Per iniziare l'anno in bellezza, presento alcuni versi di Clemente Di Leo, un ragazzo e poeta abruzzese dallo splendido talento, la cui vita purtroppo è stata molto breve. Ritrovo in lui la giovinezza e i luoghi che amo.
Buon 2016.
***
“Dirupi d’Abruzzo sono la mia reggia.
L’ho colorata d’azzurro con la mia voce
frantumata in getti di parole”.
Clemente "Dino" Di Leo è nato a Colledimacine nel 1946. All’età di dodici anni, per le complicazioni seguite ad un’operazione di tonsille ha contratto un grave vizio cardiaco. Aveva appena fatto la prima media e si fermò lì: non poté più proseguire gli studi né avviarsi a qualche mestiere. Si dedicò ai versi da autodidatta, confrontandosi con la maestosa letteratura europea e intervenendo con presenza vivace e polemica ai fermenti che animarono negli anni Sessanta i convegni di poesia regionali. “Sono il primo lupo rosso della Majella che deserta le tane buie degli avi e si sdraia sui divani delle case come un’antica belva sacra”. La sua prima opera stampata, ‘Frammento lirico’, è legata ad un’idea ingegnosa, si racconta che di propria tasca pagò le spese di stampa e per renderla appetibile agli acquirenti, s’inventò una storia particolare: si fece passare per editore che aveva raccolto postumi gli scritti di un suo giovanissimo amico straniero, Massimo Rocovic, morto suicida. Dino si scrisse anche la prefazione, spacciandosi per Leo Fosco.
Clemente viaggiava in autobus recandosi frequentemente a Pescara, sia per consultare le biblioteche, sia per vendere i suoi libri. Camminava sulle spiagge adriatiche, fermava i bagnanti e proponeva loro l’acquisto di Cimeli, di Frantumi di una reggia azzurra, di Una lunga puzza…
La svolta per la sua carriera artistica avvenne nel giugno del 1970 quando vinse con Gilgamesh, un poemetto di taglio narrativo e leggendario, il premio aquilano la “Madia d’oro”. Per la prima volta la sua opera ebbe un editore ed una vera introduzione
corredata da Giuseppe Porto che così lo elogiava: “La poesia di Clemente di Leo scaturisce dalla roccia, dagli stagni, dalla zolla, dalle cantine, dalle carte del tressette, dal sole. E’ tutto strano nella vita e nell’opera di questo abruzzese cresciuto come un toro, ribelle e spavaldo". Un mese dopo, il 4 luglio, di ritorno dall’Aquila, dopo aver ritirato il suo premio, volle festeggiare l’evento con gli amici. Gli era proibito bere, mangiare eccessivamente e affaticarsi. Quella notte bevve molto, mangiò a crepapelle, e stette fuori quasi fino all’alba. Il mattino dopo, fu ritrovato agonizzante nel letto di casa. Non ci fu nulla da fare. E' morto a 24 anni nel 1970. Un suo verso dice: “Poeti come me si contano sulle dita di una mano”
È magnifico essere poeta. Hai in gola un vaso di marmellata e nelle viscere un velo di seta che preso anche da un’aquila o da un missile e tirato per sempre negli spazi non si arrende mai, della sua infinitezza anzi può avvolgere tutto l’universo”
A proposito di "Frantumi di una reggia azzurra"
"Siamo gente dura dalle pupille dolci,
foglie al vento pregne di clorofilla…"
La raccolta “Frantumi di una reggia azzurra” è del 1966,
(Un libro nuovo per idee e forma narrativa.) un' autoedizione nascosta dietro l’inesistente sigla milanese dei Fratelli Muscente. Per attirare l’attenzione sulla propria opera Di Leo inventò di aver trovato quelle poesie… Di averle avute dai parenti di un giovanissimo poeta abruzzese, Antonino Teseo, nato a CampotoSole, palla di zuccherosto il 20 maggio ’44 e che si era ammazzato nel luglio del ’65. Raccontò, ancora, che il suo amico si era ucciso gettandosi da un burrone e che aveva lasciato scritti preziosi. Riuscì, con questo stratagemma, a creare un caso letterario. Ma dopo un po’ il “trucco” fu scoperto: a svelare l’identità del vero autore fu lo scrittore Giuseppe Rosato, scrittore di Lanciano.
(Un libro nuovo per idee e forma narrativa.) un' autoedizione nascosta dietro l’inesistente sigla milanese dei Fratelli Muscente. Per attirare l’attenzione sulla propria opera Di Leo inventò di aver trovato quelle poesie… Di averle avute dai parenti di un giovanissimo poeta abruzzese, Antonino Teseo, nato a CampotoSole, palla di zuccherosto il 20 maggio ’44 e che si era ammazzato nel luglio del ’65. Raccontò, ancora, che il suo amico si era ucciso gettandosi da un burrone e che aveva lasciato scritti preziosi. Riuscì, con questo stratagemma, a creare un caso letterario. Ma dopo un po’ il “trucco” fu scoperto: a svelare l’identità del vero autore fu lo scrittore Giuseppe Rosato, scrittore di Lanciano.
In “Frantumi” Clemente Di Leo avverte: "Certamente, quando avrai finito di leggere questo libretto che Ti si perde fra le mani, dovrai riprendere a fare ciò che stavi facendo un attimo fa; e forse Ti pentirai di aver contratto
le mie poesie col Tuo piatto di pastasciutta.
le mie poesie col Tuo piatto di pastasciutta.
Ma non avercela con me. Io sto di un dito sopra queste macchiate pagine di carta, l’unica consistenza che Ti rimarrà in consunzione".
Dalla prefazione di Edvige Rossi Lamberti: "Con “Frantumi di una reggia azzurra” Clemente Di Leo diviene un’esperienza conchiusa. Come Rimbaud, egli a men che vent’anni ha creato e determinato il suo mondo poetico.
La Poesia è per Di Leo anzitutto un rifiuto della realtà. Dice in un appunto che mi ha mandato: “Mi sono ribellato all’esistenza divenendo forma astratta e puramente gratuita. Ma così non valgo un’albicocca”. “E’ inutile che cerchi di sfuggirmi. Tu sei fatta di carne ed hai bisogno dei miei occhi”.
“La voce di Ungaretti ed i baffi di Quasimodo mi fanno ridere, ridere a crepapelle”. [...] ogni mia carta scritta è per me sempre automaticamente secondaria poiché è una ripercussione visibile della mia voce atona”. Ed ancora: “Non sono poeta-letterario ma Poeta dell’Essenza. Non appartengo alla poesia delle lettere ma a quella vissuta, sentita nella verità del mio Spirito. Voi non saprete mai Questa Poesia. Questa Poesia sono Io".
Oltre 50 dei “pezzi” presenti in "Frantumi" furono composti di getto tra marzo e maggio del 1965, però la prima “Pescara” è del 3 ottobre 1964 e l’ultima “La vita” è del 29 marzo 1966. L’opera si presenta come una piramide di 86 blocchi sempre pronta a sfasciarsi e ricomporsi, e si divide in tre parti principali, oltre i Preamboli: dapprima assistiamo alla creazione dell’io e al suo determinarsi (La mia reggia e Amori regali); poi allo scontro fra l’io ed il mondo (Discesa sulla terra, Amori Terrestri e Vincitori e vinti); ed infine all’oscuramento ed all’annullamento dei valori e della posizione acquisita (Canti della notte ed Amori notturni).
“Le lunghe gambe vestite di nero tra i palazzi ti guardi, Cinno. Lastre di alluminio le strade ti carpiscono gli umori di menta; ma i pastori sulla breccia dei colli, urne di Annibale, sono misere scaglie e bruchi dalla terra dei serpi salutando il letto di cartocci l’ultimo lupo squarciato nel ventre.
Non ti preme perdere l’assenzio dei boschi, pure l’alluminio ti canta, fremi ai suoni dei clacson come ai primi cuculi, incredibile Cinno”
***
Ultimo figlio del bosco
non parto senza un tatuaggio,
una radice che trafori i basalti
si incendi nel mezzo del magma per
rifiorire dai crateri nel cielo
Tu che sommuovi le sopracciglia
davanti a questo viso longobardo
alla sua voce vulcanica
e abbrividisci,
non resisti tra le giacche inamidite dei parenti
tra le sedie messe in fila dal ferraio
***
Ora lo vedi, amica; la mia
strada è l’assurdo e segui
uno stupido narciso in una
infinita conca di letame
uno stupido narciso in una
infinita conca di letame
***
Poesia, ti ho in mano come una mela marcia
ma se ti lancio, brilli come una cometa.
Averti addosso è una lunga puzza
ma se ti dico "Su, entriamo anche noi"
tu ti fai grande signora
ed io un cavallo odoroso.
Suggestione del presentatore.
Noi in una sala pulita
non abbiamo niente da fare.
***
(da " Gilgàmesh”)
“...Io che se muovo un dito posso realizzare i miei sogni
questa notte voglio andarmene tutto solo
dove i sogni non si consumano
lieto come un garzone un po' picchiato
che ha mille lire in tasca ... .
Voglio romperla con te, Vita, strega insaziabile
che già hai bruciato il mio ultimo passo
e mi rubi di bocca la parola più fresca..
Lascio la schiena su questa muraglia
e gli occhi a perdersi in questo
cielo stracarico di stelle.”
E’ magnifico essere poeta
E' magnifico essere poeta.
Hai in gola un vaso di marmellata
e nelle viscere un velo di seta
che preso anche da un'aquila
o da un missile
e tirato per sempre negli spazi
non si arrende mai, della sua infinitezza anzi
può avvolgere tutto l'universo.
Dai pori del tuo corpo senti crescere gelsomini
e il loro delizioso profumo
stura il muco delle tue narici.
Stai come un dio su un fiume solenne
che ti trasporta e lava
il giallo schifoso delle tue orecchie.
In alto c’è la luna d’aprile
In alto c’è la luna d’aprile
e corre nell’aria un fremito
di giovenche sciolte
a galoppo sui colli bianchi.
E’ tempo di baci.
***
“Sono un uccello senza piume dentro un tunnel.
A nulla serve sbatacchiare per uscirne.
Bene dunque. Farò qui il mio nido.”
Le madri del Sud
Le madri del Sud non baciano i figli.
Come mucche trasportano
il peso del vivere
e dormono.
E se un’alba parti,
gemono tra le canne vuote
sino al loro tramonto.
“…Sì è bella la vita con le sue viole
con le bocche delle donne
e la mortadella a colazione.
Sì è bella, vale
e ve lo dico o rovi, adesso che ho bevuto
e cinque trenta gocce mi scivolano sul mento
fresche e luminose
come i diamanti che si vedono sui giornali.
Vale! Vale!”
La morte
Educate i bimbi alla morte.
E’ irreale l’unica cosa vera
ma lì scoppiano i colori della vita
da lì ogni uomo è un atleta.
(da “Ciliegie”)
“Vado da un ramo all’altro come una gazzella
e un pugno di ciliegie alla volta
mi metto in bocca.
Scusatemi formiche se vi schiaccio coi piedi
E voi passeri che vi ho fatto scappare!”
Sole
Sole, palla di zucchero
non si muove una foglia.
Cantano due tre cicale
e le api, indugiano a staccarsi
sbaciucchiano e ribaciucchiano i fiori.
Sono felici anche i miei calzoni
Imbrattati di verde.
Io dormo e mi chiamo Nessuno.
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foto di Michele Foschi |
Nascita
Mi sono ritrovato
con un nome
tra pietre;
e senza risposte
mi consumo con loro.
La belva sacra
Sono il primo lupo rosso della Maiella
che deserta le tane buie degli avi
e si sdraia sui divani delle case
come un’antica belva sacra.
Venga avanti chi si dice poeta
Venga avanti chi si dice poeta.
Qui lo voglio vedere
sui colli o sull’asfalto
nella sua maniera di fare e di dire.
Inganna la qualità della carta,
e della china, l’impostazione tipografica.
Mi sarei impiccato da un pezzo
se la parola non mi scoppiasse
quando sto camminando, alla gola.
La Contea dei ginepri
Sette ginepri, un ciuffo di margherite,
nibbi che striano l’aria,
un fosso d’acqua dove non pesca l’uomo,
fanciulle un attimo, i silenzi sacri.
Questa è la Contea dei ginepri;
la devi spaccare la scorza delle querce
con un pugno – tanta è la forza
per poterci vivere.
(da "Notte a Venezia")
“…E i grilli che non ti cantano
nascosti sotto il quadrifoglio fortunoso
che profuma ogni volta a primavera
e si falcia per le fauci aperte
delle bestie che muoiono e si rinnovano,
e il miscuglio di antichi odori di api
e colori di fiori violacei e vermigli
consunti nei miei ricordi ripenso…”
Ti scrivo
Ti scrivo fra gli sterchi dei muli
tra le ortiche mosce,
appoggiato a una muraglia in sfacelo.
Robuste come questa desolazione
ti balzeranno le mie parole.
(da " Salute o rondini")
“Salute o rondini, mi tornate,
e con voi la voglia mi torna
di sciogliere inni d’angeli all’aria,
di premere le dita sulle pietre
come fossero pianoforti,
di baciare questi sorci color rosa
che escono fuori lividi e infreddoliti…”
(da "Poesia")
“Poesia, ti ho in mano come una mela marcia
Ma se ti lancio, brilli come una cometa.
Averti addosso è una lunga puzza
Ma se dico "Su, entriamo anche noi"
Tu ti fai una grande signora
Ed io un cavallo odoroso….”
(da “Notte abbracciami”)
"Voglio sbattere la faccia
nell’acqua dei pantani,
avvoltolarmi per terra
come un asino aggredito
dalle vespe, e ridere.
Questa cretina di luna
Si fa bella nei miei occhi;
non si vergogna di esistere
perché è senza cervello.”
“…E’ brutta la vita scura del verme
ripugnante quella del ragno
che tesse trappole e si ritira;
vuoi mettere un gambero con un bucaneve?
Ma neanche per scherzo!
Il mio corpo è una quercia verde
e passo per le strade come un guappo…
… La vita è una creta che puoi modellare come vuoi
una mazza fresca su cui puoi intagliare
qualsiasi disegno!”
Ridatemi le carte
Ridatemi le carte, fifoni,
voglio andare in bestia.
Quattromila lire, tutto quello che ho
per me è come niente.
La notte
Non vive né uccide, la notte.
E’ solo coperchio che sigilla
uno stagno che tace.
Domani è alba: resteranno specchiati
i girini: e nulla sarà mutato.
Ti dico
viviamo
Ti dico viviamo.
Non abbiamo nulla da perdere
tutto è perduto in partenza
I manichini di gesso
hanno di cuori scala reale:
ci restano quattro mani di glicini
da consumare sul tavolo bianco.
Il
cappello di panama
Questo
cappello di panama
mi costa
duemila lire.
Lo
chiamerò gioia.
Alla sua
ombra faccio festa
Sei
cinque formiche
esplorano
la mia pancia.
Cinesi
infi-infiniti
pestano
gli altopiani del Tibet.
"non
rendere" è il palo
dove ho
appoggiata la mia testa.
Non so
tenere un confetto in bocca
senza
tritarlo presto.
I denti
mi scartocciano versi
come
nocelline.
Sono
pigro al punto di alzarmi.
Ragazzo,
qui bisogna mutare strada
farsi
attore di teatro, portiere
romanziere
o qualche altra stronzata.
Lettore,
scusa la pubblicità,
se ti
serve un cane di razza
o un
poema da cerimonia,
dico sul
serio, scrivimi,
eccoti
l'indirizzo:
Clemente
di Leo, 66010 Colledimacine CH
Editori
illustrissimi,
se
cercate un libro straordinario
venite a
stanarmi.
Dottor
regista, dico anche a lei:
mi
prepari un cappello che sembri di canapa.
Il mio
debole
Il prato
del silenzio
è il mio
debole.
In questo
lago di bellezza
ogni
atto sembra
un salto
di ranocchio.
Ma il sangue è anarchico
ed io ci scaglio sassi.
La mia
libreria
Ho
bevuto ogni cervello d'uomo
senza
brocca. Col cuore in moto
per
balze silenziose ho aperto
una
libreria di muschi e intuiti.
Solo io
mi conosco: prima ognuno
parlava con la sua bocca -
nessuna uguale alla mia.
![]() |
foto di Michele Foschi |
Note di
bordo
La
situazione di bordo è rischiosa.
La
bussola segnala tutti i punti, nessuno.
Oggi
approdo.
Il mio
occhio ha la suggestione dei mari.
Si meravigliano
che mi dico principe
sedendo
in una poltrona non mia.
E' il
prezzo che valuto la terra.
Trovo
scritto nel mio libro maestro:
"ho
pronta una sputata per tutti.
Ognuno
mi saluta sorridendo"
Sono un
ragazzo e diecimila folletti.
Mi si
rimprovera la pazienza del vetraio.
Mi
escono bottiglie quando voglio damigiane.
Al
timone ho messo un pagliaccio di fiori.
Il mare,
il mare sotto, galoppa.
Per me
la vita è una scorpacciata di pesche.
Per i
più la vita è coltivazione.
Come un cane che vale
Come un
cane che vale
al
guinzaglio di un padrone idiota
sono la
vittima di un governo fantoccio.
Nessun
ha speso un bicchiere d'acqua
una lira
per la mia causa;
con le
vincite a STOP
mi comprai
un dizionario di nascosto.
Epigrammi
1
Gabriele,
ho sprezzato sempre i collegiali
cacandomi
le vacche sui piedi assolati.
Il mio
sentiero è quello dei cuccioli
bastardi,
degli asini mai strigliati.
Oggi
incontrandoti nell'antologia di un amico
da
escluso mi faccio della schiera.
Ti trovo
il più vero e a me il più consanguineo.
2
Montale
Quasimodo Ungaretti
lasciate
di scornarvi
per il
mio magistero.
Siete
tre ruscelletti magri
e tutti
e tre avete avuto la colite.
Tu
montale ti sei lesso
a
contatto con la Manica e il Corriere.
Ma non
hai saputo mascherare bene
che
trent'anni sono troppi
per dare
i primi ossi.
Volevo
vederti a Capracotta.
Salvatore,
il tuo calore
ha fatto
presa con lo zio
di
Milano. Non capisco
però che
vuoi dire. Comunista
potevi
diventarlo prima
o
tornare al sud se tanto ti piaceva.
Ungaretti,
ma che simpatico sei.
Appena
sapesti di valere
non hai
saputo più cantare.
Sono
scherzi di coscienza.
3
Pavese
caro, non bisogna farsi
attirare
dalle Montagne
Rocciose.
Dovevi dire
di
arrossire per una donnina.
4
Calvino,
mi piace il tuo sorriso
meraviglioso.
I tuoi libri
lo sai,
non valgono una H.
5
Quest'anno
vincerò il Viareggio.
L'Italia
è tutta scamorze
lampadine
gonfiate sotto vuoto spinto.
Ho una
voglia matta
di
stracciare milioni in faccia
al primo
collega di sillabe.
6
Lettore,
niente mi hai dato
perchè
piantassi il ciliegio.
Ma senza
vergogna strappi
i ceci
al mio prato.
Fa pure
con comodo:
narro
per servirmi.![]() |
foto di Michele Foschi |
Le opere scritte e pubblicate da Clemente Di leo
1963. Frammento Lirico di Massimo Rocovic Editore: Clemente Di Leo editore
1964. Cimeli di Massimo Rocovic editore: ‘Edizione Principe Clemente Di Leo’
1966. Frantumi di una reggia azzurra di Clemente Di Leo. Editore: ‘Fratelli Muscente Editori’ Milano
1968. Una lunga puzza di Clemente Di Leo editore: ‘Edizione dell’Amore’
1970. Gilgàmesh di Clemente Di Leo. Editore: ‘La Madia’ L’Aquila
Pubblicazioni postume
1985. Clemente Di Leo Poesie con prefazione di Giuliano Manacorda
1996. Un nome tra le pietre per Clemente Di Leo a cura di Pina Allegrini e Marina Bonincontro
2001. Cd-rom Biografia e Opere di Clemente Di Leo uscito come supplemento alla rivista “D’Abruzzo”
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La maggior parte del materiale che ho utilizzato è disponibile su http://www.clementedileo.it/ e
Il materiale è stato editato per esigenze di brevità e chiarezza.