uno dei due è l'altro

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domenica 29 aprile 2018

Voce martello, musica e movimento: gli Area!




Un tempo complesso, denso, ricco di fatti e significati, quello in cui gli Area si sono trovati ad agire politicamente e a suonare. Era la fine di un'epoca e loro non potevano saperlo: di lì a poco il "movimento" sarebbe scomparso, così come quel sogno di poter modificare in senso comunista e libertario la società. Il Punk, (il no future) sarebbe stato l'evidente prodotto musicale di questo stravolgimento, di questa fase le cui conseguenze sono ancora sotto i nostri occhi. Una cesura quindi, un orlo oscuro, un baratro su cui gli Area hanno volato e sui cui hanno lanciato immaginifici bagliori di consapevolezza e un'orma indelebile, sicura, di una bellezza che non accenna a perire.




 Andrea Laino*



Canto per te che mi vieni a sentire

suono per te che non mi vuoi capire

rido per te che non sai sognare

suono per te che non mi vuoi capire

(Area, Gioia e Rivoluzione, 1974)
 





Gli Area sono considerati, oggi, un gruppo a cui certo non manca un posto nella storia del rock, anche grazie alla mitologia che avvolge ormai il nome di Demetrio Stratos (1) , cantante, performer e frontman del gruppo. Nel caso però si volesse, armati del più sincero spirito di classificazione, assegnare loro una collocazione in un sottogenere rock, emergerebbe presto un’anomalia, non essendo chiaramente riconducibili del tutto né al contesto “rock progressive”, né a quello “free jazz”, né tantomeno alla “worldmusic” (2). Gli Area, infatti, furono radicalmente allergici alle convenzioni e divennero celebri in quanto provocatori, volutamente dei “terroristi” della tradizione. I confini tra discipline e generi musicali, tra arte e politica, rappresentarono per loro dei boulevard di ampia percorrenza.

La storia del gruppo ha inizio negli ultimi anni Sessanta, quando la stampa italiana osteggiava apertamente il fenomeno dei “capelloni” (3) , e il Cantagiro, il Festival della Canzone Italiana, i successi di Adriano Celentano rappresentavano l’immagine del professionismo pop in Italia. La televisione era, assieme alla radio, il principale mezzo attraverso il quale conoscere e giudicare la musica di massa (4).



Il background di tutti i componenti degli Area si sviluppa proprio negli ultimi anni del decennio e ciascuno di essi matura una propria esperienza nel “pop” inteso come genere musicale; in particolare Demetrio Stratos, che raggiunge un notevole successo nella formazione dei Ribelli (5) . Un’esperienza che lo stesso Stratos avrebbe in seguito riconosciuto non solo come un’origine a cui ciclicamente tornare durante la complessa fase della propria carriera di performer vocale, bensì una sorta di palestra funzionale
all’autopercezione tecnica (6).

Da un punto di vista squisitamente estetico, il ciuffo laccato che Stratos sfoggia sulle copertine dei 45 giri dell’epoca e nel video di Pugni Chiusi o l’uniforme di colore rosso acceso che condivide con gli altri componenti del gruppo; oppure ancora le copertine dei dischi dei Califfi e la particolare cognizione che allora il senso comune donava della parola “intrattenimento”, contribuiscono a definire una specie di “protocollo” comune a tutti i gruppi beat di allora (7) : un terreno condiviso nell’esperienza performativa di ciascuno dei futuri componenti della formazione “storica” degli Area, che però, a ridosso degli anni Settanta, sentono l’esigenza di uno scarto rispetto alla dimensione del beat rock italiano. Tra questi, pur rimanendo all’interno dell’amato genere rhythm’n’blues, sono Demetrio Stratos e Giulio Capiozzo i primi a gettare le basi per la nascita del gruppo:

ricordo una serata molto bella in un posto pieno di zanzare, vicino a Cervia. Era un dancing dove ho suonato anch’io con l’orchestra di mio padre [...]. Una volta ci ho trovato il quartetto di Demetrio e Giulio, più altri due musicisti. Nel repertorio, che comprendeva anche alcuni brani folk, i pezzi forti erano quelli di Otis Redding (che Demetrio cantava divinamente), di Ray Charles e di Stevie Wonder. La musica nera era il climax (8)

suonavamo assieme [con Giulio Capiozzo] prima che AREA nascesse, questo per un anno e mezzo circa [...]. Facevamo molto lavoro da balera, però cercavamo gente disposta a fare “del free”, che allora era una roba a livello di cantina (9).





Stratos e Capiozzo avrebbero presto trovato in Patrick Djivas (basso elettrico) e Leandro Gaetano – di cui prese il posto Patrizio Fariselli alle tastiere – chi poteva sostenerli nel loro progetto di rifiuto degli stilemi della canzone e dei repertori d’importazione. A breve si aggiunsero anche Johnny Lambizzi (chitarra elettrica) – che in seguito avrebbe lasciato il posto a Paolo Tofani – ed Eddie Busnello (sassofono).

L’avventura degli Area nasce all’insegna di una ricerca di autonomia e libertà creativa, che prenderà corpo lentamente attraverso numerosi concerti. L’identità del gruppo si sarebbe formata anche grazie all’interazione con il mondo del music business, diversamente rappresentato dalle figure di Franco Mamone e Gianni Sassi. Il primo, manager della Premiata Forneria Marconi, individuò presto negli Area una risorsa per coltivare il sogno di una propria Mahavishnu Orchestra italiana (10). Cominciò così a occuparsi della band accostandone il nome a quello di artisti di fama internazionale quali Nucleus, Atomic Rooster, Rod Stewart e Gentle Giant, in concerti dove gli Area misero subito alla prova le proprie idee, non solo musicali (11):


La prima cosa che mi colpì dei Gentle Giant fu vederli entrare nei camerini coi loro vestiti grigio topo e uscirne conciati in modo pazzesco, con il cantante che indossava delle giarrettiere sopra i pantaloni viola e cose simili. Noi ritenevamo che per un musicista non dovesse esserci differenza tra la vita fuori e sul palco, e il primo impatto con un vero act da grande gruppo rock non fece altro che rafforzare le nostre convinzioni. Rimaneva comunque il fatto che quello spettacolo divertiva e affascinava la gente, eccome! Il pubblico si beava di quei gesti esagerati, di quelle luci fantasmagoriche, dell’eccitazione simulata eseguendo poche note di assolo e di tutto il kitsch dell’iconografia rock (12).




Una dichiarazione che potrebbe sembrare solo un aneddoto divertente, una nota di colore. Eppure dietro tali impressioni si cela una convinzione, ancorata alla radice dell’operare degli Area. Se infatti prendiamo in considerazione ciò che lo studioso Philip Auslander rileva a proposito del rapporto fra Glam Rock e il suo antecedente in senso cronologico – il rock psichedelico legato alla
controcultura – notiamo come la testimonianza di Fariselli non sia altro che l’applicazione di un modus operandi allora molto diffuso:

I argue that the counterculture’s deep investment in the idea of authenticity entailed a necessary antipathy to theatricality. This antipathy derived from three ideological commitments: the enphasis on spontaneity and living in the present moment, the desire for community, and the suspicion that spectacle served the interests of the social and political status quo (13).

La proposta di Stratos e compagni mirava a negare il concetto stesso di “spettacolo”, alla ricerca di un realismo politicamente orientato attraverso il quale “raccontare il pessimismo e la realtà della strada. L’environment, cioè quello che c’è attorno [...]” (14):

noi eravamo determinati a seguire esclusivamente la nostra ispirazione e a fare i conti soltanto con il nostro talento. In un’epoca in cui tutti vogliono qualcosa da te, questo atteggiamento è già di per sé rivoluzionario” (15).




Una posizione radicale, diametralmente opposta alle esperienze musicali da cui tutti gli Area provenivano, maturata anche grazie all’incontro determinante con Gianni Sassi (16). Sassi, con la sua etichetta discografica Cramps Records, sarebbe stato il demiurgo e il promotore degli Area: suggerendo tematiche da sviluppare, ideando le copertine degli album, curando le strategie promozionali e galvanizzando il più possibile l’attenzione del pubblico nei confronti della sua creatura. Con lo pseudonimo “Frankenstein” avrebbe inoltre firmato molti testi delle canzoni del gruppo.

Fu sua l’idea di affiancare la dicitura “International POPular Group” al nome “Area”. L’aggettivo “internazionale” era chiamato in causa dall’evidente meltin’ pot dei primissimi componenti degli Area, formati da un greco, un francese, un belga e due italiani (17). La dicitura “pop”, invece, isolata nei caratteri capitali dal resto della parola, richiamava la sfida più audace lanciata da Sassi: fare in modo che testi politicamente impegnati e pratiche performative estranee all’ambito della musica rock potessero entrare in contatto con il pubblico più giovane, con una fruizione di massa, cercando di allargare il più possibile il raggio di ricezione per le musiche di ricerca e per la diffusione di un’arte “rivoluzionaria”.




Sassi ideò e mise in atto anche una campagna pubblicitaria che mirava a suscitare scalpore, accompagnata da un concept legato alla citazione della triste frase impressa sui cancelli dei lager nazisti (18).

Nelle tue miserie/riconoscerai/il significato/di un arbeit
macht frei/Tetra economia/quotidiana umiltà/ti spingono
sempre/verso arbeit macht frei/Consapevolezza/ogni volta
di più/ti farà vedere/cos’è arbeit macht frei (19).

Le parole della title track del primo album degli Area (Arbeit Macht Frei, Cramps, 1973) sono l’esempio di una convinzione: un testo, veicolante un preciso messaggio politico e lontano dagli standard testuali dei gruppi rock dell’epoca, poteva essere strumentale al risveglio della consapevolezza nel pubblico, un mezzo per sensibilizzarlo su temi “difficili”, scomodi. Una strategia di coinvolgimento dell’ascoltatore che ha anche nella scelta di cantare in lingua italiana una connotazione indispensabile. Se in un primo momento l’uso dell’italiano fu criticato da Demetrio Stratos, presto egli stesso ne comprese l’importanza: il messaggio doveva essere più diretto ed efficace possibile e non poteva perciò avvalersi dell’uso di una lingua straniera. Anzi, cantando i testi di Sassi, Stratos sembra incorporarne il linguaggio, in un certo senso interpretando anche nella “vita reale” il pensiero collettivo elaborato dalla Cramps:

Ci sono cinque musicisti che hanno una rabbia repressa perché hanno suonato per tanti anni quello che volevano i padroni. Per esempio un musicista in Italia, per lavorare in un locale, anche oggi deve fare quello che gli dice il padrone, il programma che gli impone il padrone. Questo gruppo è stato il primo, dentro il circuito alternativo, che un giorno ha detto di no e ha cercato di dare un taglio con la tradizione, portando avanti questa rabbia [...] (20).




In Arbeit macht frei si affrontano tematiche quali la difficile situazione del popolo palestinese – Luglio, agosto, settembre (nero) – e dell’industria musicale – L’abbattimento dello Zeppelin (21). Il primo brano richiama la vicenda del commando “Settembre Nero”, che irruppe alle olimpiadi del ’72 uccidendo undici atleti israeliani; il secondo, a chiusura dell’album, è invece articolato su un’atmosfera rumoristica, in cui la voce “bizzarra” di Stratos si dispiega in un recitativo celebrando la caduta di uno dei simboli del progresso (e non troppo velatamente, dei Led Zeppelin, colosso indiscusso del rock). Un atteggiamento quantomeno originale per un gruppo esordiente che, agli inizi degli anni Settanta, in Italia, poteva avere negli Stormy Six, la PFM o Francesco Guccini i maggiori esempi di sperimentazione e impegno politico nella musica.

Questo brevissimo excursus sulla struttura grafica, testuale, concettuale di Arbeit macht frei ci aiuta a dare seguito al discorso aperto precedentemente, legato al concetto di “autenticità” rivendicato dagli Area

Riprendendo ancora le posizioni teoriche di Auslander, lo studioso americano isola tre componenti che costituiscono l’immagine dell’artista sul palcoscenico: la persona reale (performer come essere umano), la performance personae (la scelta di come presentarsi sul palco) e il personaggio (il carattere o
personaggio di cui si narra nella storia, o tema, della canzone) (22)
 




La distanza tra la persona reale e la performance personae può essere generalmente incerta e oscillante, ma nel caso degli Area essa è un blocco unico e indivisibile. Il desiderio trainante del gruppo era infatti quello di instaurare un costante contatto con la società “reale”, di diventare i portavoce di istanze sociali o politiche lavorando su un sentire comunitario.

Tale programmatica coincidenza tra persona e personae si evince dalle modalità assunte dai musicisti nel porsi sul palco e nel rappresentarsi agli occhi del proprio pubblico, di cui le foto di copertina sono precisa testimonianza.

In altre parole, se per gli Area l’autenticità era il valore predominante, ciò escludeva una sovraesposizione spettacolare della teatralità, considerata sintomo di falsità. Se è vero che l’autenticità del rock “è sempre stata misurata dal suo suono” (23) , e che “non c’è teatro senza separazione” (24) , allora comprendiamo le motivazioni che sottendono la posizione degli Area. Anzi, facendo riferimento alle reazioni che questo atteggiamento provocò in pubblico e critica, possiamo scoprire fino a che punto la loro fu una vera operazione di lotta, o meglio di “resistenza”, nei confronti dei valori della cultura dominante.




Se il concept “Area”, nel suo complesso, produce una tale narrazione stratificata, è però anche possibile individuare, in coincidenza con questo primo episodio discografico, l’attivazione di specifiche pratiche performative del gruppo, legate perlopiù alla ricerca vocale di Stratos e all’inclusione consapevole di uno uso sperimentale del recitativo. Anzi, da un punto di vista storico-cronologico, è proprio intorno al già citato brano L’abbattimento dello Zeppelin che si consuma l’episodio seminale di quella audace sperimentazione che diverrà la cifra performativa del Demetrio Stratos solista. Secondo le parole dell’autore del testo, Gianni Sassi, il brano è composto

di parole onomatopeiche, abbiamo deciso di usarlo dandogli proprio questa caratteristica: il suono che ricordi nella sua esplicitazione il concetto della parola: allora tu hai per esempio ssssgonfiato, le parole che giocano in questo modo. Nel mettere a punto queste parole e il modo di dirle abbiamo cominciato a entrare in una problematica di cui la onomatopea era l’aspetto più banale; si è cominciato a capire che la scomposizione della parola e l’uso articolato del suono all’interno della parola ne modificavano anche il significato in alcuni casi, e che potevano essere un’indagine che apriva dei vastissimi orizzonti (25).

La voce di Stratos allude al movimento in caduta libera del grande dirigibile, con tutte le sue illusioni di potere, restituite metaforicamente dalla deformazione a cui il performer sottopone le parole del testo.




Con il secondo album del gruppo, Caution Radiation Area (Cramps, 1974), emergono almeno altri due punti che segnano una presa di posizione sempre più radicale rispetto agli standard di azione diffusi nell’ambito musicale: la rottura con l’idea cinicamente imprenditoriale di Franco Mamone e l’inclusione di pratiche performative colte, legate all’incontro – non solo teorico – con l’esperienza artistica di John Cage (26).

L’uscita degli Area dall’influenza imprenditoriale di Mamone per certi versi agevola la tensione politica del gruppo a farsi portavoce organico del “movimento”, con un impegno che si traduce in una presenza costante nei festival rock organizzati dalla rivista di controcultura “Re Nudo” (27), cosicché i concerti nei palasport vengono sostituiti sempre più spesso, nei tour degli Area, dai raduni rock all’aperto e dalle feste dell’Unità (28).




La visione dell’esperienza live come rituale collettivo che permette al pubblico di esprimersi e partecipare attivamente allo spettacolo, rimanda a una strategia performativa che, sposando il contesto dei festival rock e le tematiche discusse nell’acceso fervore politico della sinistra giovanile, è riconducibile a un’ulteriore affermazione compiuta dagli Area. Un doppio “regime di visibilità” dimostrato dalla loro presenza costante nei festival popolari, a cui si contrappone un atteggiamento critico e sospettoso nei confronti delle comparsate in programmi televisivi. Inoltre, grazie alla mediazione di Gianni Sassi e alla introiezione di elementi relazionali tratti dall’esperienza cageiana, gli Area entrano in contatto con pratiche performative per certi versi “estreme”. La negazione della teatralità come sintomo di artificialità non esclude l’introduzione di forme di provocazione scenica che hanno chiari antecedenti nell’ambito della cultura teatrale, richiamando l’attività di artisti come Allan Kaprow o il Living Theatre.

Gli Area, durante i concerti dal vivo, si dimostrano pronti ad abbandonare il consueto uso degli strumenti per attivare qualcosa di molto vicino all’happening e alla tradizione del teatro ispirato alla figura di Antonin Artaud. L’esempio in questo senso più “generoso” è sicuramente Lobotomia, episodio tratto dal secondo album del 1974 e presentato nello stesso anno al Velodromo Vigorelli di Milano, primo atto di una lunga serie di incursioni performative (29).



L’idea fu quella di abbassare tutte le luci della platea, gettare sul pubblico una sorta di tela e tenere fisse delle torce elettriche sul viso di alcuni spettatori. Nel frattempo, taglienti e striduli jingles televisivi si riversavano fuori dagli altoparlanti, spinti al massimo del volume. La perfomance puntava a mettere lo spettatore nella stessa condizione di un uomo sottoposto a lobotomia, alludendo metaforicamente (e ideologicamente, rispetto al momento storico) ai processi di spersonalizzazione indotti dal medium televisivo. La stampa del tempo non mancò di registrare lo stato di agitazione del pubblico, scene isteriche e anche qualche svenimento (30).

Fu ancora Gianni Sassi a suggerire la performance con l’intento di ricreare nel pubblico il senso di sofferenza e crudeltà provato dai detenuti del gruppo Baader-Meinhof sottoposti a lobotomia durante la permanenza in carcere:

La mescolanza di questi suoni, lancinanti, veramente dolorosi da ascoltare, voleva essere il dolore dell’operazione mentre la consapevolezza di non avere più una personalità veniva rappresentata sul palco dal buio in sala (il non avere più il senso dell’orientamento) e dalle pile, tutti elementi perfetti per manifestare questa cosa (31).



La progettualità dell’opera evidenzia una forte vocazione provocatoria, in consonanza con le poetiche espresse del gruppo Fluxus e affini ad alcune esperienze delle avanguardie teatrali degli anni Sessanta e Settanta, volte a risvegliare la consapevolezza dello spettatore. Un “realismo” che per molti aspetti ricorda certe “crudeli” incursioni artaudiane del Living Theatre (Mysteries and smaller pieces, The Brig, Frankenstein), durante le quali il pubblico veniva emotivamente sollecitato e fisicamente coinvolto; eventi in cui lo spettatore partecipava a un rituale collettivo, rompendo gli schemi e i ruoli tradizionali dello spettacolo (scena/platea, attore/pubblico) (32).

Grazie a questa intuizione, il discorso artistico degli Area produce una prima deriva performativa e teatrale, consapevoli della necessità di sospendere – seppure misuratamente – il discorso musicale:

Lobotomia è un momento di musica gestuale avanzata, un momento molto critico dove si arriva alla provocazione musicale. Cioè, tu non dai più uno spettacolo sul palco ma lo spettacolo diventa la gente... Radicalizzando il discorso noi subiamo una lobotomia attraverso la Tv [...]. Noi abbiamo un pubblico anche di quindicenni che vanno scossi [...] noi cerchiamo di sensibilizzare politicamente i giovani, provocandoli affinché vadano a casa e ci pensino (33).



La definizione di “musica gestuale avanzata” sottolinea la matrice fisica del codice musicale in cui è inscritta la performance (34). Attingendo a un repertorio performativo, gli Area mettono in atto un’azione attraverso la quale viene superata la forma concerto, per raggiungere la coscienza dello spettatore e muoverlo a una successiva azione politica di intervento, individuale e collettivo. Tale prospettiva ha evidenti precedenti in ambito teatrale: dalla teoria brechtiana al già citato padre del “teatro della crudeltà”, Antonin Artaud. Sebbene non si possa delineare una genealogia rispetto alle teorie del grande poeta francese, tuttavia esistono precisi richiami a una influenza diretta degli scritti di Artaud su alcuni componenti del gruppo (35).

Questi elementi non mancheranno di confluire anche in Crac!, terzo album degli Area, che già dalla copertina dimostra la volontà di restituire un’immagine nuova del gruppo, fumettistica e gioiosa, aperta anche alla forma canzone. Siamo nel 1975 e i testi parlano della Grecia e del Portogallo liberati dai regimi dittatoriali, della fine della guerra in Vietnam.




Tra i diversi brani presenti nell’album, La mela di Odessa merita una attenzione particolare per l’estensione del recitativo applicato da Stratos alla narrazione. Il testo elabora in forma allegorica la storia del primo dirottamento del secolo, il cui senso profondo richiama temi politici cari al gruppo, stimolando così il pubblico a condividerne lo spirito rivoluzionario. Le sfaccettature interpretative modulate dal Stratos si avvicinano, ancora una volta,
a un esperimento di natura squisitamente teatrale. Il cantante-performer tratta vocalmente ogni singola parola in maniera tale da farne “esplodere” le possibilità di senso; la pronuncia, volutamente marcata da un riconoscibile accento emiliano e da tonalità enfatiche, “da comizio”, rendono la narrazione carica di ironia e concitazione, senza risparmiare all’ascoltatore il piacere di godere dei trilli eseguiti con la tecnica dello jodel.

Nella versione che gli Area realizzano dal vivo, si aggiunge però anche un elemento più propriamente performativo, che la cronaca giornalistica dell’epoca riconduce ancora una volta alla forma dell’happening. Infatti, successivamente alla parte strumentale d’apertura e prima del momento di recitativo, l’esecuzione del brano veniva interrotta da tutti i componenti del gruppo per mangiare un vera e propria mela. L’azione, che evidentemente mirava a riaffermare un principio di verità in contrapposizione al tempo sospeso della rappresentazione comunque veicolata dal concerto e dalla progressione narrativa, veniva ulteriormente enfatizzata grazie ai microfoni, che amplificavano i dettagli sonori, “concreti”, della masticazione.

Le crescenti pulsioni performative e la volontà di coinvolgere il pubblico si traducono, nello stesso periodo, in un ulteriore esperimento dal titolo Caos (parte I), presentato durante i concerti del 1976. Paolo Tofani, chitarrista del gruppo, scopre che gli impulsi di un sintetizzatore Tcherapnin possono modificare i suoni emessi se collegato a una resistenza variabile come quella del corpo umano. Da qui l’intuizione di poter far calare dei cavi dal palco sul pubblico, durante i concerti, in modo da collegare quante più persone possibili e far “impazzire” il sintetizzatore, creando un effetto sonoro diverso in relazione alla variabili termiche e di resistenza presenti ogni serata.




L’aspetto sonoro celava evidentemente un corrispettivo performativo simbolico, all’insegna della condivisione e della comunione polisensoriale:

La gente cominciò a divertirsi e a toccarsi, a prendersi per mano, a parlarsi, a ridere e accarezzarsi: fu un vero successo! Tatto e udito si unificarono come mai era successo prima, una vera esperienza intersensoriale; il contatto fisico amplificava la portata dell’evento [...]. Ogni pubblico, ogni volta, aveva la sua musica (36).

Le note di copertina presenti nell’album Maledetti (Cramps, 1976) testimoniano in merito alcuni episodi particolarmente rilevanti: in un concerto a Udine alcuni militari costruirono, durante la performance, una piramide di sedie sotto gli occhi increduli degli organizzatori; a Savona, invece, due ragazzi si lanciarono in motocicletta in mezzo al pubblico pur di poter raggiungere i cavi e
toccarli (37).

La necessità di instaurare un rapporto provocatorio e coinvolgente con il pubblico può essere considerato una vera e propria cifra stilistica dell’idea performativa degli Area. Azioni quotidiane come lavarsi i piedi in una bacinella, piantare dei chiodi o lavare il palcoscenico erano spesso contemplate all’interno dei concerti, in modo da scuotere la atavica passività del pubblico. In questo codice va inscritta anche la performance avvenuta nel 1976 all’Università Statale di Milano occupata dagli studenti, in seguito pubblicata nell’album Event 76 (Cramps, 1979), esito definitivo della ricerca sull’improvvisazione già maturata dal gruppo e da Demetrio Stratos in relazione alle matrici cageiane. Al centro di tale ricognizione si situa l’episodio Caos (parte II), ispirato dallo stesso Cage, immaginando cosa sarebbe potuto accadere se un gruppo di musicisti si fosse trovato nelle condizioni di rompere il reciproco ascolto durante una improvvisazione, eludendo così qualsiasi forma di volontà individuale.



Caos (parte II) mette in pratica l’indicazione di Cage, frammentando programmaticamente l’esecuzione suggerita da un meccanismo puramente casuale, in cui cinque foglietti, che passavano ciclicamente nelle mani dei performer-musicisti, indicavano una parola da tradurre in termini musicali: ipnosi, silenzio, violenza, ironia, sesso. Un cronometro scandiva il tempo di esecuzione di ogni frammento, stimato sempre in due minuti. Al segnale dato, ogni improvvisatore passava il biglietto al successivo.

Il concerto milanese si trasformò in un vero e proprio happening, in cui il pubblico, richiamato dalla notorietà degli Area, si trovò di fronte a un evento decisamente diverso rispetto alle aspettative. Dopo una prima fase di smarrimento a cui seguirono segni espliciti di protesta e intolleranza, gli spettatori compresero l’originalità dell’operazione, partecipando attivamente all’evento secondo una propria interpretazione e attivando una serie di interventi ludici estemporanei:

Non so chi, dalla platea, cominciò a far tintinnare un mazzo di chiavi e fu subito imitato da molti altri, contribuendo efficacemente al sound generale. Poi, visto che fuori pioveva e gli ombrelli in sala erano numerosi, alcuni cominciarono ad aprirli e chiuderli ritmicamente, rendendo dinamica la scenografia (38).

Gli ultimi anni di attività degli Area, non sarebbero stati più così ricchi di uno sperimentalismo per certi versi eroico. La frammentazione progressiva del gruppo e la breve ma intensa ricerca solistica di Demetrio Stratos prima della sua drammatica, improvvisa morte nel giugno del 1979, avrebbero di lì a poco concluso l’epica di quella che, ancora oggi, viene considerata una delle maggiori esperienze della musica rock, non solo italiana, capace di connettere a diversi livelli respiro popolare, matrici colte
e uno sperimentalismo performativo per certi versi ancora ineguagliato.






Note



1) Il contributo che qui mi vede impegnato rielabora, ampliandoli, alcuni contenuti pubblicati nel mio Demetrio Stratos e il teatro della voce, Milano, Auditorium, 2009, a cui rimando per ogni specifico approfondimento sulle vicende artistiche e performative di Demetrio Stratos e gli Area e per una bibliografia esaustiva. Mi preme però ricordare in questa sede che il volume è l’esito editoriale della mia tesi di laurea Demetrio Stratos: corporeità e matericità di una voce-evento, discussa nel 2008 presso l’Università di Bologna (relatori Marco De Marinis e Fabio Acca). Vorrei infine segnalare un’integrazione bibliografica per colmare i due anni che ci separano dalla pubblicazione del volume: Antonio Oleari, Demetrio Stratos. Gioia e rivoluzione di una voce, Milano, Aereostella, 2009; Luca Trambusti, Consapevolezza. Gli Area, Demetrio Stratos e gli anni Settanta, Roma, Arcana, 2009.
2) La voce “Area” infatti non è presente nelle enciclopedie jazz, e il gruppo non è preso in considerazione nemmeno dalle pubblicazioni di Cesare Rizzi dedicate al fenomeno del progressive rock; cfr. The Prog Side Of The Moon, Firenze, Giunti, 2010; Progressive & Underground, Firenze, Giunti, 2003.
3) Cfr. Matteo Guarnaccia, Beat e mondo Beat. Chi sono i Beats, i Provos, i capelloni, Viterbo, Nuovi Equilibri, 2005, pp. 162-193.
4) Cfr. Francesca Anania, Breve storia della radio e della televisione italiana, Roma, Carocci, 2004; Aldo Grasso, Storia dellatelevisione italiana, Milano, Garzanti, 2008.
5) Giulio Capiozzo fonda sempre nel 1966 il gruppo beat Bo Bo’s Band. Paolo Tofani dal 1966 al 1971 è chitarrista dei Samurai e poi dei Califfi. Tra il 1965 e il 1969, Ares Tavolazzi è il bassista di Carmen Villani, del gruppo beat Avengers e dei The Pleasure Machine. Infine Patrizio Fariselli, sempre nello stesso periodo, ripercorreva i grandi successi blues e rhythm’n’blues con i The Telstars.
6) A distanza di anni, Stratos avrebbe dichiarato come questo periodo avesse “contribuito ad allenare i miei muscoli fonoarticolatori”. Cfr. Roberto Masotti, Area di ricerca & autodifesa, in «Gong», n. 3, marzo 1977.
7) Cfr. Claudio Pescetelli, Una generazione piena di complessi, Arezzo, editrice Zona, 2006; Alessio Marino, Beati voi! Vol. 1 e 2 – Interviste e riflessioni con i complessi degli anni 60, Edito per «I libri della Beat Boutique 67», novembre 2007; Riccardo Bertoncelli, Enciclopedia del Bitt Italiano (appendice alla Enciclopedia del Rock Anni ’60, IV ed., Arcana Editrice, 1989); Tiziano Tarli, Beat italiano. Dai capelloni a Bandiera Gialla, Milano, Castelvecchi, 2005.
8) Domenico Coduto, Il libro degli Area, Milano, Auditorium,2005, p. 35.
9) Roberto Masotti, op. cit.
10) “Intravedeva in noi i virtuosi capaci di emulare, ad esempio, la Mahavishnu Orchestra, il gruppo di John McLaughlin, che a quei tempi faceva scalpore. Sarebbe stato il suo sogno, ma l’imitazione era proprio ciò da cui rifuggivamo, stavamo ancora cercando la nostra strada e l’idea non fu neanche presa in considerazione”; cfr. Patrizio Fariselli, Storie Elettriche, Milano, Auditorium, 2008, p. 15.
11) Gli jodel che Demetrio Stratos già considerava parte integrante del proprio stile vocale, spesso facevano infuriare gli spettatori, poco disponibili a considerare la possibilità di un cantato non proprio in linea con quelli di Ian Car, Rod Stewart e Derek Shulman; cfr. Roberto Masotti, op. cit.
12) Patrizio Fariselli, op. cit., p. 21.
13) Philip Auslander, Performing Glam Rock. Gender & Theatricality in Popular Music, The University of Michigan Press, 2009, p. 10. [sostengono che il profondo investimento della controcultura nell'idea di autenticità comportava una necessaria antipatia per la teatralità. Questa antipatia derivava da tre impegni ideologici: l'enfasi sulla spontaneità e il vivere nel momento presente, il desiderio di comunità e il sospetto che lo spettacolo servisse agli interessi dello status quo sociale e politico]
14) Intervista di Franco Bongiovanni a Demetrio Stratos,1974, citata in www.broderie.it.
15) Patrizio Fariselli, op. cit., p. 13.
16) Sassi, vicino ai gruppi Fluxus e Zaj, prima di incontrare gli Area era stato organizzatore di eventi, spettacoli teatrali, mostre di pittura, dibattiti; cfr. Domenico Coduto, op. cit., pp. 16-20.
17) “Internazionale” si intendeva anche in un altro senso: “il nostro progetto andava verso la ricerca di un’autonomia di immagine e soprattutto di poetica e di qualità che avesse dignità a livello internazionale. Anche per questo International POPular Group venne aggiunto al nome Area”; da un’intervista rilasciata da Gianni Sassi a Radio Tre Rai, trasmessa il 29 maggio 1989.
18) “Sadicamente./Arbeit Macht frei/(il lavoro rende liberi)/è sui cancelli d’entrata./Dei lager nazisti./Sicuramente./ Arbeit Macht frei/(il lavoro rende liberi)/è nei negozi di dischi. Ma/ Dal 15 settembre”: pubblicità diffusa da Sassi prima dell’uscita del primo album degli Area. Cfr. Claudio Chianura, Patrizio Fariselli, Area International Popular Group, Milano, Auditorium, 2004, p. 12.
19) Arbeit macht frei, Cramps Records, 1973.
20) Demetrio Stratos, in Franco Bongiovanni, op. cit.
21) Cfr. I padroni della Musica, Roma, Stampa Alternativa, 1974; Gianpaolo Chiriacò, Area. Musica e Rivoluzione, Viterbo, Nuovi Equilibri, 2005, pp. 70-77.
22) Philip Auslander, op. cit., p. 4.



23) Lawrence Grossberg, The Media Economy of Rock Culture: Cinema, Postmodernity and Authenticity. Sound and Vision: The Music Video Reader, London, Routledge, 1993, p. 204.
24) Herbert Blau, The Audience, Baltimore, John HopkinsUniversity Press, 1990, p. 10.
25) Gianni Sassi, in Mario Giusti, Demetrio Stratos, Milano,Mursia, 1979, p. 44.
26) Nello stesso periodo, grazie alla mediazione di Walter Marchetti – collaboratore della Cramps e membro del gruppo ZAY – Demetrio Stratos esegue e pubblica con la stessa etichetta Cramps, nell’album John Cage, uno spartito di Cage dal titolo Sixty-Two Mesostics Re Merce Cunningham. I Mesostics consentono a Stratos di approfondire la sua ricerca vocale, in particolare l’uso espressivo dei fonemi. In seguito Stratos avrebbe direttamente collaborato con il grande compositore americano, partecipando a diverse iniziative e creazioni. Anche in questo casorimando al mio Demetrio Stratos e il teatro della voce, op. cit.
27) Cfr. Alessandro Bertante, Re Nudo: underground e rivoluzione nelle pagine di una rivista, Rimini, Nda Press, 2005; Giordano Casiraghi, Generazione Rock, Roma, Editori Riuniti,2005, pp. 289-334.
28) Importante, sul versante delle scelte performative, anche la loro performance alla clinica psichiatrica di Franco Basaglia a Trieste, avvenuta nel 1974.
29) Il brano fu scritto in onore dell’attivista e giornalista tedesca Ulrike Meinhof, a cui tentarono di imporre la lobotomia una volta arrestata dalla polizia.
30) Cfr. Mario Giusti, op. cit., p. 27; Patrizio Fariselli, op. cit., pp. 23-27.
31) Domenico Coduto, op. cit, p. 86.
32) Per un’analisi dettagliata dell’estetica artaudiana applicata al teatro fino agli anni Settanta, cfr. Fabio Acca, Dal volto all’opera. Alle fonti del Teatro della Crudeltà in Italia, in «Culture Teatrali», autunno 2004, n. 11, pp. 157-195.
33) Demetrio Stratos, citato in Domenico Coduto, op. cit., p. 85. Cfr. anche le testimonianze in merito di Patrizio Fariselli in «Re Nudo», n. 67, 1978; e in Gianpaolo Chiriacò, op. cit., p. 103.
34) E' interessante notare che spesso, nei credits presenti negli album degli Area, in relazione al ruolo di Demetrio Stratos compariva la dicitura “corpo in movimento”, a sottolineare la reciprocità necessaria tra qualità performativa del corpo ed esecuzione vocale.
35) Tra i tanti indizi, ricordiamo gli espliciti rimandi alle teorie artaudiane contenuti nell’album Antropofagia (Cramps, 1977), di Patrizio Fariselli; e la performance del 1979 di Demetrio Stratos, Pour en finir avec le judgement de dieu, dall’omonimo testo di Artaud. Una diretta testimonianza sull’influenza di Artaud nella poetica degli Area è contenuta nell’intervista a Patrizio Fariselli, a cura di Fabio Acca, in Demetrio Stratos: corporeità e matericità di una voce-evento, op. cit.
36) Patrizio Fariselli, op. cit., p. 51.
37) Un’importante testimonianza filmica della performance è contenuta nel film-documentario Parco Lambro 1976 – Nudi verso la follia, di Angelo Rastelli.
38) Patrizio Fariselli, op. cit., p. 61. Va ricordato che all’evento parteciparono anche Paoul Lytton (percussioni) e Steve Lacy (sax), due importanti musicisti di area free-jazz.


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*Andrea Laino è musicista e studioso di musicologia. Dal 2008 è laureato in Discipline dello Spettacolo dal Vivo presso l’Università di Bologna. Ha pubblicato Demetrio Stratos e il teatro della voce (Auditorium, 2009) e ha partecipato al volume Il Libro della Voce (Auditorium, 2010) con alcuni contributi saggistici sul problema della “voce” nel teatro del ’900 e sulla poesia sonora. Collabora con il mensile «Insound». Studia composizione, chitarra jazz e improvvisazione nella musica contemporanea. 















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