In principio Dio creò la Terra e la guardò, nella sua cosmica solitudine. E Dio creò tutte le creature viventi che ora si muovono, e una di esse era l’uomo. L’uomo batté le palpebre.
“Qual’è
lo scopo di tutto questo?” chiese educatamente.
“Tutto
deve avere uno scopo?” chiese Dio.
“Certamente”
disse l’uomo.
“E
allora lascio a te il compito di pensare uno scopo per tutto questo”
disse Dio. E se ne andò.
***
Il grande A-BUM!
L’orlo scabroso dell’oblio era ormai a pochi pollici dalle mie dita che si contraevano. Guardai giù. Il mio mare tiepido aveva inghiottito tutto. Una pigra cortina di polvere si sollevò dal mare, unica traccia di tutto ciò che vi era caduto.
Il
palazzo, ora che la sua massiccia maschera rivolta verso il mare era
scomparsa, salutava il nord con un sorriso di lebbroso, dai denti
sconnessi e orlato di setole. Le setole erano le estremità
scheggiate delle travi. Immediatamente sotto di me una grande camera
si era spalancata. Il pavimento di quella camera, privo di sostegni,
si avventava nello spazio come un trampolino.
Per
un momento sognai di lanciarmi su quella piattaforma, di balzare via
in un tuffo da cigno, un tuffo da mozzare il respiro, di piegare le
braccia, di avventarmi verso il basso, in una eternità calda come il
sangue, senza neppure uno spruzzo.
Fui
richiamato da quel sogno dal grido d’un uccello che sfrecciava
sopra di me. Sembrava chiedermi cosa fosse accaduto.
“Poo-tee-phweet?” chiese.
Tutti
guardammo quell’uccello, poi ci guardammo l’un l’altro.
Indietreggiammo
dall’abisso, pieni di timore. E, quando io mi scostai dalla pietra
che mi aveva sostenuto, la pietra cominciò a dondolare. Non era più
stabile di un’altalena. E adesso avanzava traballando, sopra il
trampolino.
Crollò
sul trampolino, lo trasformò in un piano inclinato. E giù per quel
piano inclinato scesero i mobili che ancora rimanevano nella camera
sotto di me.
Prima
ne schizzò fuori uno xilofono, correndo all’impazzata sulle
rotelle. Ne uscì un tavolino da notte, in una gara pazzesca con un
saldatore. Ne uscirono alcune sedie, in accanito inseguimento.
E
in qualche punto, in quella stanza, fuori di vista, qualcosa
poderosamente riluttante stava cominciando a muoversi.
Strisciò
lungo il piano inclinato. Finalmente mostrò la prua d’oro. Era la
barca in cui giaceva morto “Papà”.
Raggiunse
l’estremità del piano inclinato. La prua si inclinò. Si inclinò
verso il basso. E cadde giù, roteando.
“Papà”
fu scagliato fuori, e cadde separatamente.
Chiusi
gli occhi.
Vi
fu un suono simile a quello d’un portale grande come il cielo che
si chiudesse dolcemente, la grande porta del paradiso che veniva
chiusa, piano piano. Vi fu un grande a-bum.
Aprii gli occhi… e tutto il
mare era ghiaccio-nove.
L’umida terra verde era una
perla biancazzurra.
Il cielo si oscurò. Borasisi,
il sole, divenne una sfera di un giallo malsano, minuscola e crudele.

Il cielo era pieno di vermi. I
vermi erano tornado.
RIFUGIO
Guardai il cielo, dove era
stato quell’uccello. Un verme enorme con una bocca viola era sopra
di me. Ronzava come uno sciame d’api. Con oscena peristalsi,
ingeriva aria.
Noi umani ci separammo;
fuggimmo dal mio bastione sfracellato; scendemmo incespicando le
scale, verso l’entroterra.
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