uno dei due è l'altro

uno dei due è l'altro

venerdì 29 maggio 2015

Leggere la nuova fase

Altro post dal monumentale e straordinario "Al cuore della Terra e Ritorno" di Piero Pagliani. Dalla seconda parte, una lettura del "presente" (2013) lucida, sferzante e drammatica.
Anne Ivanowna Plechtcheeff

Leggere la nuova fase
1.La prospettiva di un progressivo blocco del ciclo virtuoso della globalizzazione finanziarizzata, ci obbliga a immaginare nuovi scenari e abbandonare le vecchie acquisizioni sul viale del tramonto storico. Partiamo da dove tutto inizia: quali sono le opzioni per gli Usa, il cui rapporto T-D egemone (potere del territorio/potere del denaro) (1)  è oggi messo in crisi? Il blocco tendenziale del ciclo globalizzato di creazione, appropriazione e redistribuzione del valore creato mondialmente mina la costruzione finanziaria internazionale. A questo punto lo scenario più plausibile che si presenta è questo:
1) Gli Usa devono evitare default disordinati in Europa, così come li devono evitare i subdominanti europei, per limitare perdite reali sui conti finanziari.
2) Il ricorso ai quantitative easing e ai bailout (2) privi di contropartite per T deve essere progressivamente limitato, perché si ripercuotono sulla sostenibilità della finanziarizzazione di Stato basata sul doppio deficit e sull’egemonia del Dollaro.
3) Gli Usa hanno quindi necessità di ottenere la piena collaborazione e fedeltà da parte dell’Europa, la più stretta alleata e una delle economie più sviluppate e più invischiate nella finanziarizzazione del pianeta. In particolare devono convincere la Germania a soccorrere il sistema:
3.1) La Germania dovrebbe acconsentire a liberalizzare l’acquisto da parte della Bce dei titoli di stato invenduti, ad effettuare dei quantitative easing per salvare selettivamente gli istituti finanziari europei e ad emettere eurobond. In altre parole dovrebbe soccorrere i debiti dei Piigs. Le conseguenze per la Germania sarebbero pesanti:
3.1.1) aggravio delle condizioni fiscali
3.1.2) peggioramento dell’economia reale
3.1.3) peggioramento delle condizioni sociali
3.1.4) fuga dei capitali tedeschi verso i Treasury bill statunitensi (3)
3.1.5) interruzione di qualsiasi prospettiva di Ostpolitik tedesca ed europea; come conseguenza di quest’ultimo punto gli Usa otterrebbero un indebolimento della contraddizione pushmi-pullyu (4)  tramite:
3.1.5.1) ripresa da parte degli Usa del controllo dei rapporti tra Ovest ed Est (dalla Russia all’Oriente asiatico, e in particolare la Cina che avrà necessità di negoziare con gli Usa che la assedierebbero a Sud e nel Pacifico) e tra Ovest e America Latina.
4) In una situazione geopoliticamente sotto controllo, o per lo meno temporaneamente favorevole, gli Usa potrebbero procedere a una svalutazione del Dollaro e quindi del loro debito pubblico detenuto all’estero.


5) Parallelamente si potrà procedere alla definanziarizzazione, iniziando con la svalorizzazione del capitale fittizio privato. In realtà non è chiaro se essa possa essere precedente, seguente o concomitante alla svalorizzazione degli asset creati dalla finanziarizzazione di Stato. Molto dipende da chi farà le prime mosse, ovvero da come si svolgeranno i conflitti intercapitalistici che necessariamente si genereranno per garantirsi perdite minori o addirittura guadagni nelle posizioni di potere. Ne consegue, ad essere precisi, che la definanziarizzazione seppur governata a grandi linee dai padrini politici della stessa finanziarizzazione sarà un processo non lineare, sfasato nei tempi, nelle modalità e nella sua geografia.
6) La definanziarizzazione sarà accompagnata da un nuovo pesante attacco al lavoro cooperativo associato per svalorizzarlo e così diminuire il più possibile le perdite reali una volta scoperchiati i sepolcri imbiancati della finanza e ridotta la possibilità di appropriazione di natura relativamente non capitalizzata. La Germania, potenza dominante in Europa, dovrà opporre tutta la sua resistenza tenendo conto di due cose. La prima è che è un Paese occupato da 73 basi dell’US Army (l'Italia ne ospita 23) . La seconda è che i suoi tentativi di resistenza, come si è visto, rischiano seriamente di segare il ramo su cui la sua potenza economica è seduta, esponendo una quantità di Paesi europei suoi stretti partner agli attacchi politici e finanziari provenienti da oltremare. Si ricordi che la potenza tedesca è quasi eminentemente economica e finanziaria e si basa su un surplus commerciale ottenuto a spese di corrispondenti deficit di alcuni suoi partner e sul riciclo di molta parte del surplus finanziario in posizioni di investimento o speculative in quei Paesi partner. Ciò detto, lo scopo della Germania sarà evitare l’indebolimento dell’Euro e al contempo difendere le proprie posizione di vantaggio. Un obiettivo che sembra intrinsecamente contraddittorio e in buona misura lo è. Ciò indurrà la Germania a spingere la UE e specialmente l’Eurozona a soluzioni intermedie, di compromesso, che non prenderanno mai il toro per tutte e due le corna, cioè T e D:
a) La nuova disciplina fiscale europea, il Fiscal Compact e di mutualizzazione delle difficoltà finanziarie, il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), permetterà una parziale monetizzazione dei debiti sovrani europei. Ma per non penalizzare troppo la Germania in quest’opera di soccorso, la potenza subdominante europea pretende un aumento dei risparmi pubblici e una svalorizzazione del lavoro associato nei Paesi aderenti. Ovvero la cosiddetta “austerity”. Come si possa evitare in questo modo una spirale recessiva è un mistero formale. Ma probabilmente non è un mistero sostanziale: non è escluso che si voglia perseguire con la recessione - distribuita selettivamente nei Paesi europei (la Grecia in ciò è un esperimento di vivisezione) - una svalorizzazione di capitali protetta dallo scudo di un Euro finanziariamente solido (5).
b) Un’altra possibile manovra tedesca, ovvero l’espansione della sua domanda interna che favorirebbe un riequilibrio commerciale europeo, potrebbe essere intralciata dallo stesso Fiscal Compact.


c) La UE tenterà anche misure di regolazione dei mercati finanziari. E con tutta probabilità, anche per motivi tecnici, la testa da sbarco contro la finanza privata sarà composta dalla magistratura (6). Ma la triade definanziarizzazione, svalorizzazione, difesa dell’Euro si poggia su una sola gamba, quella D (denaro). Come succede sempre in Europa. Perché l’Euro possa fungere da protezione alla manovra a tenaglia definanziarizzazione-svalorizzazione (unica strategia post-finanziarizzazione di qua e di là dell’Atlantico per sperare di far ripartire l’accumulazione capitalistica, cioè la mitica “crescita”), la moneta unica dovrebbe ricevere un consenso internazionale politico, perché è molto dubbio che possa mantenere in tali condizioni quello economico.
2. Siamo quindi di nuovo di fronte alla domanda “Chi farà le prime mosse?”. Ovvero chi dettando i tempi detterà l’intero processo, almeno nel club dei Paesi capitalistici vetero-termoindustriali? Il problema dei tempi è legato a quello della potenza. L’Europa è molto in ritardo rispetto agli Usa che possono ancora scatenare i mercati finanziari contro l’Euro per prevenire che sotto la guida tedesca l’Europa possa tentare di agire globalmente facendo leva su un controllo per lo meno locale dei mercati finanziari. Il problema dei “tempi” è giustamente sottolineato da Raffaele Sciortino che così lo sintetizza brillantemente: Il processo di svalorizzazione è già in corso, ed è andato più avanti negli Stati Uniti - monetizzazione dei debiti e fallimenti di banche, svalutazione di fondi pensione, fallimenti individuali, crollo dei prezzi delle case, chiusura di fabbriche - dove i costi sono più facilmente scaricabili all’interno - pur entro certi limiti pena un’esplosione sociale - e, per le ragioni viste, all’esterno attraverso il meccanismo di ripianare debito con moneta. Mentre è appena iniziato in Europa. Non sarà un processo né indolore né equamente ripartito: il punto è chi sarà costretto a bruciare più capitali degli altri cancellando crediti inesigibili, a perdere pezzi del proprio sistema bancario e produttivo, a rinunciare al corrispondente prelievo sui flussi di valore, a mettere a disposizione di altri il risparmio della popolazione (Italia: de te fabula…). Inevitabile che si apra un ulteriore terreno di scontro tanto più se si andrà a un abbattimento secco dei debiti pubblici. Con in più, per l’Occidente, la difficoltà crescente sia a scaricare l’onere sul resto del mondo sia a procedere alla svalorizzazione in un quadro di intreccio spinto della finanza internazionale. Contestualmente, a riprova che la finanza è “reale”, si fa fortissima la pressione non solo ad aprire al mad money welfare, servizi e altri campi ma anche a “liberare” il lavoro da ogni residuo vincolo per i profitti. E voilà la ricetta della dopo… austerity (!) (Sciortino, 2012). Scontro quindi su chi pagherà prima e di più la svalorizzazione degli asset finanziari e di quelli reali. Uno scontro che, come sempre, si dispiegherà a livello orizzontale intercapitalistico e a livello verticale, di classe. Il problema centrale è come affrontare il primo attraverso il secondo e come rafforzarsi nel secondo utilizzando il primo. In questo scontro gli Usa giocheranno sporco facendo leva sui Paesi europei più penalizzati. Non è escluso che possano suscitare movimenti che fingendosi progressisti possano essere utilizzati per raggiungere propri obiettivi (ad esempio in funzione antitedesca). Come è già successo con le “primavere arabe”, sarà difficile ma vitale, distinguere il grano dal loglio e occorrerà sempre ripetersi, per non dimenticarlo, che «al momento di marciare molti non sanno che alla loro testa marcia il nemico. La voce che li comanda è la voce del loro nemico. E chi parla del nemico è lui stesso il nemico» (Bertold Brecht). In mancanza di un’indipendenza politica europea, la contro-strategia tedesca ha ottime possibilità di aggravare ulteriormente la situazione dei Piigs e anche di Paesi del suo blocco mitteleuropeo, incrementando le munizioni antitedesche e pro Usa. Per questo i diktat tedeschi sono accettati. In parte perché comunque un’esplosione della UE danneggerebbe le borghesie europee. In parte perché svalorizzano il lavoro togliendogli ogni possibilità di resistenza e capacità negoziale, obiettivo che accomuna gli intrecci tra industria e finanza, o meglio profitto-interesse, sia anglosassoni sia europei. E finalmente perché i governi para-compradori del Sud europeo (ma anche di parte del blocco mitteleuropeo, come l’Ungheria) lo considerano un passo per tenere agganciata la Germania e poter così consegnare tutta l’Europa a una fedeltà atlantica senza se e senza ma. Con ciò però si spinge il quadro mondiale lontano da un multipolarismo governato da istanze sovranazionali, come un neo-bancor, una nuova Onu, un nuovo Fmi e una nuova Banca Mondiale.


3. La definanziarizzazione, che comporta dunque una svalorizzazione dell’intreccio profitto-rendita finanziaria (e non solo la riduzione dell’interesse come parte del profitto), ovvero scioglie come un nodo gordiano il paradosso della finanziarizzazione, richiede quindi un attacco ai risparmi, al welfare e al lavoro. Così come lo richiede la contromossa tedesca che di fatto pretende di ritornare alla “condizione ottocentesca di equilibrio tra i risparmi e gli investimenti”. Questa pretesa assurda è indice della debolezza politica della Germania rispetto all’influenza che gli Usa esercitano nell’intreccio internazionale dei mercati finanziari. Questi mercati pretenderanno, come contropartita a un processo di svalorizzazione, l’olocausto radicale del sociale. D’altra parte è l’unico modo di limitare la dimensione della svalorizzazione del capitale fittizio (intrecciato a quello reale) e di graduarla (7). Siamo di nuovo ad un effetto Vajont. Ripetiamo che questa svalorizzazione è dovuta al blocco tendenziale del circuito di appropriazione del valore prodotto globalmente, che a sua volta è causato dal push-out dei Brics che è un elemento della contraddizione pushmipullyu. Tutto ciò, dunque, non spinge verso un nuovo governo condiviso del mondo, ma verso una nuova compartimentalizzazione del sistema-mondo, produttiva, valutaria, finanziaria e geopolitica. Le difficoltà dell’Euro sono segno che la rincorsa europea alla finanziarizzazione che abbiamo descritto nel Capitolo II.5 non ha pagato a causa non dei fattori economici, che invece erano tutti a suo favore, ma delle condizioni di subordinazione politica in cui questa corsa si svolgeva. In questo quadro, pensare ad effetti strategicamente positivi di una combinazione di eurobond-deficit spending è un azzardo intellettuale duale a quello di chi pensa a ritorni neo-keynesiani protezionistici alle monete sovrane. Gli eurobond sono concepiti: a) come una garanzia ai creditori internazionali pagata anche dai lavoratori tedeschi oltre che da quelli della periferia europea; b) come una garanzia a settori molto politicizzati delle borghesie imprenditoriali europee che hanno la possibilità di intervenire nei grandi progetti di spesa pubblica, come da noi la Tav o il Ponte sullo Stretto.
Alla luce di queste ipotesi possiamo rileggere alcuni avvenimenti recenti. «Davanti a Obama, lite tra Monti, Hollande e Merkel. Eurolandia si spacca sul rischio contagio a Madrid». Questo un titolo in grande rilievo nella sezione di economia dell’edizione di Venerdì 1° giugno 2012 dell’organo italiano del Democratic Party americano, “La Repubblica”. Si riferiva a una videoconferenza tra Monti, Merkel, Cameron, Hollande e il presidente statunitense. Obama attacca subito spingendo con insistenza sull’ipotesi di Unione Bancaria europea e per l’intervento diretto del fondo salva-stati (l’Efsf che è sul punto di trasformarsi nel più potente Esm) nel salvataggio delle banche spagnole. Monti e Hollande appoggiano il pressing di Obama mentre la Merkel oppone un netto rifiuto: “La Germania è contraria ad un intervento diretto dell’EFSF; non vogliamo che il fondo con i soldi dei governi, spenda milioni in cambio di collaterali di banche già cotte”. Sembra di sentire gli echi moralistici della cosiddetta Scuola Austriaca. Monti, che pure ideologicamente è vicino a quella scuola, la scongiura di rifletterci sopra. In cambio l’Italia respingerà i tentativi di cambiamento dello statuto della Bce (cioè rinuncerà a chiedere che la Bce diventi prestatore di ultima istanza). Ma niente da fare: la partita è rimandata sotto gli auspiciminacce di Monti: “La Germania deve riflettere profondamente e rapidamente”.



4. Penso che la sinistra, con poche eccezioni, a questo punto sia difficilmente in grado di capire cosa stia veramente succedendo (per non parlare della destra il cui più alto punto di riflessione ha sfornato la pseudo-teoria del “signoraggio”, purtroppo sposata anche da alcuni settori della sinistra radicale). Ma come? Non c’era forse la “dittatura della finanza”? Monti non era un servo della Merkel e del suo Euro-Marco? Hollande non era il simbolo del riscatto per la crescita? La Germania non era solo un burattino subimperiale degli Usa e l’Euro una dependance del Dollaro? Il capitalismo non è forse uno e trino? Ma come, il socialista parakeynesiano Hollande difende le banche sacrificando la crescita e la monetarista liberista Merkel difende le fabbriche tedesche contro le banche mentre il suo ministro delle Finanze dichiara addirittura di sostenere le richieste sindacali nell’industria privata e di voler alzare motu proprio del 6% gli stipendi dei dipendenti pubblici? Ma qui non ci si capisce più nulla! Cos’è questo mondo alla rovescia? Beh, ovviamente basta partire con la mappa sbagliata per perdersi facilmente. E la sinistra lo fa con metodo: anche quando ha la cartina giusta, la tiene in mano all’incontrario. Chi vincerà? Possiamo solo avanzare delle ipotesi. La Germania ha dalla sua solo la potenza economica. “Ma come”, si dirà. “La potenza economica è tutto ciò che conta nel capitalismo!”. Ecco la mappa tenuta in mano al contrario, ad onta di Marx che avvertiva che dietro ogni fenomeno economico c’è in realtà un fenomeno sociale.

La potenza economica sta in Germania, in Cina, nei Brics. Ma come abbiamo già notato, l’alta finanza non sta né a Francoforte né a Shanghai. Risiede a New York, a poche ore di auto da Washington, sede decisionale dell’ancora ineguagliata superpotenza militare, politica, diplomatica e culturale degli Stati Uniti d’America. Sono queste le leve competitive degli Usa. E le utilizzeranno per contrastare la sfida. In che modo? Anche in questo caso possiamo solo fare delle ipotesi. Innanzitutto con pressioni dirette di ogni tipo sulla Germania coadiuvate dal lavoro ai fianchi di Francia, Italia e Gran Bretagna (e di Paesi della stessa “area d’influenza tedesca”) e tagliando possibili naturali retroterra alternativi geopolitici e commerciali dell’Europa, impedendole che essa, e in primo luogo la Germania, sposti i suoi interessi economici e politici verso Est. Gli Usa lo hanno già iniziato a fare destabilizzando militarmente la costa non europea del Mediterraneo e finanziariamente quella europea. Con ciò hanno reso difficoltosa sia un’ipotesi di Ostpolitik tedesca sia un’ipotesi di defezione di un’Europa del Sud da una Europa del Nord (se non eventualmente sotto l’egida statunitense), obbligando quindi l’Europa a rimanere unita e in preda alle proprie contraddizioni interne che i popoli europei pagano salatamene ma che disegnano un grande bersaglio sul pancione della Germania e della sua politica di potenza economica solitaria. Come abbiamo già visto, il socialista Hollande è organicamente (economia e politica estera) nel campo statunitense. La liberista Merkel lo è disorganicamente. Attenzione a questa inversione, perché gli imbonitori politici europei, e quelli italiani per primi e con più sfacciataggine, la utilizzeranno per mascherare di progressismo (antiliberismo, neokeynesismo, ecologismo, eccetera) la scelta di campo a favore degli Usa. La politica estera degli attori in campo chiarirà molte cose.
5. La Germania sa benissimo che non può spremere oltremisura ricchezza dai partner in questo modo e di essere tra l’incudine di vedere prosciugata la fonte europea della sua ricchezza e la destabilizzazione dell’Euro e il martello della destabilizzazione della situazione sociale interna. Potendo l’Italia vantare, secondo l’Fmi, un avanzo primario record più del doppio di quello della Germania, potrebbe fare la voce grossa con la Merkel. Ma forse, oggi, non è nemmeno più necessario. Dietro la retorica della crescita si cela in realtà la richiesta pressante di far stampare soldi alla Bce, di ridar fiato ai gruppi capitalistici dominanti nei vari Paesi e in subordine di tagliare le unghie alla Germania. Sono i necessari requisiti alla zona di libero scambio Usa-UE su cui lavora Obama in funzione anticinese (questa zona di libero scambio grosso modo è un sottosistema della Nato; si è in questo caso in grado di apprezzare con precisione le conseguenze del fatto che la Nato è un’organizzazione economico-militare che non corrisponde ai confini geografici europei). Ma si badi bene, il problema per gli Usa non è quello di smussare le unghie economiche alla Germania, bensì quelle politiche per quel tanto che sembra, o si teme, possano crescere. Ed è fondamentale capire la differenza, per non illudersi di poter giocare economicamente e finanziariamente una trappola contro l’altra, la trappola Dollaro contro la trappola Euro. Sarebbe troppo semplice, ma purtroppo non è così. La riprova è che il lavoro politico sembra in parte già fatto, stando alla difficoltà della Germania in politica estera (caso Siria) ad avere un atteggiamento realmente indipendente da quello Usa. A questo punto il piano statunitense potrebbe utilizzare in parte il diktat tedesco all’Europa, cosa che spingerebbe a considerare seriamente la necessità di politiche di scissione regionali (o addirittura nazionali, pur con tutte le maggiori difficoltà e quindi come ultima ratio). Ristabilita la priorità della dimensione politica, rimane comunque da vedere se strumenti neokeynesiani possano rilanciare la redditività privata in Occidente (a parte alcuni settori ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto innovativo, ad esempio quelli legati, direttamente o indirettamente, al settore militare, ed eventualmente le grandi opere infrastrutturali), in presenza di un tasso di profitto delle attività industriali strutturalmente basso. La “crescita” sarà al dunque un rallentamento di un processo di collasso del ciclo sistemico uscente e ormai privo delle sue condizioni originarie, anche nel caso gli Usa fossero in grado di mantenere la leadership mondiale. Ovviamente potranno esserci punte reali di sviluppo, ma locali sia in termini temporali sia spaziali. Penso che nemmeno gli strateghi globali credano davvero di poter rilanciare in Occidente un altro ciclo di espansione materiale simile a quello del “ventennio d’oro” del dopoguerra. E’ al più il solito modo di girare attorno al problema. Ma in pubblico devono dire altro. Un “altro” che va sotto il termine onnicomprensivo “misure per la crescita”. Così la coppia “Crescita (Keynesiana)-Rilassamento del monetarismo e dell’austerità”, che per brevità chiamerò CK-RA, caratterizzerà lo spettacolo politico nel nostro immediato futuro, in dipendenza delle posizioni relative nel sistema di potere mondiale. Siamo nel campo di giustificate congetture, non di certezze. Tanto più che la crisi finanziaria rende la CK-RA una strategia tutta in salita (potrebbe essere agevolata da uno “schianto” in punti nevralgici politico-economici del sistema).


6. Nei Paesi termocapitalistici occidentali assisteremo così a dichiarazioni altalenanti di richiamo al rigore e di necessità di crescita. Apparirà di fatto come una politica (fatta a dichiarazioni) mezza di destra e mezza di sinistra, intendendo con “sinistra” un vago rimando al passato “keynesiano”. Questo è un punto di confusione che eserciterà attrazione sulle persone indecise, nostalgiche o lontane dall’analisi critica. Il CK-RA può essere un ombrello abbastanza grande. Riparerà chi vede la semplice possibilità di far partire opere pubbliche, chi quella di far ripartire il credito, chi insisterà sul lato redistributivo, chi sulla possibilità di lotta alla disoccupazione. L’ex sinistra e la coscienza critica dell’ex sinistra, le formazioni che vogliono rifondare la sinistra pungolando la coscienza critica dell’ex sinistra, e via così in una catena di attrazioni successive. Ma non sarà un’esclusiva delle sinistre. Il CK-RA potrebbe causare delusioni immediate od ottenere brevi successi parziali. Dovrebbe risolvere un sacco di problemi tra loro connessi:
a) Vincere la feroce ostilità dei partner. Vincere il sicuro opportunismo imperialistico degli Usa, e rinegoziare una divisione internazionale del lavoro.
b) Vincere l’ostilità del mercato finanziario, che già è nelle pesti e lo sarà di più se i Paesi si metteranno a stampare moneta
 per conto loro.
c) Impedire che il rilancio in un settore attragga troppi capitali in cerca di remunerazione (e ad affollarsi ce ne sarebbero a trilionate).
d) Impedire in un mercato controllato da grandissimi attori che la crescita della domanda aggregata in un settore finisca per avvantaggiare i produttori esteri.
e) Impedire che la crescita della domanda aggregata finisca per ridurre l’esercito industriale di riserva in misura tale che i salari ricrescano troppo.
f) Trovare settori nuovi che rilancino la domanda aggregata.
Tuttavia la doppia contraddizione pushmi-pullyu che sopra abbiamo tratteggiato ha iniziato a operare nel vivo, divenendo oggetto diretto di scelte politiche. Le forze emancipatrici devono quindi incunearsi in questa contraddizione che costituisce una delle poche possibilità che si vedono all’orizzonte di divisione e indebolimento dell’avversario (l’altra essendo una, improbabile ma non da escludere, guerra mondiale). Ma incunearsi non vuol dire parteggiare per una delle sezioni che si stanno separando. Così come il repubblicano Nixon poté asserire “Adesso siamo tutti keynesiani”, oggi i partiti del capitale, di destra e di sinistra, potrebbero prendere la strada della deglobalizzazione/definanziarizzazione associandola a un ordoliberismo con commistioni keynesiane ove necessario. La differenza sarà tra chi è più sensibile alle compatibilità imperiali e chi meno. Le differenze politiche sfumeranno ancora di più e ciò porterà a forme più organiche di Grosse Koalition o di maggioranze artificiali dovute alle alchimie di riforme istituzionali antidemocratiche. I latori del CK-RA lavoreranno per se stessi e per terze parti, ma non per noi. Se avessimo la corda di Lenin li potremmo sostenere come si sostiene l’impiccato. Ma per ora abbiamo trovato con fatica solo qualche scampolo di filo per cucire. Come incunearsi è tutto da capire e non può essere discusso qui. Tuttavia le iniziative di lotta non potranno più basarsi sulla ripetizione della denuncia del “governo della Bce e dei banchieri”, che sarà un’arma spuntata. Si tratterà invece di strappare agli avversari il governo di questa fase, del terzo atto della crisi (dopo l’inconvertibilità del Dollaro in oro e la globalizzazione finanziarizzata), per trasformarlo in un piano di transizione.

7. Ancora una volta le relazioni internazionali saranno decisive. Ciò è un guaio in un Paese poco abituato a spingere lo sguardo analitico al di là dei confini. Ma la verità è che lo sconquasso di cui siamo testimoni è incapibile in una dimensione nazionale. Solo considerando un sistema a più attori internazionali si comprende che è il passaggio dallo sbilanciamento unipolare al riequilibrio multipolare a esigere la riconduzione violenta del sistema dalle (smisurate) leve finanziarie “a priori” al risparmio effettivo “a priori”. Essendo il credito un’anticipazione della ricchezza prodotta, è infatti più che lecito che qualche attore impertinente (e sufficientemente potente) voglia vedere o minacci di voler vedere i libri contabili reali. Così però si ricade non in Keynes e nemmeno tra gli Austriaci: se adottiamo un modello chiuso, si torna proprio nell’ottocentesca “pretesa” marxiana di equilibrio tra investimento e risparmio, mentre se adottiamo un modello aperto arriviamo alla richiesta di equilibrio tra gli investimenti e la ricchezza accumulata, accumulabile e appropriabile. I fattori e le dinamiche operanti sono dunque molteplici, ereditati o nuovi, ed è la loro interazione o la loro interferenza reciproca che generano un risultato o l’altro per cui sono tutti da tenere in conto nel prospettare percorsi politici. Anche nella crisi tutto si tiene: paradossalmente anche le contraddizioni. Così che se se ne risolve una con buona probabilità se ne amplifica un’altra, come in una vecchia casa dove se si mette a posto un mattone ne viene giù un altro. Occorre un progetto complessivo. Con il “metodo delle aggiunzioni” abbiamo appunto voluto suggerire che fin dall’inizio è necessaria una visione sistemica e non settoriale.






note

1)
Il rapporto tra potere finanziario (D) e potere politico (T) è uno dei centri del discorso analitico di Pagliai. Ecco alcune citazioni dalla Parte Prima: “…il rapporto di separazione/scambio tra Potere del Denaro, ovvero il complesso economico e finanziario, che indichiamo con D, e Potere del Territorio, ovverosia il complesso istituzionale, politico, diplomatico, militare e ideologico, che indichiamo con T, come un rapporto di aggiunzione” (pag.18 ) “…rapporto di aggiunzione vuol dire che c’è una relazione stretta tra le dinamiche che si producono in T e quelle che si producono in D, così che i due termini si determinano reciprocamente attraverso la loro rispettive relazioni con un termine intermedio. E’ come dire “suocera” e “nuora”: Roberta è suocera di Giovanna se e solo se Giovanna è nuora di Roberta…” (pag.22). "...La separazione tra Potere Territoriale (o più semplicemente “Potere” o “Territorio”) e Potere del Denaro (o più semplicemente “Capitale” o “Denaro”) deve necessariamente complementarsi con uno scambio politico tra di essi perché uno non può sussistere senza l’altro. Infatti se è vero che si può parlare di “capitalismo” solo quando questi due poteri si dividono, tuttavia questa divisione porta a una contraddizione fondamentale illustrata già da Marx nel capitolo del Capitale dedicato all’accumulazione originaria: durante «il corso ordinario delle cose» il processo di riproduzione dei rapporti sociali capitalistici «può essere lasciato alle leggi naturali della produzione», ma il Capitale, in quanto privo di strumenti organizzativi e coercitivi diretti, per imporsi come rapporto sociale deve inizialmente ricorrere al potere territoriale." (pag.42)  "l’alleanza tra potere territoriale e potere economico è caratterizzata da una sua propria contraddizione. Mentre da un lato il Capitale ha bisogno della forza organizzativa e coercitiva del potere territoriale, dall’altro tende costantemente a trascendere i limiti giurisdizionali dei singoli stati-nazione e a ricombinare lo stesso spazio nazionale in funzione dei sempre cangianti processi di accumulazione. Infatti, mentre la logica territoriale è definita da un campo-di-luoghi, quella economica è definita da un campo-di-flussi (è per questo che i due poteri sono divisi)."  (pag.42). "...In altri termini non può esistere Capitale senza scambio politico col Potere perché il Capitale segue una logica di campi-di-flussi in quanto macchina economica, per cui ogni pur vasta localizzazione statale è limitativa, ma per seguire quella logica ha bisogno di campi di-luoghi in quanto è anche macchina di potere" (pag.42). "Per dirla allora con un termine matematico illustrativo, il rapporto capitalistico sussiste nella società in quanto la sua riproduzione è fattorizzata da Potere del Territorio, T, e Potere del Denaro, D, dove “fattorizzato” vuol dire semplicemente che la riproduzione del rapporto capitalistico è frutto della composizione dei due poteri". (pag 43) (nota di Ubu)
2)
Situazione in cui un soggetto in bancarotta, o vicino alla bancarotta, riceve u'iniezione di liquidità, al fine di soddisfare i suoi obblighi a breve termine.(nota di Ubu)
3)
I T-Bill sono obbligazioni statali, analoghe ai BOT italiani, che vengono comprate ad un prezzo scontato dal prezzo pagabile alla scadenza. (nota di Ubu)
4)
Un animale immaginario con due teste alle estremità opposte del suo corpo. In  The Story of Doctor Dolittle di Hugh Lofting (nota di Ubu)
5)
I ricchi shopping che la Germania e altri attori possono contare di fare sull’onda di questa svalorizzazione e della sua posizione di preminenza sono da questo punto di vista, semplic business as usual.
6)
Sarà una battaglia condotta inizialmente a colpi di carta bollata, di rinvii a giudizio e sentenze. E sicuramente di nuove leggi. In questo modo il processo procederà selezionando gli obiettivi e i tempi, assecondando modulazioni politiche e capendo via via le reazioni che provoca, le contromosse. La gestione dell’Euribor è già entrata nelle mire dei magistrati  scandali come quello dell’italiana banca Montepaschi sono destinati a ripetersi. Quando a una cena riservata a Londra il ministro Grilli annunciò, o minacciò, una supervisione della Troika, cioè dell’alta finanza intergovernativa, sui programmi di austerity in Italia, il primo a inalberarsi fu Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi, l’Associazione Banche Italiane. E’ vero che l’inchiesta su Montepaschi lo ha travolto, così che si capisce che la sua levata di scudi era dettata anche da un interesse personale, tuttavia l’episodio sembra annunciare che tra alta finanza pubblica e alta finanza privata inizia ad aprirsi una divergenza d’interessi. Il presidente statunitense Obama denuncia le agenzie di rating per la crisi dei subprime. Infine fa capolino il progetto di agenzie di rating europee e cinesi, che indicano che la definanziarizzazione non può non accompagnarsi a forme di regionalizzazione e di concorrenza per il controllo dei mercati finanziari.
7)
Gli aiuti ai Piigs, notabilmente quelli alla Grecia, sono di fatto aiuti innanzitutto alle banche tedesche.
ps I dipinti sono di Angelica Kauffmann

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