uno dei due è l'altro

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mercoledì 12 aprile 2017

Il grande A-BUM! L'amara apocalisse di Kurt Vonnegut





In principio Dio creò la Terra e la guardò, nella sua cosmica solitudine. E Dio creò tutte le creature viventi che ora si muovono, e una di esse era l’uomo. L’uomo batté le palpebre.
Qual’è lo scopo di tutto questo?” chiese educatamente.
“Tutto deve avere uno scopo?” chiese Dio.
“Certamente” disse l’uomo.
“E allora lascio a te il compito di pensare uno scopo per tutto questo” disse Dio. E se ne andò.

***





Il grande A-BUM! 



L’orlo scabroso dell’oblio era ormai a pochi pollici dalle mie dita che si contraevano. Guardai giù. Il mio mare tiepido aveva inghiottito tutto. Una pigra cortina di polvere si sollevò dal mare, unica traccia di tutto ciò che vi era caduto.


Il palazzo, ora che la sua massiccia maschera rivolta verso il mare era scomparsa, salutava il nord con un sorriso di lebbroso, dai denti sconnessi e orlato di setole. Le setole erano le estremità scheggiate delle travi. Immediatamente sotto di me una grande camera si era spalancata. Il pavimento di quella camera, privo di sostegni, si avventava nello spazio come un trampolino.

Per un momento sognai di lanciarmi su quella piattaforma, di balzare via in un tuffo da cigno, un tuffo da mozzare il respiro, di piegare le braccia, di avventarmi verso il basso, in una eternità calda come il sangue, senza neppure uno spruzzo.

Fui richiamato da quel sogno dal grido d’un uccello che sfrecciava sopra di me. Sembrava chiedermi cosa fosse accaduto. “Poo-tee-phweet?” chiese.

Tutti guardammo quell’uccello, poi ci guardammo l’un l’altro.

Indietreggiammo dall’abisso, pieni di timore. E, quando io mi scostai dalla pietra che mi aveva sostenuto, la pietra cominciò a dondolare. Non era più stabile di un’altalena. E adesso avanzava traballando, sopra il trampolino.

Crollò sul trampolino, lo trasformò in un piano inclinato. E giù per quel piano inclinato scesero i mobili che ancora rimanevano nella camera sotto di me.

Prima ne schizzò fuori uno xilofono, correndo all’impazzata sulle rotelle. Ne uscì un tavolino da notte, in una gara pazzesca con un saldatore. Ne uscirono alcune sedie, in accanito inseguimento.

E in qualche punto, in quella stanza, fuori di vista, qualcosa poderosamente riluttante stava cominciando a muoversi.

Strisciò lungo il piano inclinato. Finalmente mostrò la prua d’oro. Era la barca in cui giaceva morto “Papà”.

Raggiunse l’estremità del piano inclinato. La prua si inclinò. Si inclinò verso il basso. E cadde giù, roteando.

“Papà” fu scagliato fuori, e cadde separatamente.

Chiusi gli occhi.

Vi fu un suono simile a quello d’un portale grande come il cielo che si chiudesse dolcemente, la grande porta del paradiso che veniva chiusa, piano piano. Vi fu un grande a-bum.

Aprii gli occhi… e tutto il mare era ghiaccio-nove.

L’umida terra verde era una perla biancazzurra.

Il cielo si oscurò. Borasisi, il sole, divenne una sfera di un giallo malsano, minuscola e crudele.
Il cielo era pieno di vermi. I vermi erano tornado.





RIFUGIO


Guardai il cielo, dove era stato quell’uccello. Un verme enorme con una bocca viola era sopra di me. Ronzava come uno sciame d’api. Con oscena peristalsi, ingeriva aria.

Noi umani ci separammo; fuggimmo dal mio bastione sfracellato; scendemmo incespicando le scale, verso l’entroterra.


Solo H. Lowe Crosby e la sua Hazel gridarono. “Americani! Americani!” gridarono, come se ai tornado importasse ...








Tratto da "Ghiaccio Nove" di Kurt Vonnegut. Biblioteca Universale Rizzoli, 1986. Traduzione di Roberta Rambelli.
foto: Basilica di San Vittore (Arsago Seprio)







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