L'Aquila
In provincia i segreti hanno vita breve. Ai piedi dello scalone della biblioteca provinciale ho incontrato un amico letterato che mi ha subito interpellato ridendo:
“Non vuoi mica darti al genere storico?”
“Ne sarei incapace” gli ho risposto credendo di poter tagliare corto. “Sai bene che ogni mio interesse, come scrittore, è rivolto al presente.”
“E' vero” egli mi ha replicato “ma non hai scritto tu stesso che certe realtà del presente hanno radici lontane?” La finzione è durata poco. L'amico già sapeva della mia visita di ieri a un archivio della città per esaminarvi alcuni cimeli riguardanti Celestino V. Pare anzi che la notizia abbia suscitato qualche curioso commento nel piccolo ambiente locale dei miei conoscenti. L'amico si fa bello col riferirmi la sua argomentazione in mio favore, citando a memoria da un mio saggio sulla narrativa e il “sottosuolo” meridionale, in cui, da Carlo Cafiero e gli anarchici di oggi, risalgono fino a Gioacchino da Fiore.
“Hai ragione” gli confermo, “Sarà un lavoro di scavo.”
“Come ti spieghi” insiste l'altro “che un tema così appassionante non sia stato mai trattato da letterati italiani? Sì, vi accennò Dante; ne trattò con enfasi ammirevole il Petrarca; ma dopo? Non Alfieri, non Manzoni...”
“La problematica etico-religiosa divenne tabù” cerco di rispondere. “Abbiamo avuto il Rinascimento e poi il Concilio di Trento.”
“Un tabù nostrano” aggiunge l'amico. “George Sand ha scritto Spiridion ispirandosi a Gioacchino da Fiore. Anche Lessing s'interessò all'abate calabrese.”...
Sulle tracce di Celestino
Sulmona
Dopo vari giorni di pioggia e vento nella valle di Sulmona, un mattino ci svegliamo con un cielo interamente limpido. Una tenera luce verde dorata bagna i campi gli alberi i paesetti pedemontani il grandioso scenario della Maiella e dà una proporzione armoniosa a ogni minimo oggetto. Benchè nato e cresciuto in una valle attigua da cui la Maiella è invisibile, nessuna montagna mi tocca come questa. Elementi emotivi assai complessi si aggiungono all'ammirazione naturalistica. La Maiella è il Libano di noi abruzzesi. I suoi contrafforti le sue grotte i suoi valichi sono carichi di memorie. Negli stessi luoghi dove un tempo, come in una Tebaide, vissero innumerevoli eremiti, in epoca più recente sono stati nascosti centinaia e centinaia di fuorilegge, di prigionieri di guerra evasi, di partigiani, assistiti da gran parte della popolazione.
Sarebbe veramente sciocco, per non dire idolatrico, voler stabilire un nesso tra avvenimenti così disparati, partendo dalla impassibile identità del luogo. Tuttavia, nella loro diversità ed eterogeneità, essi mettono in luce alcuni tratti costanti dell'indole di questi montanari. Tra questi non sono mai mancati individui bizzarri portati all'utopia religiosa o politica, e altri (comunque ovunque, la maggioranza) del tutto ordinari semplici chiusi e anche rozzi e gretti; ma, all'occorrenza, gli uni e gli altri, capaci di eccezionali prove di generosità e coraggio.
Di fronte a queste montagne, appena si entra in siffatto ordine di idee, è la figura di fra Pietro Angelerio che, prima di ogni altra, torna alla mente…
L'eredità cristiana
Celano
Continuo a visitare conventi e a leggere storie edificanti. Mi sento ormai saturo di immagini fratesche d'ogni secolo, al punto che esse cominciano ad apparirmi perfino nei sogni. Non le trovo sgradevoli, ma per il mio lavoro, come ora l'intendo, di troppo.
[...]
Numerosi cenobi si formarono nelle montagne abruzzesi, specialmente nella zona della Maiella, durante le lotte acerbe che desolarono il paese e lo gettarono in preda alle discordie e al banditismo. Pur evitando l'aperta eresia, quel rigoglio di vita ascetica rimase per molto tempo al di fuori della vita ufficiale della Chiesa, accogliendo assai liberamente, e spingendo talvolta agli estremi, le ispirazioni benedettine, joachimiste e francescane. La sua formazione più cospicua fu appunto il movimento sorto a metà del Trecento attorno alla badia dello Spirito Santo a Sulmona, per opera di fra Pietro Angelerio, il futuro Celestino V. Per qualche tempo esso attirò anche la corrente dei fraticelli detti spirituali, staccatasi dal tronco dei francescani conventuali. Li univa, malgrado alcune divergenze, una comune fede nell'imminente regno di Dio, quale era stato annunziato nel secolo precedente da Gioacchino da Fiore: l'attesa di una terza età del genere umano, l'età dello Spirito, senza Chiesa, senza Stato, senza coercizioni, in una società egualitaria, sobria, umile e benigna, affidata alla spontanea carità degli uomini.
Sulmona, maggio 1294
Una giovane artigiana cerca di spiegare una confusa storia di uomini di chiesa in rissa fra di loro.
Una piazzetta appartata di Sulmona, ai piedi del monte Morrone; nel fondo una larga scalinata, da cui si elevano muri bassi e ineguali di una chiesa in costruzione; i lavori però sembrano sospesi da anni. Al lato sinistro della piazza sta un'edicola con un'immagine sacra, davanti alla quale arde un lumino a olio. Al lato destro una modesta casa a un piano che serve d'abitazione e laboratorio a una famiglia di artigiani tessitori: la casa ha un'ampia porta e una finestra protetta da un'inferriata. Sui muri, ad altezza d'uomo, sono infissi alcuni legni a uso di attaccapanni; allo stesso fine, accanto alla porta, c'è un cavalletto di legno che può essere spostato secondo il bisogno. Una via poco frequentata, che collega la piazzetta al centro della piccola città, passa davanti alla scalinata.
E' l'alba. Dopo qualche secondo, a scena vuota, dalla porta già aperta della tessitoria appare una giovane donna, Concetta. Ella reca sulle braccia alcune matasse di lana rossa che appende agli infissi accanto alla porta. La donna è vestita di scuro, molto semplicemente, come usano le artigiane povere nei giorni di lavoro; non porta copricapo ed è pettinata al modo tradizionale, coi capelli raccolti in una piccola crocchia sulla nuca; calza pianelle di stoffa scura. E' una donna di gradevole aspetto, sui venticinque anni, robusta, un po' rustica, timida, ma non servile. Dopo essersi guardata a destra e a sinistra, ella avanza esitante verso il pubblico.
Celestino V. Sì, ho imparato a mie spese che è difficile essere papa e rimanere buon cristiano.
[...]
- M. Giacomelli - |
Napoli, ottobre 1294
Una condizione insopportabile
Dopo una breve pausa torna la luce. Celestino v e il cardinale Caetani** sono seduti di fronte.
Celestino V. Scusatemi se vi ho fatto aspettare. Non è
stata mancanza di riguardo. Come sapete, non potendo abolirle, ho ridotto le udienze. Prima di quest’anno, ho
sempre dedicato l’Avvento alla meditazione e alla preghiera.
Caetani. Ma ora siete papa.
Celestino V. Sì, ho imparato a mie spese che è difficile essere papa e rimanere buon cristiano.
Caetani. Io penso che sia possibile, ma in maniera diversa, com'è naturale. Quanto più si sale nella gerarchia della Chiesa e dello Stato, tanto più aumentano i doveri e di conseguenza si riduce la libertà personale
Celestino V. E' proprio come dite voi. L'esercizio del comando asservisce, cominciando da quelli che l'esercitano. Resta da chiarire perché tanti vorrebbero comandare.
Caetani. La spiegazione mi sembra facile. L'uomo brama il comando più della libertà e della virtù. Santità, temo che voi non conosciate l'uomo.
Celestino V. Il disprezzo dell'uomo l'incoraggia a essere spregevole. L'uomo vizioso si giustifica dicendo: Non è forse questa la natura dell'uomo? Che posso farci? Il concetto cristiano dell'uomo è invece nobilissimo.
Caetani. Il concetto sì, ma la realtà?
Celestino V. La realtà è molteplice, lo ammetto. Ma il cristianesimo chiama l'uomo a elevarsi dalla sua pesantezza animalesca.
Caetani. Santo padre, volete permettermi una domanda indiscreta? Nella vostra accettazione del pontificato, non contribuì in nulla il desiderio di comandare?
Celestino V. In un modo molto confuso e anche infantile, senza dubbio. Ne ho parlato a lungo col mio confessore e sto eseguendo la penitenza.
[...]
- M. Giacomelli - |
Caetani. Perdonatemi l'indiscrezione e parliamo d’altro. Ho saputo del vostro urto col
Re e col suo aiutante militare. Me ne rallegro. Ora posso dirvi con franchezza che eravamo in parecchi
a vedere con sospetto la vostra familiarità col re.
Celestino V. Il dissenso col Re mi ha fatto soffrire, perché
gli ero e gli sono affezionato. Ma questo conflitto mi è stato
di grande aiuto. Se non sembro immodesto, vorrei dire che ora vedo con maggiore chiarezza
parecchie verità importanti.
Caetani. Non pensate che alcune vostre precedenti concessioni al re dovrebbero essere annullate? L'avete perfino nominato senatore di Roma, nonostante che la nostra costituzione proibisca di eleggere a quella dignità un re o un principe regnante.
Celestino V. E' stato uno sbaglio, lo ammetto, è stato un gesto ingenuo. [...]
Voi ridete? a me verrebbe piuttosto da piangere.
Stamane è venuto da me uno dei Colonna a farmi, chiaro e tondo, un discorso di questo genere: poiché l’ultimo appalto importante l’avete attribuito agli Orsini, il prossimo naturalmente spetta a noi.
Caetani. I Colonna non conoscono le buone maniere. D’altra parte gli Orsini si vantano un po’ troppo di avere il papa dalla loro. Pare che uno di essi, alcuni anni fa, vi abbia dato i mezzi per costruire la badia di Santo Spirito a Sulmona.
Celestino V. Non ne feci un uso personale e non m’impose
speciali obblighi.
- M. Giacomelli - |
Caetani. Ah, beato voi. Per la salvezza dell’anima la
povertà è una vera fortuna.
Celestino V. Lo dite per celia?
Caetani. Mai oserei.
Celestino V. Ma se considerate sul serio la povertà una condizione
favorevole alla salute dell’anima, perché non rinunziate
alle vostre ricchezze? L’anima non è il bene supremo?
Il cardinale guarda il papa sorpreso, poi scoppia a ridere.
Caetani. Sapete che vi sono degli imbecilli i quali pretendono
che voi siate privo di senso di umorismo?
Celestino V. Non al punto da non apprezzare ora il vostro sarcasmo.
( Il cardinale accenna a voler aggiungere qualcosa per attenuare il senso delle sue parole ma il papa prosegue senza badargli)
Sì, riconosco che è stato di cattivo gusto prendere alla lettera il vostro elogio della povertà. Ma torniamo al nostro discorso sulla cosiddetta giustizia distributiva. Il mio compito sarebbe dunque di ripartire equamente privilegi, dispense, sinecure, gli appalti, le altre ruberie alle varie fazioni rappresentate nella curia. Ebbene, col passare del tempo, questo mi sta diventando insopportabile.
Caetani. Non c'è nulla da fare. Avete cercato di modificare la composizione della
curia affidandovi ai consigli del Re. Quale miglioramento
avete constatato dopo la nomina dei nuovi cardinali?
Celestino V. Nessuno. E ne ho tratto la conclusione che il difetto non è tanto nelle persone, quanto nel sistema. Bisognerebbe ridurre i poteri della curia e restituire ai vescovi le facoltà di cui disponevano nei primi tempi apostolici.
- M. Giacomelli - |
Caetani. ( leva le braccia in alto in segno di sorpresa e indignazione).
Che dite? Ah, no, mai, a nessun costo. Sarebbe un colpo mortale
all’unità della Chiesa già così fragile e traballante. Al contrario, Santità, al contrario, La Chiesa ha bisogno più che
mai di stare unita, per difendere le sue prerogative e imporsi ai principi e agli Stati. Non vi rendete conto che se concedessimo l’autonomia
ai vescovi francesi, in breve tempo li perderemmo?
Celestino V. Può darsi, ma la dominazione assoluta della
curia romana mi sembra ancor più perniciosa perché sta disgustando gli spiriti meglio disposti.
Caetani. Peccato che pensieri di questo genere no li abbiate manifestati prima del voto del conclave [...]
Celestino V. (sorridendo). Mi crederete se vi assicuro che da parte mia non vi era dissimulazione? [...] Ma nessuno, neanche il Sacro Collegio, può limitare la libertà dello Spirito Santo: quello che egli fece, può disfarlo anche prima che io muoia.
Caetani. (con ansia non dissimulata). Santità, cosa intendete dire?
Celestino V. Lo saprete in modo esplicito ben presto e ne avrete, personalmente, una grande gioia.
Il cardinale sorride e in un moto d'irresistibile gratitudine s'inginocchia ai piedi del papa che gli impartisce la benedizione.
Si fa buio.
- M. Giacomelli - |
- H.C. Bresson - |
*Ignazio Silone, L’avventura di un povero cristiano, Milano, Mondadori, 1968
** La figura di Bonifacio VIII, è riproposta da Ignazio
Silone (1900-1978) ne L’avventura di un povero cristiano, come
antagonista del forse fragile ma retto papa
Celestino V, il personaggio, ancora
cardinale e quindi indicato con il nome di
famiglia Benedetto Caetani, si dimostra uomo
intento ai maneggi politici ed economici della
curia papale, e indifferente agli interessi morali
della cristianità.
Naturalmente le foto del post sono state scattate a Scanno da Mario Giacomelli e H. C. Bresson.
Link
M. Giacomelli/Scanno
H.C.Bressonm/Scanno
M. Giacomelli
M. Giacomelli i
M. Giacomelli/intervista
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