talent-scout e art director
militante senza schieramento, cui la formazione di grafico
pubblicitario permette una visione mediale sfatata, vitale, e una
passione istintuale per il nuovo, lo spiazzante.
Ne
rende conto il lungo elenco degli interessi e delle attività diffuse
in un lucido intreccio dei percorsi e dei saperi: dalla pittura degli
inizi e la carriera medica mancata, alla casa editrice ED912
(1) fondata nel 1965 con Daniela
Palazzoni, Sergio Albergoni e Gianni Emilio Simonetti e dello studio grafico (poi studio
pubblicitario, fucina culturale e quartier generale di intellettuali
e artisti) Al.Sa. (2), dove “Al”
stava per Albergoni e “Sa”
per Sassi.
Si
lavora con segni, essenziali e stimolanti, sempre leggermente
sofisticati, cercando il diverso dall’omologazione, il cambio, la
rivoluzione delle forme dei significati (suo l’omino rosso della Polistil, Battiato
su un divano Busnelli,
campagne urbane di notevole impatto, le copertine dei dischi di Battiato “Fetus”
e “Pollution”,
e di quelli degli Area, di cui come dicevamo è
anche coautore dei testi).
Il
vitalismo ottimista e un pò borghese della comunicazione come gesto
prende forma di festival culinari e culturali (Milano
Poesia, Polyphonix, Gruppo 93, Milanosuono), di
riviste (Bit, Humus, Re Nudo, Alfabeta,
La Gola, antesignana di Slow
Food e delle prime pubblicazioni della Coop,
Cavallo di Troia, SE), di case editrici (Multhipla),
di concerti (Cage al lirico di
Milano nel ’77, il mega-concerto del ’79, purtroppo postumo di un
giorno, organizzato dagli amici di Demetrio
Stratos, con la partecipazione di più di cento musicisti,
per aiutarlo nelle cure,) e molto altro, con una fede nel team-work,
nel laboratorio di idee tra artisti e intellettuali di ogni
provenienza ( tra gli altri Juan Hidalgo,
Nanni Balestrini, Eliseo Mattiacci, Valerio Magrelli, Paolo Volponi,
Emilio Tadini, Alberto Camerini, Jean-Jacques Lebel, Eugenio Finardi,
Valeria Magli, Freak Antoni...).
Cramps
sta per : C=company, R=record,
A=advertising, M=manegement, P=pubblicità, S=service, nei
propositi un servizio “chiavi
in mano” a 360 gradi, dall’immagine alla
produzione e promozione dei dischi, ai concerti.
Cramps
nasce tra il 1972 e il 1973 con il primo album degli Area,
“Arbeit
Macht Frei”, anche se Gianni
Sassi era già attivo nel campo musicale da anni (per la
Bla Bla records con la prima
produzione di Franco Battiato,
Osage Tribe, Capsicum Red). Soci
fondatori ne sono Sassi, Albergoni e Franco
Mamone, uno dei più importanti organizzatori di concerti
rock (3).
Dopo
l'iniziale distribuzione della Baby Records
(a parte i primi quattro LP, usciti con distribuzione Ricordi),
la Cramps passa sotto la
Phonogram alla fine del 1977. La
Phonogram ristampa in questi anni
molti dischi della produzione precedente con la nuova numerazione,
usando qualche volta il marchio Philips
sulle etichette.
Ecco
che la Cramps, così come il
Consorzio Comunicazione Sonora,
montato dallo stesso Sassi per
riunire Cramps, Ultima Spiaggia, Zoo,
Divergo e l’Orchestra, e anche i Dischi
del Sole (a lungo distribuiti dall’Ariston,
poi dalla Vedette), tutte queste
realtà aspiranti a un ‘indipendenza produttiva e distributiva, di
fatto possono solo accontentarsi di una certa autonomia ideologica e
promozionale.
Il
che, a seconda dei casi, pur impedendo la costruzione di un reale
circuito alternativo, che all’epoca potrebbe basarsi nel vasto tam
tam di movimento, l’esecuzione dal vivo e le collaborazioni nel
circuito internazionale, non influisce comunque sulla qualità della
produzione e sul messaggio. Anche perchè in pochi nella sinistra di
classe, e meno in quella istituzionale, percepiscono la necessità di
un approccio all’informazione e alla cultura diverso dalla
subordinazione del disco al testo e all’esecuzione dal vivo. A
proposito dei concerti, con l’ Italia tagliata fuori dal circuito
dei tour rock, in conseguenza alla generica idea controculturale che
rock e rivoluzione vadano a braccetto, pertanto ne sia obbligatoria
la collettivizzazione (4) ,
quasi non ce ne sono più quando Sassi,
dalle sue matrici genetiche Fluxus,
s’inventa il concerto di John Cage
(5) al Teatro
Lirico di Milano nel 1977.
Ma
più che del potlatch come quotidianità, o di temperamento
avanguardista ansioso di nuovo, è meglio parlare di tentativo di
diversificazione e dislocazione produttiva per rivendicare un’arte
colta e libertaria, intuita tra poesia, ispirazione al
progressive italiano più politico, e sperimentazione delle
avanguardie musicali affini alla sua matrice.
Questa “agitazione”
dei flussi operata dalla Cramps
all’inseguimento del mito della modernità, attua il superamento
della pervasiva forma canzone in collane sonore dalle solide e ben
identificate spine dorsali.
Tutto
inizia nel 1973 con “Arbeit
Macht Frei” degli Area,
di cui l’etichetta produce ben otto dischi, fino alla compilation
“Area 70”
del 1980. Nel ‘74 la collana Nova
Musicha, iniziata con il disco “John
Cage”, dell’omonimo, prosegue fino al 1978 e chiude
con “Cantarela
voce” di Demetrio Stratos,
passando per Juan Hidalgo, Walter Marchetti,
Robert Ashley, il Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza, David
Tudor tra i più interessanti, in tutto diciotto dischi
all’insegna della sperimentazione creativa e l’improvvisazione
sonora.
Nel
’75 la collana DIVerso inizia
con “Improvisation”
di Derek Bailey tra gli altri, e
termina nell’80 con “Memo
from” di Schiaffini-Iannaccone,
lasciandoci dodici esempi di ricerca sonora e ancora improvvisazione,
da “Metrodora”
di Demetrio Stratos (1976) a
“Suoni”
di Luigi Cinque (1979), a
“Straws”
di Steve Lacy (1976).
Sul
versante pop-rock si sfornano ben trentadue dischi dal ‘74 all’80,
con omaggi al progressive italiano più creativo (Arti
e Mestieri), al blues elettrico di Roberto
Ciotti, al rock-canzone di Eugenio
Finardi, all’avanguardsmo sonoro di Alberto
Camerini, senza tralasciare la canzone politica di Pino
Masi, il folk trasversale del Nuovo
Canzoniere del Lazio, la psichedelia progressiva di
Claudio Rocchi, il punk-rock, sia
demenziale (Skiantos) che
incazzato (Kaos Rock).
A
queste collane seminali se ne aggiungono altre, nel’77 e
nell’80, rispettivamente “I
grandi interpreti della musica contemporanea”
e “Multiphla”,
l’una con interpretazioni tra gli altri di
Schonberg e Satie,
l’altra con sperimentazioni poetiche sonore di Wolf
Vostell, l’antologia poetica sonora “Polyphonix
1”, e un’antologia di musica futurista. Tanto
caratterizzata produzione rivela l’attitudine
Fluxus di fusione di tutte
le arti, la rivendicazione dell'intrinseca artisticità dei gesti più
comuni ed elementari e la promozione e sconfinamento dell'atto
creativo nel flusso della vita quotidiana (6)
, in nome di un'arte totale che predilige come ambiti elettivi
d'espressione soprattutto la musica, la danza, la
poesia(particolarmente in Italia, la poesia visiva e la
frammentazione in piccole “scuole”),
il teatro e la performance (negli happening l'arte assume diverse
forme, antidogmatiche e libertarie, anche il pubblico è coinvolto).
Si sa che le avanguardie artistiche degli anni Sessanta, in un
momento di diffuso disagio sociale e culturale come quello del
’67-’68, “si
saldano all’utopia politica tendendo a ridefinirsi come
pratiche sociali”.
Possiamo
chiederci quanto l’atteggiamento delle avanguardie musicali degli
anni Sessanta e successivi non fosse pura demiurgia tecnocratica,
feticizzazione della tecnologia, insomma una riproposizione
ideologizzata dell’usurato paradigma della volontà di dominio
sulla natura (7). Per contro ci
può sembrare più “vero”
il rapporto d’uso con la tecnica, accettata come nuova natura, da
parte di artisti “popular”
(solo per fare un esempio Frank
Zappa, e che esempio!), che giocano con i limiti dei nuovi
linguaggi per sovvertirli ed espanderli. Il primato è dell’ascolto:
non è del progetto o del rito. (8).
Quindi
due facce della stessa medaglia, ciò che davvero artisti come
Giuseppe Chiari e Luigi
Nono mandano in crisi è il rapporto tra le nozioni
convenzionalmente intese di scrittura ed
esecuzione-interpretazione, mentre sullo sfondo campeggiano gli
sviluppi indotti dall’impiego creativo delle tecnologie
elettroacustiche, operate in modo sperimentale e idiomatico. Si
questiona il ruolo sociale del musicista mentre la messa in in primo
piano dell’apporto creativo dell’interprete viene di fatto
favorita dalla “nuova
narratività” del nastro magnetico che estende l’ascolto
di altre culture e fluidifica la circolazione delle esperienze.
Di
“collisioni”
tra musica sperimentale, jazz e rock se ne possono rintracciare a
bizzeffe, stabilendo linee rizomatiche (per esempio con la Scuola
di New York e l’introduzione di vari dispositivi
d’indeterminazione, tra Cage e
il jazzista Earle Brown, attivo
sul finire degli anni Cinquanta sul terreno della notazione
sperimentale, grafica o mista, e dell’improvvisazione collettiva, o
alla metá dei Sessanta con la formazione di veri e propri ensembles
di improvvisazione (9), come
l’AMM (10).
Sulla
manipolazione dei nastri magnetici si centrano anche i californiani
del San Francisco Tape Music Center,
tra cui Ramon Sender e Terry Riley
(11). Ancora tra i ricordi
di Riley la
partecipazione a sedute d’improvvisazione insieme ad Allen recitante e Robert Wyatt alla
tromba, in composizioni orientate a jazz poetry vicina
alle poetiche “beat”.
É cosí che queste linee di fuga ci conducono fino ai Soft
Machine di “Third”
(1970), e alle formazioni “canterburiane”
in generale, in una congiunzione di influenze della poetica beat e
delle concezioni compositive di Riley.
Ma
anche a “Who’s
Next” (1972) degli Who,
in cui compaiono amplie imitazioni degli effetti dei dispositivi di
Riley. Tutto questo largo
excursus non per dimostrare paternità, sempre opinabili, piuttosto
per sottolineare le sicure influenze delle “procedure”
di impiego della strumentazione elettroacustica e del nastro
magnetico sul rock successivo (leggi progressive, centrale in Italia
nel primo lustro dei Settanta).
Strumenti
e procedure quindi di quella rottura tra scrittura e interpretazione
che sono i cardini delle porte che si stanno aprendo in campo
musicale. Ma tanto il carattere oggettivamente elitario delle
avanguardie citate, quanto l’apoliticità quasi generalizzata
e le attuazioni “colte”, in odore di borghesia, del rock
progressivo, difficilmente possono trovare appassionati sostenitori
nelle file dell’autonomia in quegli anni. La parola rivoluzionaria
con la sua ritmica folk-rock “la
fa da padrone”, é forte e chiara, inequivocabile.
Invece il progressive italiano, pur evitando la politica quasi
totalmente, brilla di personalitá speciale nel ridotto contesto
internazionale del genere (Inghilterra, Francia, Italia) e fa da
ponte a un tentativo strutturato di superamento della forma-canzone.
Quando
s’incontra con quella d’autore (le collaborazioni di New
Trolls e PFM con De
Andrè, per esempio) è per creare cose altre dal rock e
dalla canzone stessa. Si offre in molti casi come punto d’arrivo
naturale per tanti gruppi beat, che a fine Sessanta arrivano ad
essere più di mille in Italia. Ora le sue credenziali sono il 33
giri, una frequentazione diffusa delle scuole di musica e la piena
assunzione dei nuovi strumenti elettronici (12).
Insomma un’estetizzazione massiccia del discorso musicale,
regressione piú che progressione, agli stilemi classici, ma in uno
spaziamento visuale che ne fa la colonna sonora del film di una
classe media in espansione per l’accesso al consumo e non sa
riconoscersi nella controcultura e la cultura underground né
tantomeno negli ideali rivoluzionari in gestazione. Musica di un
nuovo edonismo impotente, per alcuni un fantoccio di paglia creato
dall’industria, da incendiare per produrre cortine di fumo
mimetizzanti, un’ “ammortizzatore
sociale”.
In
questo genere, che è più propriamente un meta-genere, si situano
abitualmente gli Area
(International POPular Group),
per i quali si rende più necessario che mai parlare di musica e
politica anziché di politica in musica. Il cosciente oltrepassamento
del rock sinfonico e barocco, del pop e della canzone, assume la
frattura come linguaggio personalissimo e disseminato giá nella
diversità profonda delle procedenze dei componenti della prima
formazione, datata 1972: la batteria etnica e free-jazz di Giulio
Capiozzo, il polistrumentismo dei fiati, specialmente il
sax di solida formazione be bop, di Victor
Edouard Busnello (italiano trapiantato in Belgio,
abbandonerá il gruppo posteriormente), il basso di Yan
Patrick Erard Djivas (proveniente dal gruppo di Lucio
Dalla, successivamente rimpiazzato da Ares
Tavolazzi, al basso e al trombone), la chitarra
dell’ungherese Johnny Lambizi
(poi sostituito da Gianpaolo Tofani,
ex Califfi, ex Noi
Tre, alla chitarra e ai sintetizzatori, con al suo attivo
un lungo periodo di apprendimento di elettronica in
Inghilterra), Patrizio Fariselli
al piano e ai sintetizzatori.
E
Demetrio Stratos, di famiglia
greca, nato ad Alessandria d’Egitto, studente di fisarmonica e
pianoforte al Conservatorio Nazionale di Atene. Dall’inizio al
piano con i Ribelli (“Pugni
chiusi” l’incisione di maggiore successo), alle cover
di Ray Charles, Animals
e molto blues in genere, studente d’Architettura a Milano, deus ex
machina del progetto Area fin
dalla formazione, nel ‘72. Naturalmente dotato di capacitá vocali
straordinarie, realizza ricerche di etnomusicologia ed estensione
vocale in collaborazione con il Cnr di Padova, studia le modalitá
canore dei popoli asiatici, le connessioni tra canto e psiche, studia
e insegna psicanalisi ed etnomusicologia all’Universitá di Padova
e di Milano.
L’obiettivo
di un approccio che è insieme scientifico, psicanalitico ed
etno-musicologico, è liberare la voce da tecniche sterilizzanti per
restituirle lo spessore perduto, evidenziando il collegamento tra
linguaggio e psiche, la loro connessione con i suoni emessi dalle
corde vocali intese come strumenti (13),
in un concetto collettivista ed attivo dell'uso della voce, che
aspira ad abbattere la distanza tra chi esegue il canto e chi lo
ascolta. Gli fanno da cavia le sue potenzialitá vocali, che
raggiungono nell’estremo acuto i 7000 Htz e spazzano via la monodia
classica in incredibili difonie, triplofonie, fino a quadrifonie
dalle armoniche starordinariamente chiare, costituendo da sole delle
vere e proprie microorchestrazioni, slegate da qualsiasi
amplificazione tecnologica.
Nel
’74 a Milano lavora con il gruppo Zaj
iniziandosi al pensiero e all’opera di Cage
legata al movimento artistico Fluxus,
(John Cage, Juan Hidalgo, Walter Marchetti
coi quali collaborerà su disco e dal vivo), sempre nel ‘74
frequenta poeti (Balestrini),
danzatori (Valeria Magli),
scrittori (Simonetti) poi a New
York, dove le serate al Roundabout Theatre lo consacrano sul piano
internazionale (è di questo periodo “Event”,
con Merce Cunningham (14)
e la Dance Company, eseguito con
la direzione artistica di Jasper Johns,
quella musicale di Cage e la
collaborazione di Andy Warhol per
i costumi).
Il
doppio percorso, personale e collettivo, avanguardista e musicale di
Demetrio e degli Area,
è l’espressione dell’ ”area”
comunitaria di ricerca in cui è iscritto (il situazionismo
neodadaista della Cramps, che lo
alimenta e se ne sostanzia), e la foto del clima culturale di
intervento soggettivo e desiderante sul linguaggio e sulla realtà,
che è la cifra del movimento nel cuore dei Settanta. Inutile
assegnare pertinenze politiche, così com’è inutile evidenziare
matrici musicali. Gli Area sono
la messa in azione di un potere di fusione e sperimentazione sonora
che aggredisce l’ascolto nei testi e nei suoni per sobillarlo alla
rivolta. Allora, si possono citare le contaminazioni (etniche, la
musica balcanica, il free-jazz e le sue valenze eversive, il
progressive più politico (15),
il rock, il pop, il folk, l’elettronica, addirittura la
world-music), ma la strategia vera è la cesura e l’agitazione, non
la sintesi o la fusione, la ricerca aggressiva, non l’identità o
la nostalgia. La forza degli Area sta nell’assunzione della
frattura aperta nelle carni della popular music e nella pratica
costante del bisogno di rinnovamento.
Per
questo è musica radicale, non si può farne “critica
musicale” cercandoci fluidità tra struttura e
improvvisazione, né si possono cercare suture concettuali nel
discorso politico. Neppure andare a caccia delle tracce del
“marketing
da tavolino” di Sassi,
Albergoni e Simonetti,
molto presenti nella costruzione dell’immagine del gruppo e nella
confezione dei testi e delle copertine (di fatto sono loro a
convincere Stratos a cantare in
italiano).
Conta
la ricerca immanente, l’evasività, la composizione e la
disseminazione, perciò mi sembra l’espressione più affine
all’autonomia “diffusa”,
come coagulazione spontanea di spinte attive dall’interno della
classe, un mucchio selvaggio in cui convivono ricerca e negazione. Un
percorso di ascolto consigliato inizia dalle trame
jazz-rock-progressive (incarnate in Europa da Gong,
Henry Cow, Soft
Machine e dalla scuola di
Canterbury) del primo disco, del 1973, “Arbeit
Macht Frei” (il lavoro rende liberi), la frase
apposta sui cancelli del lager nazista di Auschwitz.
La
voce femminile che recita in arabo all’inizio del brano “Luglio,
agosto, settembre (nero)” diventerà introduzione
quasi constante delle attuazioni dal vivo degli Area.
Nello stesso album “L’abbattimento
dello Zeppelin”, polemico con il rock metabolizzato
dall’industria culturale, è anche il brano in cui Stratos
inizia a lavorare la voce come strumento. Del ’74 è
”Caution
Radiation Area”, l’album piú sperimentale del
gruppo, tra free-jazz ed elettronica, che coincide con
l’avvicinamento alle avanguardie citate, in cui il brano
“Lobotomia”
(fatto di segnali acustici, fischi, rumori, stralci di sigle
televisive e spot accostati dal vivo con la proiezione di fasci
luminosi sul pubblico per suscitarne la reazione) è ispirato alla
vicenda di Ulriche Meinhof, tra i
fondatori della R.A.F. tedesca,
catturata nel ’72 e scampata, grazie alla protesta popolare, alla
lobotomia progettata dal governo, poi suicidata nel ’76 insieme ad
altri tre compagni.
L’album
provoca l’abbandono di Mamone
(la PFM è certamente più sicura
e redditizia) mentre si dipanano i concerti che consacrano gli Area
come “gruppo
del movimento”: tra i più importanti quelli all’8a
biennale di Parigi, del tour di solidarietà in Cile, all’ospedale
psichiatrico di Trieste diretto da Franco
Basaglia, al Festival del Parco
Lambro di Milano, con John Baez
al Vigorelli e al primo Pop Festival di Berna. Appartiene invece al
secondo e ultimo 45 giri del gruppo l’“Internazionale”,
un’esecuzione dell’inno dei lavoratori, destrutturato
dall’elettronica e dai rumori improvvisati dagli strumenti. Privato
dei contenuti epici, diventa uno squarcio, un grido di dolore, e
anche una fonte di provocazione antiretorica, emulando Jimy
Hendrix e la sua lacerazione dell’inno nazionale
americano nel ’69 a Woodstock.
Il
terzo album, “Crac”,
del ’75, torna a una maggiore orecchiabilità, pur mantenendo
matrici free-jazz insieme a sonorità etniche e repertori popolari,
si fa eco di un sentire più gioioso anche per i successi della
sinistra (la rivoluzione dei garofani
in Portogallo, la caduta della dittatura militare in Grecia,
l’avanzata delle sinistre in Francia, la fine della guerra del
Vietnam). Il mitico “Gioia
e rivoluzione” fa da emblema a questa attitudine con
ritmo da ballata folk
“Il mio mitra è il contrabbasso/che ti spara sulla faccia/che ti spara sulla faccia ciò che penso della vita/con il suono delle dita/si combatte una battaglia...”
così come “La
mela di Odessa” favoleggia con la voce
recitata di Stratos, un fatto
reale del 1920, quando un artista dada, di nome Apple,
dirottò una nave di tedeschi e la portò a Odessa per regalarla ai
Russi, i quali, in una grande festa, la fecero esplodere (con i
Tedeschi a bordo).
Anche
“L’elefante
bianco” e “Megalopoli”
dicono molto sullo stato del momento del gruppo, che arriva a tenere
più di 200 concerti dal vivo in Italia, oltre agli inviti alla Fête
de l’Humanité a Parigi e alla Festa
do Avante di Lisbona (da cui è tratto il live edito
da Cramps “Parigi-Lisbona”).
Una
quantità di eventi live, che accresce l’immagine di band
rabbiosamente ancorata alla realtà sociale, così il 1975 è anche
l’anno dell’album dal vivo, “Are(a)zione”
(16), in cui alle performance
live del repertorio conosciuto (Parco Lambro, Festa dell’Unità di
Napoli, Festa della Gioventù di Rimini e molti altri eventi) si
aggiunge un brano inedito, “Are(a)zione”
e una versione “Area”
de “L’internazionale”.
Nel ’76, in mezzo a tante performance pubbliche, il bisogno di
studio porta Demetrio alla
creazione di “Metrodora”
nella collana DIVerso della
Cramps.
Lavoro
per sola voce comprende esplorazioni di frequenze limite, suoni non
avvertibili dall’uomo, urla attraverso un pianoforte, linguaggi
d’improvvisazione dei clarinettisti d’Epiro, e “Metrodora”,
il nome di una donna-medico dell’epoca di Bisanzio, gli ingredienti
delle cui ricette contro il mal di gola sono elencati dalle voci
accavallate di Stratos in
un effetto ritmico minimalista. Nello stesso anno esce “Maledetti”,
progressive narrativo (la storia di una società dominata da un
super-computer contenente la memoria dell’umanità, un cui
guasto ne provoca la dispersione, con la conseguente confusione
sociale (“Diforisma
urbano”).
Tra le soluzioni possibili si suggerisce:
affidare il potere agli anziani (“Gerontocrazia”),
alle donne (“Scum”,
su testo di Valerie Solanas), o
ai bambini (“Giro,giro, tondo”),
lavoro basato su sonorità balcanico-mediterranee ma sempre dal sound
spigoloso, con innesti di jazz elettronico sperimentale (ospiti i
fratelli Arze, Stev Lacy, Paul Litton,
Walter Calloni e Hugh Bullen).
Mentre
Tavolazzi e Capiozzo
collaborano a progetti esterni al gruppo, Stratos,
Fariselli e Tofani si
esibiscono all’Università Statale di Milano, allora occupata e
assediata dalla polizia, con Steve
Lacy e Paul Litton (da
cui sarà tratto il disco “Event
76”, pubblicato dalla Cramps
nel 1979). Da distaccare il brano “Caos”
(parte II), che sperimenta, da un’idea di Cage,
l’individualizzazione dell’improvvisazione, rompendo lo schema
collettivo su cui la stessa si baserebbe (17).
Nel 1977 presentano al pubblico “Antologicamente”,
con un concerto al Teatro Uomo di Milano (da cui è stato tratto un
disco live Cramps, due CD), che
ottiene un notevole successo.
Il
seguito è l’abbandono della Cramps per la finalizzazione del
contratto e le necessità economiche del gruppo, e l’incisione per
l’etichetta Ascolto, della CGD,
dell’album “Gli
dei se ne vanno, gli arrabbiati restano” con l’aiuto
costante di Simonetti. Tra
registrazioni e concerti con gli Area,
Stratos prosegue intensamente la
sua ricerca sulla vocalità con registrazioni, performance, seminari:
nel gennaio 1979 registra l'interpretazione di “Le
Milleuna”, su testo di Nanni Balestrini (18),
mentre il mese dopo è a Parigi impegnato con un'opera di Antonin
Artaud.
Il 13 giugno seguente, a 34 anni da poco compiuti,
muore di aplasia midollare al Memorial Hospital di New York.
Il
concerto del giorno seguente, programmato all'Arena di Milano allo
scopo di raccogliere fondi per sostenere i costi della degenza, si
trasforma così in un omaggio all'artista: con gli oltre cento
musicisti coinvolti e i 60.000 spettatori intervenuti, è considerata
ancora oggi la più grande riunione spontanea di giovani nella storia
d'Italia.
Franco
Fabbri ha definito quel concerto “il
funerale del movimento politico e musicale degli anni Settanta".
note
(1)Tra la
ingente produzione molti manifesti di Alison Knowles, Takako Saito,
Henry Flynt, George Brecht, Ben Vautier, Dick Higgins, George
Maciunas, Gianni Simonetti - e una rivista, ''Bit''
(2)Nell’impronta
tipografica di Fluxus, il movimento artistico trasversale e
internazionale le cui origini vengono rintracciate in Duchamp, Dada e
teatro futurista e che, nel suo scorrere anarchico e vitale, si
proponeva di instaurare e rintracciare forti relazioni tra arte e
vita quotidiana. La lezione di Fluxus, secondo lo stesso Sassi, era
(e probabilmente è) quella di imparare a rivedere le cose da un
punto di osservazione libero da modelli e guardare il mondo con
atteggiamento laico nel continuo sforzo di modernizzarlo-Articolo di
Silvia Veroli da Alias-Il manifesto del 03/09/2005.
(3)Sue le
organizzazioni in Italia di King Crimson, Santana, Frank Zappa,
Jethro Tull, Rod Stewart e altri. Nel libro di Stampa Alternativa “I
Padroni della musica” vengono attaccati i principali organizzatori
di concerti di quegli anni, tra cui David Zard e Franco Mamone, ma si
indirizzano dure critiche anche a Gianni Sassi, fondatore della
Cramps e socio di Mamone.
(4)Si parte
nel 1971 con le furiose cariche della polizia a Milano ai concerti
dei Led Zeppelin e dei Chicago, e si finisce qualche anno dopo con il
palco dei Santana fatto saltare con le bottiglie Molotov. Dagli
assalti ai forni di manzoniana memoria agli assalti ai palazzetti
dello sport, dalla tragedia alla farsa. In mezzo ci sono stati decine
e decine di concerti trasformati in campi di battaglia (dalle
manganellate e i lacrimogeni delle forze dell’ordine) o in
tribunali del popolo, con le autoriduzioni, le ronde “antifasciste”
e processi proletari contro i musicisti “servi dell’imperialismo”.
(5)Allo
spettacolo “Empty Words” autoriduttori, autonomi, fans di musica
pop in crisi di astinenza, accorsi in gran numero si trovarono
davanti un vecchietto – privo di qualsiasi appeal da rock star –
sedut ad una piccola scrivania in un angolo defilato dell’enorme
palco. Leggeva da una pila di fogli, illuminato da una triste
abat-jour, una serie di fonemi e brani incomprensibili tratti da
Walden di Thoreau, avendo come unico effetto speciale qualche
diapositiva minimalista proiettata alle sue spalle... Cage lesse
ininterrottamente per quasi tre ore, suscitando panico e sconcerto
nel pubblico. Il palcoscenico venne preso d’assalto tra fischi e
urla... Poi gli hooligans dell’autonomia rubarono gli occhiali a
John Cage, gli spernacchiarono nelle orecchie, lo insultarono con
cori di “scemoo, scemoo”, gli spensero la luce dell’abatjour,
gli sottrassero dei fogli lanciandoli per aria. Era dai tempi dei
futuristi che una performance artistica non scatenava una bagarre
così violenta.-Matteo Guarnaccia- Una furiosa bulimia
(6)“Abbiamo
sempre cercato di rifiutare il termine ideologia cercando di
sostituirlo con “teoria della prassi” (termine piú
situazionista). Quei tempi erano troppo pieni di ideologia e anche
per questo noi cercavamo di prendere le distanze. Cominciavamo a
capire che sarebbe stata la “tomba del mammut”, e cosí é
stato”- Intervista di Domenico Coduto a Sergio Albergoni-2004, Il
libro degli Area, Auditorium, 2005
(7)Solo per
fare alcuni esempi sull’uso concettuale del disco: nel’63
l’ungherese Milan Knizak sperimenta sulla velocitá di
riproduzione, nel ’65 gratta dischi, li rompe, vi pratica fori, li
dipinge, li taglia e li rincolla “Una musica che non potrebbe
essere trascritta, ma che era partitura in sé stessa, in quanto
materiale capace di tramandare memoria... “ (from The broken music
). Nel ’69 John Cage compone 33” 1/3, un concerto per dodici
suonatori di giradischi, nel 1970 Thomas Schmit realizza un disco in
legno, lo stesso anno Robert Watts racconta di aver realizzato dischi
in diversi materiali, dalla creta al legno al metallo e vari tipi di
plastiche. La maggior parte fu realizzata alla Rutgers University. I
solchi venivano variati in profondità e in larghezza. Watts era
interessato ai suoni ottenuti con i diversi materiali.
(8)“In
questo senso, l’accostamento tra Zappa e l’ultimo Nono è
tutt’altro che provocatorio (nei confronti di Nono) o compiacente
(nei confronti di Zappa). L’idea di una “tragedia dell’ascolto”
come il Prometeo, nella quale la musica venga sottratta al privilegio
dell’occhio, alla prospettiva lineare e ai riti esteriori del
teatro borghese, e restituita all’orecchio, al coinvolgimento nello
spazio, all’interiorità, articola in modo diverso gli stessi temi
che Zappa incarna in una personalità musicale più estroversa, ma
sempre dominata dall’attenzione al risultato sonoro. Nono prima
manifesta contro e poi si estrania dai riti della musica borghese,
che invece Zappa irride; a Nono sarebbe stata necessaria una vera
autonomia rispetto alla concretizzazione di quei riti: l’industria
dell’editoria “colta” e delle istituzioni lirico-sinfoniche;
mentre forse a Zappa avrebbe giovato un distacco maggiore dalla sua
stessa icona rock-alternativa. Ci sarebbero arrivati entrambi,
probabilmente, se fossero vissuti più a lungo.” F.Fabbri - Zappa e
l’elettroacustica, 1999
(9)Il Gruppo
di Improvvisazione Nuova Consonanza di Franco Evangelisti, Musica
Elettronica Viva di Frederic Rzewsky, giá in contatto con Cage e
David Tudor, il quale puó essere considerato il vero anello di
congiunzione tra i principi dell’indeterminazione di Cage e quelli
di una libera improvvisazione stimolata dalle virtualitá implicite
alla materia sonora.
(10)Di spicco
Cornelius Cardew, con un passato di assistente di Stockhausen. Nata
nel ’66 in Gran Bretagna e ricca di formazioni che seguono
programmi di stravolgi ento di tecniche e rimozione di
stilemi
riferibili al jazz90, e che confluiscono in art schools e circuiti
concertistici, condivisi sul finire dei Sessanta con il nascente
progressive rock.
(11)Riley,
successivamente all’incontro con Richard Maxfield, che aveva
studiato alla New School con Cage, compone Mescalin Mix, un omaggio a
Fontana Mix di Cage e naturalmente alla cultura psichedelica. Lo
stesso Riley nel ’62, in viaggio a Parigi, entra in contatto con
Daevid Allen, e alloggia in quel Beat Hotel che dal ’57 é
diventato il punto d’incontro di poeti, scrittori e musicisti come
Allen Ginsberg, Peter Orlovsky, Gregory Corso. Allen era divenuto
amico di William Burroughs che in quegli anni sta componendo a Parigi
i suoi romanzi piú celebri (The Naked Lunch e The Soft Machine, con
le note tecniche sperimentali del cut-up e del fold-in). Sempre a
Parigi Riley entra in contatto con molti musicisti di jazz americani,
tra cui Chet Baker e Bud Powell e, dalla scoperta che é possibile
creare loops non solo ripetitivi, ma anche accumulativi e ricorsivi,
produce In C (1964), sequenza di 53 incisi affidati a un ensemble
variabile.
(12)Come
elementi costituenti del progressive si possono citare: l’inclusione
di elementi provenienti da altri generi musicali (classica, jazz,
folk, sperimentale, indiana, elettronica); grande attenzione agli
arrangiamenti con la creazione di complessi intrecci strumentali,
abbondanza di assoli e parti prive di cantato, alto livello di
tecnica strumentistica; uso di strumenti classici(pianoforte, archi,
fiati), etnici (sitar), o elettronici (hammond, mellotron,
sintetizzatore), in aggiunta e talvolta in sostituzione alla classica
combinazione rock (chitarra elettrica, basso elettrico, batteria);
predilezioni per la durata estesa, oltre i sei minuti, per le suite,
ovvero canzoni composte da una successione di temi musicali più o
meno distinti, emulando la sinfonia classica, dal sapore solitamente
epico; concezione dell'album come unità tematica e stilistica
fondamentale (concept album), in cui un'idea di fondo è esplorata
lungo tutti i solchi; melodie e armonie lontane dalla consueta
progressione blues, spesso classicheggianti e ambiziose; utilizzo di
tempi dispari e inconsueti, frequenti cambi di tempo, intensità e
velocità nel corso di uno stesso brano; testi complessi e a volte
impenetrabili, ma solitamente molto curati, ricchi di figure
retoriche e riferimenti a fantascienza, fantasy, mitologia e
religione; grafica e look in generale tendenti al metaforico, al
criptico, al fantastico; autorialitá collettiva evitando il ricorso
alla scrittura.
(13)“è
qualcosa di più di uno strumento l'ipertrofia vocale occidentale ha
reso il cantante moderno pressoché insensibile ai diversi aspetti
della vocalità isolandolo nel recinto di determinate struttura
linguistiche è ancora molto difficile scuoterlo dal suo processo di
mummificazione e trascinarlo fuori da consuetudini espressive
privilegiate e istituzionalizzate dalla cultura delle classi
dominanti” (introduzione a “Metrodora”, Cramps-DIVerso, 1976)
(14)“Sixty
two mesostics re Merce Cunningham” performati da Demetrio per John
Cage: ogni mesostic è un blocco vocale composto da parole scelte con
gli i-ching e tratte da “Changes Notes on horeography” di Merce
Cunningham e da altri trentadue libri scelti da Cunningham nella sua
biblioteca; queste parole sono state poi composte con dei corpi
tipografici di varia grandezza e intensità, in questo modo la grafia
suggerisce immediatamente la lettura, l'esecutore è libero di
leggere questi blocchi vocali come vuole e per il tempo che vuole
purché sia contenuto entro 90''; egli può leggerne quanti ne
desidera a partire da un minimo di cinque, ne consegue che questo
lavoro ha una durata indeterminata compresa tra 7'30'' e 3h3'.
(15)In questo
ambito si inserisce il R.I.O., acronimo di Rock In Opposition,
connessione internazionale che vede la sua prima apparizione
ufficiale in occasione di un festival musicale organizzato dagli
inglesi Henry Cow a Londra il 12 marzo 1978 Principale animatore è
Chris Cutler, batterista e militante socialista. I gruppi che lo
compongono, attivi dai primi Settanta Henry Cow dall'inghilterra,
Univers Zero dal belgio, gli italiani Stormy Six, i Samla Mammas
Manna dalla Svezia ed i francesi Etron Fou Leloublan.
(16)Le
didascalie sintetizzano il concetto e il significato dell’album. La
citazione di un dizionario della lingua italiana chiarisce che il
titolo “Are(A)zione” nasce dalla somma di Area (“complesso di
fenomeni localizzati in un definito ambito territoriale” + Azione
(“soggetto di un’opera letteraria drammatica o narrativa, in
prosa o in poesia o destinata a una elaborazione musicale”). Quindi
la testimonianza di una nuova situazione musicale, alternativa,
fondata sulla partecipazione dialettica del pubblico, non solo
spettatore passivo, ma anche collaboratore della performance musicale
e della sua dimensione teatrale.
(17)Si trattava
di improvvisare in base allo stato emozionale suggerito dalle
indicazioni di alcuni foglietti che recavano scritte le parole”
ipnosi, sesso, ironia, silenzio e violenza”.
(18)Con la
danzatrice Valeria Magli:cento parole, tutte diverse tra loro e
accomunate solo dalla sensuale “s” iniziale, interpretate da
Demetrio, frantumandole con un sibilo, un sussurro, un sospiro, un
ghigno, un urlo, e su cui Valeria Magli muoveva il proprio corpo.
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