uno dei due è l'altro

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lunedì 24 agosto 2015

Peter Green. La fine del gioco.





Iniziate quasi inconsapevolmente o furtivamente le fuorvianti procedure per il rientro. Protocolli che una volta avviati investono la natura stessa dei luoghi e delle persone e ne modificano l'aspetto e la consistenza. Il gioco è alla fine.  Lasciato questo cielo, il ritorno all'ordinario.Tutto ciò naturalmente è già accaduto varie volte in modo parzialmente diverso. E ha, fuor di metafora, il suo costo. Il tempo a breve stringera'. Il ricordo ci porterà ad errare dentro vaste e solenni bastionate calcaree: algoritmi e oniriche isoipse, su cui fiorisce spesso la mortella. Si tratta, in sostanza, di abbandonare malinconicamente l'orbita nella quale ci siamo cullati e cullati, anche maldestramente a volte, fra estrosi, casuali e luminosi nembi, e passare nel luogo delle reali circostanze di vita e gravità. Il gioco è alla fine. Riemergeranno certo  frammenti angusti, a volte, di ciò  che già dilegua in una lingua che si vuole indecifrata e banalmente si dissipa come relazione infranta, vagante e fluttuante tuttavia nello spazio interno ed esterno. E certo non bastano espedienti, come sperando usano sporadici e frastornati salmoni, faticosamente intraprendenti: risalire la corrente fittizia, o come semenza sparsa nel crepuscolo, giacere oltre il solco.  È vero, si sta come soggetto collocato fuor di contesto, sasso sottratto all'armoniosa indifferenza. Abraso destino talvolta svelato.
 La fine del gioco. Appunto.




Da Ondarock 

Peter Green - The End Of The Game
(1970)

"... I feel it is time for a change". Con queste parole Peter "Green" Greenbaum poneva termine alla sua esperienza come chitarrista dei Fleetwood Mac nell'aprile del 1970, per incamminarsi su percorsi differenti, lontani dalla fama procuratagli dal blues elettrico di quella band. Ufficialmente colto da crisi mistico-religiosa, in realtà parzialmente inebetito dall'Lsd, Green abbandonò lo stile di vita precedente per dedicarsi interamente a una sorta di estemporaneo ascetismo, che lo porterà a disfarsi della fortuna accumulata e a vagare di lavoro in lavoro, ma che sublimerà in una delle opere più grandiose mai pubblicate. Inciso in una sola notte, "The End Of The Game" rimane una delle meteore più accecanti che abbiano mai solcato il cosmo della musica rock. 

Green si traveste da sciamano e cerimonia una messa ancestrale, dove oscurità e magia tribale, si fondono al viaggio lisergico. E allora in "Bottoms Up", la chitarra si distende eterna e schizofrenica su un fitto tappeto ritmico, per poi esplodere in preda a un mistico delirio. Dimessa e intima, "Timeless Time" evoca la quiete estatica del David Crosby più dilatato e sognante e, insieme al tenero fraseggio chitarristico di "Hidden Depth", richiama alla mente le atmosfere languide e sognatrici che accompagnarono l'utopia hippie, e la grande stagione creativa che sta mestamente volgendo al termine. 

Ma basta ascoltare l'epico duello con il piano di Zoot Money in "Descending Scale", per capire che l'anima di Green è sfregiata da contrasti che di angelico hanno ben poco. Quiete e tempesta, estasi pianistica e chitarra rabbiosa, come sfondo la foresta misteriosa e arcaica, infinita. L'ossessiva percussività da danza tribale, trova sfogo in "Burnt Foot": la batteria domina, il cerimoniale si avvicina al culmine, la chitarra attraversa soltanto la traccia, come una arcana presenza incombe silenziosa. 


Il rito raggiunge l'apice, Green dipinge schizzi di primordiale follia, estrae tutta la potenza evocativa dallo strumento, per adempiere al ruolo di sciamano rock come solamente il Morrison più invasato prima di lui; la conclusiva "The End Of The Game" è lo sfogo terminale, la furia cieca prende il sopravvento, delirante ritorno a una forma di primitiva coscienza. Il misterioso, l'inesplorato, l'infinita e dolorosa ricerca delle origini accompagnano Green nel suo concerto di dissonanze e distorsioni per wah-wah. Tutte le tracce si basano sull'improvvisazione, forti di una notevole perizia tecnica dei collaboratori, creando il fortunato connubio di psichedelia e jazz-rock che permea il disco e che lo rende una delle pietre miliari del rock strumentale dell'epoca. Viscerale ed intenso, schizofrenico nei suoi continui viaggi tra l'estatico e il minaccioso, "The End Of The Game" è l'urlo nel silenzio di una generazione che osserva impotente il lento dissiparsi di un sogno: la fine dei giochi.


Da Impatto Sonoro

[...] La liturgia è inaugurata da “Bottoms up”, 9 minuti esatti avvolti in un crescendo singhiozzante e spasmico, forse il punto più alto del rock strumentale dei seventies: in poco meno di 60 secondi, ecco avanzare il fade-in più febbrile di sempre, un'attesa nervosa che, per i più smaliziati, sembra preludere ad una scolastica ripresa dei dogmi di “Voodoo Chile”. Ma non è così. Dmochowski è un mortaio cavernoso, slegato come se si trovasse al contrabbasso della John Coltrane Band, Maclean sbriciola il tempo sui piatti al punto da dare l'impressione che siano sue naturali appendici, per poi stendersi su un temporaneo 4/4 in battere di rullante (per rendere l'idea, quello prediletto dai Kiss). E Green? Indugia, sputa sensazioni quasi amelodiche, vestito di un effetto wah spigoloso e marziale: è uno sciamano tremante, che tasta il terreno prima del rito. Gli strumenti si avvinghiano, dopo due minuti di esemplare preludio, e ciò che ne esce è una jam, anzi, LA jam irripetibile, nella quale la soluzione più immediata viene confutata nel giro di quattro battute, verso sviluppi e variazioni opposte. Pause, incoerenza, fluvialità fanno di “Bottoms up” la “Cancelli del Cielo” musicale ed una delle tappe fondamentali della musica moderna.


“Timeless Time” è purissimo ambient, una sonata per manico e bacchette dolcemente posata, a metà fra Vivaldi e Robert Johnson, negli stridii dei cymbals e nelle piccole ragnatele delle 6 corde: e l'acronia esiste, a difesa del titolo, perchè “Timeless Time” è una vibrazione soprattutto intima che sembra durare da sempre. Per sempre. E soltanto con te, che la stai ascoltando ad occhi chiusi, perchè tu solo la possa provare, per non condividerla, con nessuno.
“Descending Scale” è il sisma hot jazz, con il piano e l'organo comprimari sincopati al loro esordio, nell'album, ad allacciare le percussioni ancora sciolte ed anarcoidi in un apparente 6/8. Chissà a chi toccherà ricomporre l'ordine (sempre che l'espressione calzi….)…..Ma Green è astuto, e, come il miglior entertainer, il suo primo pubblico altro non è che lui stesso: disobbedisce alle norme del ligio chitarrista e, dopo un minuscolo riff che anticipa (o cita? mah, le due canzoni sono contemporanee) “Layla” di Clapton,, fa ripiombare l'organico nello sfogo puramente dada, con squarci acuti improvvisi ed intervalli alla Barrett: basta ascoltare la sezione centrale per rendersi conto del facile paragone con i Pink Floyd più free (quelli di “Interstellar Overdrive”, per capirci).



“Burnt Foot” è un regalo a Maclean, uno standard rock'n'roll cucito addosso ad un taglio percussivo rapace ed indipendente, sopra il quale Green, sorretto da un quattro corde alienato e quasi solistico, cuce un piccolo stratch'n'solo (sì, Tom Morello ha imparato anche da qui) di inusitata vigoria. “Burnt Foot” è il classico modello mancato, la fonte inattinta di innumerevoli ispirazioni sotterranee. “Burnt Foot” è il divertissement puro, l'unico momento lontano dai recessi più bui, la progressione blues pura, irrinunciabile, definitiva.
“Hidden Depth”, il brano dal titolo più esplicativo, sembra la registrazione improvvisata di un funk alla Traffic, con tanto di piano spavaldo e di chitarra esornativa, una veloce divagazione su un genere già assodato; ma basta aspettare un solo minuto per capire quale sia l'effettivo scopo del brano: nei successivi 4 minuti, l'esordio viene rallentato, smontato, alienato, nobilitato, tutto allo scopo di individuare la “profondità nascosta” persino negli attimi più bizzarri. E si ritorna allo schema della pastorale acid di “Timeless Time”, questa volta con un maggiore senso armonico, sempre ad un passo dal capolavoro.


“The End of the Game” è un osanna alla paura, al terrore dell'Arte, durante il quale il fedele strumento di Peter, più sbronzo e maniacale di prima, si contorce in una sequela di rantoli virtuosistici, le parole non pronunciate, come l'estremo rimorso di un mutismo obbligato; ed è un testamento annunciato, l'anticipazione di un destino assurdo, forse la vera ricompensa della sua pazzia e del suo genio.

Tracklist
Bottoms Up
Timeless Time
Descending Scale
Burnt Foot
Hidden Depth
The End Of The Game



Bottoms up

Timeless time

Burnt foot


Hidden depth

End of the game


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