La fine del mondo, ovvero: l’assemblea nazionale del Pd
che incorona in trionfo il suo sovrano, Matteo Renzi,
già tornato in cabina di regia dopo aver solennemente promesso che avrebbe
lasciato la politica, in caso di sconfitta al
referendum. Proprio la speranza di cancellarlo dagli schermi, trasversale a
vari settori dell’elettorato, cominciando dai giovani, era stata la molla
principale, per milioni di elettori, risoltisi a votare No.
Tutto inutile, come da copione: Gentiloni a Palazzo Chigi insieme alla Boschi, e Renzi
ancora lì. Soprattutto: è ancora lì il Pd,
straordinario autoscatto di quest’Italia che sarebbe in crisi “a sua insaputa”. Dal palco
romano dove si alternano i relatori è perfettamente inutile sperare di
ascoltare parole spendibili per il paese, a parte le rituali e irrilevanti
autocritiche sulle difficoltà del partito come macchina di consenso.
Qualche accenno allo stato dell’arte proviene da
esponenti come Cuperlo e Damiano, ma l’unico che fornisce una visione prospettica
è il dinosauro Piero Fassino:
la nostra, dice, è stata una sinistra cresciuta nel ‘900, nel fordismo, e oggi
non difende più nessuno, non serve più. Fassino sfiora addirittura la verità
dell’euro e
dell’Ue, ma solo per ricordare quanto fu brava, la sinistra prodiana, a
mobilitare gli italiani per convincerli ad affrontare i sacrifici necessari a
entrare nel club della moneta unica.
A chi chiede timidamente se sia il caso di celebrare un
congresso, creando così lo spazio necessario per sviluppare una riflessione
profonda, Renzi risponde
che non è ancora tempo di congressi, perché l’agenda richiede altre urgenze, la
legge elettorale, le elezioni anticipate. Non è più epoca di congressi, da
tempo: Forza Italia ha sempre e
solo inscenato assemblee plebliscitarie, celebrative del Capo, e Grillo
non è mai andato oltre i Vaffa-Day o le
consultazioni online. Niente congressi, niente confronto di idee, nessuna
analisi indipendente.
Meglio correre, ferocemente divisi, nella stessa
direzione: il baratro. Lo dimostra, una volta di più, la mancanza di timonieri
alla guida del grosso barcone del Pd, una
ciurma di naufraghi spaventati da quello che chiamano populismo, senza però
riuscire a spiegarsi l’origine del fenomeno che – riconoscono – sta scuotendo
come un brivido l’intero Occidente. Di tutto è lecito di parlare, tranne che di politica.
Lo dice lo stesso Renzi,
l’unico politico capace di auto-accusarsi di aver “politicizzato” il voto («la mia colpa non è stata la personalizzazione del referendum»,
dice, «ma la sua
politicizzazione»).
«Con questi dirigenti non vinceremo mai», sentenziò Nanni Moretti nel 2002, un milione di anni fa, pensando alla sua squadra
di brocchi – D’Alema, Veltroni – e alla
corazzata da battere, quella del Cavaliere.
Ben lungi, Moretti,
dall’intuire che il problema non era nemmeno la squadra, ma il campionato. Ci
sono voluti anni, ma poi l’allenatore il suo campione l’ha messo in campo: solo
che al massimo vince Renzi,
non l’Italia.
E Renzi è
uno che vince comunque, anche quando perde, visto che di fronte non ha più
nessuno. Non mantiene mai la parola data? Vero, ma anche questo è secondario: Renzi non ha mai nemmeno lontanamente sfiorato, neppure
a parole, la verità nella quale è sprofondata l’Italia dopo che la sua classe
dirigente, come ricorda Fassino,
l’ha iscritta nel prestigioso campionato europeo del rigore e dell’austerity,
dell’agonia del welfare, della morte della
sovranità e quindi dell’economia.
Nel Renzi-day,
il Pd attacca la crisi romana
dei grillini, il collasso politico della capitale dove – nessuno lo ricorda –
fu proposto l’ingresso in municipio di un economista eretico come Nino Galloni, con in testa (lui sì) una soluzione per
uscire dalla grande crisi inutilmente evocata da Fassino, la crisi che
sta travolgendo l’Italia “a sua insaputa”, o almeno a insaputa di un partito
che ancora acclama Renzi,
così come i grillini acclamano Grillo. Il problema è ancora e sempre il leader, la
squadra, e non il campionato? Se è così, i sabotatori dell’Italia possono
dormire sonni tranquilli.
Nessun commento:
Posta un commento