uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

martedì 11 agosto 2015

Sul capitalismo termoindustriale occidentale.

Da  Al cuore della Terra e ritorno

Parte Seconda
di Piero Pagliani.





1. Il capitalismo non si sviluppa solamente tramite forze, risorse e processi endogeni quali il rapporto di sfruttamento. Se ciò fosse le società capitalistiche sarebbero collassate in poco tempo o non sarebbero mai sorte. Invece il capitalismo è stato in grado di superare una crisi dopo l’altra. Se l’estrazione di plusvalore e il coniugato processo di realizzazione formano il nucleo del modo di produzione capitalistico, il suo vero e proprio kernel nel senso che i risultati di tutte le funzioni della società capitalistica in ultima istanza in esso si devono rispecchiare e ad esso devono essere ricondotti, i salti in avanti nei processi che formano questo nucleo, e quindi l’espansione e la riproduzione del capitalismo, sono avvenuti facendo massicciamente leva su forze esogene. Usiamo il termineesogeno in relazione a un dato rapporto di aggiunzione T-D* (intrecciato quindi a un rapporto P-V) e non nell’eccezione, relativa solo a D che si usa in Economia quando si parla ad esempio di “shock esterno”.
Ricordiamo l’avvio stesso, basato sulla forza dello Stato, del capitalismo occidentale durante il processo di accumulazione primitiva in Inghilterra. Oppure il volano offerto dal debito pubblico e le crisi, che accelerano i fenomeni di concentrazione e centralizzazione. Infine ricordiamo le innovazioni di processo e di prodotto nella cornice della “distruzione creatrice”.
Questi fattori alterano i “normali ritmi” dell’accumulazione che da sola non potrebbe garantire la riproduzione del rapporto sociale capitalistico proprio a causa delle sue intrinseche contraddizioni che si riverberano mutuamente sul versante della realizzazione (come la concorrenza) e quello della produzione (ad esempio con l’aumento della composizione organica del capitale e la caduta di fase del saggio di profitto). Queste contraddizioni pongono dei limiti che devono quindi essere superati con interventi esogeni al processo di accumulazione in senso stretto.
E’ una sorta di coazione a ripetere perché il capitalismo occidentale nasce proprio grazie al concorso di fattori “esterni”, tra i quali spiccano il commercio di lunga distanza e la rapina coloniale. Ma non sono gli unici.

2. Nella più volte citata lettera di Karl Marx a Vera Zasulič, l’autore del Capitale apriva implicitamente un grosso problema storico: la divergenza della traiettoria politica, economica e sociale dell’Occidente rispetto ad altre grandi formazioni sociali come la Russia. La divergenza tra la traiettoria occidentale e quella cinese è ancora più sorprendente, dato che la Cina fino al XVIII secolo appariva come un centro ben più potente e organizzato, così come in misura poco minore lo era l’India.
Per quali ragioni ad un certo punto l’Occidente avrebbe avuto la crescente capacità di soggiogare questi potentissimi centri e sviluppare il capitalismo industriale che noi oggi conosciamo, imponendolo al resto del mondo?
La questione è molto complessa ed è nota come la “Grande Divergenza”. Il termine fu introdotto nel 1996 da Samuel Huntington e ripreso quattro anni dopo da Kenneth Pomeranz nel suo libro “La Grande Divergenza: la Cina, l’Europa e la Nascita dell’Economia Mondiale Moderna”. Precedentemente lo stesso problema era stato affrontato da Eric Jones nel libro “The European Miracle: Environments, Economies and Geopolitics in the History of Europe and Asia”. Come si evince da questo titolo, i fattori che possono fornire una spiegazione sono molteplici e collegati alla geografia fisica, alle risorse, alla cultura, alle istituzioni, alle capacità militari e alle relazioni internazionali. Non è ovviamente possibile affrontare qui l’argomento. Tuttavia alcune dinamiche sono estrapolabili da quanto è stato detto finora.
Innanzitutto abbiamo visto la superiorità dei Paesi europei nella conduzione della guerra. A sua volta essa era dovuta ai continui conflitti che le nazioni europee dovevano condurre in un continente spezzettato in molteplici formazioni sociali particolari che insistevano sul medesimo ambiente fisico-economico. Abbiamo anche visto la necessità di un’isola piccola e scarsamente popolata come l’Inghilterra di proiettare la propria potenza all’esterno, con esiti dapprima sfortunati (guerra dei Cento Anni), ma in seguito vincenti come la conquista dell’India (1)



3. Le imprese della piccola Inghilterra hanno iniziato ad avere fortuna quando le logiche T e D si differenziarono con nettezza e si allearono nella loro autonomia. A quel punto la logica territorialista inglese, che spinse a dover compensare la perdita delle Indie Occidentali, dovuta alla guerra d’indipendenza americana, con un’accelerazione nella conquista delle Indie Orientali, fece da volano ai processi capitalistici di accumulazione. Rispetto a ciò il carattere misto, commerciale, amministrativo e militare, della Compagnia delle Indie Orientali fu per tutta una fase non solo fondativo della potenza capitalistica britannica, ma anche emblematico: in termini moderni potremmo dire che lo Stato inglese “privatizzò” alcune sue funzioni specifiche ritenendo non solo più economico ma anche politicamente più prudente che esse fossero svolte da una società per azioni (delle quali il governo non ne possedeva neppure una), tranne poi re-internalizzarle nei processi di formazione dello Stato quando la complessità del sistema industriale e commerciale inglese crebbe a un punto tale da richiedere una rispecializzazione delle funzioni territoriali di accumulazione del potere e di quelle capitalistiche di accumulazione del denaro (2).
Infine nel Capitolo I.2 abbiamo sottolineato le trasformazioni filosofiche ed epistemologiche che permisero di configurare uno spazio culturale, simbolico e ideale che favorì la differenziazione tra il Potere del Denaro e il Potere del Territorio, così come abbiamo visto la necessità del primo di doversi comunque alleare col secondo, non solo per questioni concernenti le capacità di conduzione della guerra, ma per la necessità di avvalersi delle capacità del personale tardo-signorile nella conduzione dello Stato per tutto il lungo periodo in cui la formazione di personale politico borghese fu in gestazione.
Come sfondo a tutte queste dinamiche abbiamo scorto la necessità dell’Europa di recuperare il controllo dei mezzi di pagamento mondiali accumulati nell’Oriente asiatico e in India. Ciò che portò all’espansione dei traffici mercantili di lunga distanza e alla nascita dei mercanti-banchieri europei, nucleo di quel Potere del Denaro non più subalterno bensì alleato ai diversi Poteri del Territorio.

4. Quindi la Grande Divergenza in fondo era stata preparata da uno stato di debolezza dell’Europa rispetto alla Cina, finanziaria, economica, organizzativa e politica.
Ma se questo è il quadro preparatorio, la causa scatenante fu un ulteriore fattore di debolezza che iniziò a emergere a metà del XVII secolo: una crisi energetica.
Questo fenomeno è stato analizzato da diversi ricercatori e tuttavia è poco presente nella letteratura marxista (3):


[...] ai due capi dell’Eurasia le necessità di una crescente popolazione erano affrontate nel modo usuale, cioè utilizzando più lavoro per aumentare la resa per ettaro. L’intensità di lavoro in agricoltura aumentava, cioè si utilizzavano più ore di lavoro per ogni appezzamento di terra.
Tuttavia dato che la produttività della terra aumentava, ma a un ritmo inferiore all’incremento del numero di lavoratori, la produttività del lavoro diminuiva. Così la pressione demografica fu compensata a spese di un declino della produzione pro capite e quindi degli standard di vita.
[...] Dato che una diminuzione della resa del lavoro significava un minore compenso per il lavoro, la spinta a rimpiazzare il lavoro con capitali e tecnologia iniziò a ristagnare. Perché rimpiazzare il lavoro con le macchine se il lavoro era così a buon mercato? L’intensificazione del lavoro si trasformò perciò in una trappola. Più lavoratori significava più produzione la quale permetteva un aumento demografico che, a sua volta, stimolava l’intensificazione del lavoro e la riduzione del capitale. Una volta che questa tendenza si mise in moto divenne difficile liberarsene. La conclusione paradossale è che i livelli di vita tendono a declinare precisamente in quelle agricolture dove la produzione per unità di terra è al suo culmine.
L’inizio della Crescita Moderna in Europa fu per l’appunto una deviazione da questo percorso normale.
(Malanima, 2006, p. 111 - trad. mia).




Tale deviazione fu drammaticamente sollecitata dal peggioramento delle condizioni climatiche causato dalla Piccola Era Glaciale, con tre periodi di freddo particolare iniziati nel 1650, nel 1770 e, l’ultimo, nel 1850, intervallati da periodi poco più caldi.
E qui entrò in gioco in Europa un altro fattore di svantaggio: la tradizionale minore produttività delle agricolture europee rispetto a quelle asiatiche (dovuta a fattori fisici, al tipo di colture e al tipo di irrigazione) in relazione al fabbisogno calorico. Così mentre in Cina la razionalizzazione dell’agricoltura ad alta intensità di lavoro fu in grado di ribaltare l’usuale direzione malthusiana di causa-effetto, che asserisce che il livello della popolazione è determinato dal ritmo dello sviluppo agricolo, in Europa invece bisognò ricorrere ad altri mezzi, perché i limiti previsti da Malthus nel suo “Essay of the principle of the population”, non a caso pubblicato nel 1798, cioè nel pieno del secondo periodo della Piccola Era Glaciale, sembravano raggiunti (ivi, p. 116).
Dato che in Europa l’energia solare raccolta in superficie e sfruttata dall’agricoltura non era sufficiente, si dovette metter mano all’energia solare immagazzinata sottoterra: la cosiddetta “foresta sotterranea” dei giacimenti di carbone.
L’epoca del capitalismo termoindustriale stava iniziando.

5. Manca però ancora un ingrediente purtroppo comunemente ignorato dalle analisi socio-ecologiche: la disponibilità finanziaria per iniziare il processo. Sappiamo che tale disponibilità finanziaria era concentrata in Asia. E quindi lì fu acquisita estendendo il commercio alla rapina. Il “salto tecnologico” fu sostenuto da un salto nel ritmo di accumulazione dei mezzi di pagamento. Troppo lento quello permesso dal commercio di lunga distanza, occorreva andare a prelevarli direttamente in altri modi: con la forza.

Qui entrò in gioco una diversa forma di energia: la polvere da sparo. Il ricco Bengala venne saccheggiato e tutto l’impero Moghul venne funzionalizzato allo sviluppo del centro metropolitano. In seguito toccò alla Cina (4) . Nell’emisfero occidentale l’approvvigionamento finanziario fu garantito dal commercio triangolare atlantico basato sulla tratta degli schiavi, il commercio di cotone e grano dall’America alla Gran Bretagna e di prodotti finiti in senso inverso. Lo abbiamo visto in vari luoghi e lo ricordiamo per suggerire una schematizzazione geometrica: l’avvento del capitalismo termoindustriale occidentale è il risultato della ricerca di energia solare lungo due direttrici: quella verticale, con le miniere di carbone, e quella orizzontale, con lo sfruttamento, nelle colonie e nei Paesi tributari, di terra e di forza-lavoro schiavizzata o semi-schiavizzata e con l’appropriazione dei prodotti di tale energia, correnti (cotone, grano, tè, tessuti, ecc...) o nella forma di ricchezze precedentemente accumulate.
Abbiamo a questo punto gli elementi per capire perché, come è stato accennato nel Capitolo I della Parte Prima, secondo Giovanni Arrighi e Samir Amin il capitalismo termoindustriale occidentale nasce da un processo di estroversione con una direzione retrograda,
“innaturale” per dirla con Smith: invece di andare dallo sviluppo dell’agricoltura a quello dell’industria e infine al commercio estero, si ebbe l’esatto contrario, con in più, aggiungiamo, il carattere iniquo, rapinoso, che a causa di questa direzione retrograda dovette assumere tale commercio estero, che infatti si combinò con il colonialismo.
  



6. Il moderno capitalismo termoindustriale occidentale appare quindi come un frutto molto particolare di condizioni e fattori di diversa natura, così che ben difficilmente può essere considerato come un esito necessario e tanto meno permanente della storia umana. Questi fattori si intrecciano, convergono, sono spesso legati da un rapporto di causa-effetto. Altre volte emergono quasi casualmente. A volte è persino difficile separare la casualità dalla causalità.
Nella vicenda della conquista del Bengala, come abbiamo visto, la casualità della presenza degli Inglesi nell’area era dovuta al ritiro improvviso dei Francesi, che dal canto loro erano stati la causa di quella presenza. Questo ennesimo paradosso è spiegabile con l’opposizione dei due tipi di logica che stiamo analizzando. In Francia prevaleva la logica capitalistica a causa del declino politico della nobiltà terriera, legato alla summenzionata difficoltà che incontrava l’agricoltura in Europa e che si sommò a tutte le altre dinamiche che fecero emergere la classe borghese proto-industriale. In Inghilterra, invece, fu il prevalere della logica territorialista a creare le condizioni perché la più debole borghesia proto-industriale inglese si trasformasse nella potentissima borghesia industriale del XIX secolo, in associazione con la casuale ampia e conveniente disponibilità di “foresta sotterranea” in Inghilterra e nel Galles.
Quanto sopra esposto dimostra che concentrarsi su un solo fattore, su una sola dimensione, o una sola sequenza causa-effetto, non permette di considerare i problemi nella loro pienezza e complessità e quindi di elaborare reali soluzioni. In particolare rileviamo come una visione ristretta della crisi energetica (da sola o accompagnata da considerazioni sulla crescita demografica) non possa portare molto in là.

La crisi energetica che l’Europa dovette affrontare tra il XVII e il XIX secolo ha avuto precondizioni e postcondizioni che provenivano e agivano a tutti i livelli e su ogni dimensione (climatica, ecologica, sociale, politica, istituzionale, organizzativa, tecnologica, simbolica, economica e finanziaria). Parimenti l’attuale crisi energetica deve essere considerata sotto tutti questi punti di vista intrecciati.

Il termine stesso “crisi energetica” si presta a letture troppo settoriali. Bisognerebbe dire “crisi energetica del capitalismo termoindustriale a predominio occidentale”, dove il termine “capitalismo” serve a ricordare il concorso di contraddizioni di carattere sociale, economico, fisico e politico e l’aggettivo “occidentale” ci ricorda che siamo solo una parte del mondo non tanto grande come pensiamo.






 *T: potere del territorio - D: potere del denaro - P: produzione - V: valore.



Note

1) A riguardo si possono notare alcune cose interessanti per il nostro discorso. L’iniziale fase della Guerra dei Cento Anni risultò favorevole all’Inghilterra grazie ad alcuni elementi “paradossali”. Tra quelli più interessanti troviamo l’uso dell’arco lungo (longbow) contro il quale la cavalleria pesante feudale francese poteva poco. Il paradosso consiste nel fatto che l’arco lungo era usato perché meno costoso delle balestre e quindi più conveniente per gli Inglesi, più poveri dei Francesi. La preparazione all’uso di questa difficile arma (ci volevano anni di addestramento) era dovuta sia alla tradizione sia alle precedenti esperienze di utilizzo nelle battaglie contro i Gallesi e gli Scozzesi dovute al ritardo inglese nell’unificazione territoriale.

Battaglie che forgiarono la coesione degli eserciti inglesi. Furono quindi tre fattori negativi (povertà, disunione territoriale, guerre) che indussero il vantaggio iniziale dei re inglesi. Inoltre il forte controllo del Parlamento in materia fiscale su un sovrano che però aveva un controllo capillare del territorio su cui regnava, permetteva una coesione sociale che invece in Francia era precaria, tanto che le prime sconfitte portarono alla ribellione dei borghesi di Parigi (rivolta di Étienne Marcel del 1358) alla quale la Corona di Francia rispose con una controffensiva che, a causa delle imposizioni fiscali che richiese, provocò a sua volta la rivolta dei contadini (le jacqueries). In questa congiuntura si vide all’opera uno schema simile a quello descritto da Engels riguardo la successiva guerra dei contadini in Germania (la Bauernkrieg), ovvero il rifiuto dei borghesi di allearsi coi contadini contro i signori. Si noti che la coesione sociale in Inghilterra era dovuta a un’anticipazione del rapporto di aggiunzione T-D: i proto-borghesi inglesi non mettevano in discussione le prerogative territoriali del sovrano, bensì quelle fiscali.
2) Il punto di svolta ebbe ancora una volta una causa territorialistica. Fu infatti il Great Mutiny del 1857 (o “Prima guerra d’indipendenza indiana”), che spinse la regina Vittoria a riprendere in mano la gestione territoriale delle Indie, mentre il declino economico della Compagnia fu proporzionale alla crescita delle necessità di esportazione, piuttosto che di importazione, delle industrie inglesi.
3) Cosa che ne fa trasparire il generale economicismo che è in diretto contrasto col preteso materialismo: la “materia” viene completamente sussunta - ignorando le proteste di Marx stesso - non in un rapporto sociale, dove essa continua ad essere protagonista («Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d’uso ...»), bensì in un rapporto economico pronto a essere idealizzato.
4) Mentre la Cina utilizzava quella forma di energia per pacifici fuochi d’artificio, l’Inghilterra capiva che poteva utilizzarla per sottomettere la Cina. Le serissime cannoniere britanniche non potevano di certo essere battute dalla festosa nave di marmo fatta costruire dall’imperatrice Cixi al posto di una flotta da guerra.

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