Dopo la netta ed inequivocabile sconfitta
referendaria, un 60-40 reso ancora più doloroso dall’affluenza record, Matteo
Renzi ha annunciato l’intenzione di dimettersi. Molti commentari ragionano
sulle cause circostanziali del voto referendario: la disfatta del premier era
in realtà una “necessità storica” e si inquadra nel più ampio disfacimento
della Seconda Repubblica che ha traghettato l’Italia nella moneta
unica. La relativa calma con cui è stata accolta la vittoria del “no” ed il
boom di Piazza Affari del 6 dicembre indicano che lo scenario di un governo che
termini la legislatura, scongiurando così le elezioni anticipate, è sempre
più concreto: i problemi che erano sul tavolo il 3 dicembre, sono però ancora
lì. Il momento della verità si avvicina.
L’epilogo di Renzi era scontato. Quello dell’euro, pure.
Antipatico; saccente; arrogante; spocchioso; vacuo. Le
ragioni della sconfitta di Renzi devono essere cercate nel suo
carattere? Troppo legato alla sua cerchia di amicizie toscane; troppo
intimo delle banche, dei salotti buoni, della Confindustria. È la gestione
elitaria dell’esecutivo, la causa della disfatta di Renzi? Troppo distante
dalla realtà del Paese; troppo legato alla favola “dell’Italia che riparte”;
troppo ossessionato dai “segni più” all’economia. È un’errata
“narrazione” (termine che rimarrà per sempre legato all’epoca
renziana) il motivo della sua batosta elettorale? Divisivo; indebolito dalle
beghe di partito; dimezzato dalle faide interne. Sono i malumori interni
al Partito Democratico l’origine della sua debacle?
Le analisi, dopo l’inequivocabile 60-40 che ha affondato
la riforma Boschi, reso ancora più pesante dall’affluenza record, abbondano. Giornalisti, commentatori, politici discutono sul perché
“il rottamatore” è andata a schiantarsi contro il muro del voto, al primo,
vero, appuntamento elettorale che ha affrontato. E sono analisi accompagnate da
un certezza e da un invito: Renzi non uscirà dalla scena politica,
anzi, potrebbe anche restare, come se nulla fosse. Già l’ex-premier Mario
Monti, ben introdotto negli ambienti “cosmopoliti”, aveva sollecitato Renzi a
non abbandonare in ogni caso Palazzo Chigi. Oggi tocca a Ferruccio
De Bortoli che, nella veste di ex-direttore del Corriere della Sera è
stato ed è tuttora intimo dei salotti “illuminati”: “la sconfitta è
bruciantema il buon senso suggerisce che Renzi non lasci subito.” 1 “Non
è successo nulla! Non fare pazzie, resta con noi…” è il messaggio
lanciato dai poteri forti.
In passato abbiamo già scritto diverse analisi sulla parabola
discente di Matteo Renzi, quando i maggiori media e commentatori
politici ne tessevano ancora le lodi: cominciammo nell’aprile 2015 con
l’articolo “Parabola
di un falso capo carismatico”; proseguimmo a distanza di un anno con “Renzi
a vuoto. L’ultimo colpo in canna: l’M5S”; siamo tornati sull’argomento un
mese fa con il pezzo “L’Italia
dopo Trump: l’establishment attende inquieto la fine”. La sua caduta era
così certa che, una settimana prima del voto, abbiamo persino previsto nell’articolo “Il
No supererà qualsiasi sondaggio” l’entità della sconfitta cui il
premier andava incontro: quel 60-40 poi uscito dalle urne.
Avevamo così a lungo studiato il logoramento del premier,
inquadrandolo soprattutto in contesto storico-politico più ampio, da non avere nessun
dubbio che Matteo Renzi sarebbe uscito perdente dalla consultazione
del 4 dicembre: la sua sconfitta era, in un certo senso, una “necessità
storica”. Doveva verificarsi e, in caso contrario, avrebbe rappresentato
una stonatura nello spartito, una pagina mancante nel libro. La disfatta del
premier Renzi si inquadra, infatti, nel più vasto movimento di
ribellione dei popoli contro le élite, della classe media contro l’1% della
popolazione, delle Nazioni contro le entità sovranazionali: è
il sommovimento che, nell’arco di soli sei mesi, ha mietuto illustri vittime
come Barack Obama, Hillary Clinton, David Cameron, François Hollande, etc. etc.
Calata nella realtà italiana, questa dinamica
internazionale si sta concretizzando nel disfacimento sotto i colpi del
“populismo” della Seconda Repubblica, quella che dal 1992 in avanti ha
indissolubilmente legato le sue fortune alla moneta unica ed al
processo d’integrazione europea.
Matteo Renzi, venduto all’opinione pubblica come
“rottamatore”, “homo novus” estraneo alle vecchie logiche di
potere, altro non è stato che l’estremo tentativo della
Seconda Repubblica di scongiurare il drammatico (ed inevitabile) esito finale: il
dissesto finanziario e l’uscita dall’eurozona. Coltivato in provetta come
quasi tutti i leader europei di questo ultimo decennio, sponsorizzato da
Israele e dagli Stati Uniti (e di riflesso dalla cancelliera Angela Merkel),
gradito ai potentati locali (gli Agnelli-Elkann, i Berlusconi, i De Benedetti,
etc. etc.), l’ex-sindaco di Firenze è stato l’incarnazione del celebre
motto del Gattopardo: “tutto deve cambiare, perché tutto resti come
prima”.
Si installa a Palazzo Chigi un graffiante e giovane
premier che grida ai quattro venti di volere abolire le province, il CNEL e
tagliare i costi della politica, ma intanto attua politiche di
svalutazione interna (“le riforme strutturali”) e privatizzazioni,
indispensabili per tenere l’Italia agganciata alla moneta unica. Non a caso, il
Financial Times lo definisce già nel 2015 come “l’ultima speranza delle
élite italiane”, perché dal suo successo “riformatore”, ossia
dall’attuazione di quelle politiche lato offerta caldeggiate
dalla Troika, dipende la permanenza dell’Italia nell’eurozona: ciò
spiega perché l’intero establishment italiano, dalla Confindustria alla Chiesa
Cattolica, dal Corriere della Sera a La Repubblica, si è stretto attorno al
premier. La posta in gioco era la salvaguardia di interessi e di
assetti consolidati da decenni.
Come l’eurozona è inevitabilmente vocata
all’implosione, così era però inevitabile che l’esperienza di Matteo Renzi
terminasse con un clamoroso fallimento. È tutto, tranne che casuale, che il
premier sia caduto nel vano tentativo di approvare una riforma
costituzionale “suggerita” dal trio BCE-UE-FMI. La disfatta di Matteo Renzi
era in certo senso scritta nelle stelle: la spocchia del premier, le sue
amicizie con miliardari e banchieri, le faide interne al PD, sono
accidenti, elementi cioè legati alla situazione contingente. La
sostanza della sua disfatta deve essere cercata nel fallimento della
moneta unica, dell’Unione Europea e dell’economia neoliberista sottostante:
mille giorni di governo “europeista” hanno logorato Renzi a tal punto da
rendere scontato il rigetto da parte dell’elettorato.
Tutto l’establishment euro-atlantico si è speso
per il referendum costituzionale: Romano Prodi, Giorgio Napolitano, Eugenio
Scalfari, Barack Obama, Jean-Claude Juncker, Wolfgang Schäuble, etc. etc.,
hanno unanimemente espresso il loro sostegno alla riforma Boschi. È difficile
dire quanti però scommettessero sulla sua effettiva approvazione alle urne: l’editoriale
del The Economist del 26 novembre, “Why Italy should vote no in its
referendum”, si può collocare ad esempio nell’ottica di una sconfitta
preannunciata e certa.
La City e Wall Street, avendo a disposizione buoni sondaggi, sapevano
che il 4 dicembre avrebbe trionfato il “no” e, per nulla allarmate dalla
prospettiva, hanno promesso l’immunità all’Italia sui mercati
finanziari, in cambio della formazione di un docile e malleabile
esecutivo che traghetti il Paese sino alle elezioni del 2018, senza
disturbare così le fondamentali elezioni politiche che si svolgeranno in
Francia e Germania tra la primavera e la tarda estate:
“What, then, of the risk of disaster should the referendum fail? Mr Renzi’s resignation may not be the catastrophe many in Europe fear. Italy could cobble together a technocratic caretaker government, as it has many times in the past. If, though, a lost referendum really were to trigger the collapse of the euro, then it would be a sign that the single currency was so fragile that its destruction was only a matter of time.”
Ciò spiega la relativa calma a Piazza Affari cui
si è assistito lunedì 5 dicembre: appena resi i noti i risultati del
referendum, l’euro è affondato nelle borse asiatiche. Quando però è entrata in
azione Londra, la moneta unica ha velocemente riacquistato il terreno perduto e
gli indici azionari italiani hanno chiuso con danni limitati. Il boom
sui listini cui è assistito il 6 dicembre (Piazza Affari ha chiuso in
rialzo del 4%), indica che i “mercati” hanno ormai la certezza che lo scenario
delle elezioni anticipate è scongiurato e si va verso un governo
tecnico o politico che porterà a termine, senza gesti inconsulti e
brividi elettorali, la legislatura.
Ne deriva che i presunti propositi del premier di
ottenere il prima possibile l’approvazione della legge di bilancio, così
da indire le elezioni già a febbraio 2017, saranno frustrati:
gli inviti di Ferruccio De Bortoli a comportarsi responsabilmente ed a non
rovesciare il tavolo, le indiscrezioni circolate nella mattina del 6 dicembre
circa i progetti di Renzi per un “anno sabbatico” negli Stati Uniti2,
ed infine l’esclusiva apparsa nel tardo pomeriggio sull’Huffington Post,
secondo cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella considererebbe “inconcepibili
le elezioni anticipate”3,
indicano che, nonostante le dichiarazioni del premier dimissionario, i
preparativi per un governo che termini la legislatura sono in
stato avanzato.
Tutto fila liscio quindi? I listini azionari potranno
inanellare nuovi rialzi, grazie ad un governo Padoan, Gentiloni o Franceschini?
No, perché i problemi di fondo dell’Italia,
quelli che hanno bruciato nell’arco di mille giorni l’enorme
capitale politico iniziale di Matteo Renzi (enorme, perché media e governi
stranieri lo hanno costantemente alimentato sin dall’inizio) sono ancora
sul tavolo: si tratta delle folli ricette per cercare di tenere l’Italia
agganciata all’eurozona. Come abbiamo sovente sottolineato nei nostri articoli,
anni di recessione economica e di austerità hanno minato alle
fondamenta il sistema bancario italiano, afflitto oggi da 200 €mld di
sofferenze e da una cronica carenza di capitale: Monte
dei Paschi di Siena ed Unicredit sono, in particolare, i dossier più bollenti
di queste settimane.
I dilemmi del prossimo governo sono quindi gli stessi che
avrebbe dovuto affrontare l’esecutivo Renzi e pochi analisti seri possono
affermare che una nuova costituzione avrebbe facilitato la loro soluzione: applicare
il bail-in, come previsto dalle normative europee entrate in vigore il
primo gennaio 2016 ed aggravare così la recessione, o entrare con
denaro pubblico nel capitale delle banche, dimostrando così per
l’ennesima volta che le regole di Bruxelles, che si tratti di bilanci statali o
di salvataggi bancari, non reggono alla prova dei fatti?
È una questione impellente, perché l’operazione per
l’aumento di capitale di Monte dei Paschi, quei 5 €mld di cui
l’istituto ha disperatamente bisogno, sta volgendo al peggio: la
conversione volontaria delle obbligazioni in capitale si è rivelata un fiasco
(1 €mld), il fondo sovrano del Qatar si è sfilato e con lui il “Consorzio” di
banche private che avrebbero dovuto garantire l’aumento. Si vocifera in questi
giorni di un possibile salvataggio pubblico in base alla normativa in
vigore fino al 31 dicembre 2015 (il cosiddetto“burden sharing”),
in aperta violazione4 quindi
del bail-in, attivo da gennaio e già applicato in Austria sulla Heta
Asset Resolution AG. Come reagirebbero la commissione europea ed i
falchi tedeschi?
Senza contare che il quadro macroeconomico,
dalla crescita anemica alla disoccupazione a dure cifre, dall’impoverimento
della famiglie al debito pubblico record, è sempre più fosco e
non è difficile immaginare cosa accadrà quando i tassi delle banche
centrali (a metà dicembre la FED, a marzo la BCE) dovessero
iniziare a salire: il denaro facile defluirebbe dai titoli di Stato,
facendo esplodere in poche ore i differenziali tra Bund e Btp.
Il prossimo governo italiano ha quindi dinnanzi a sé
tutte le criticità già note il 3 dicembre: “Volker Wieland,
consigliere di Angela Merkel: l‘Italia chieda aiuto all’Esm“5 si
può leggere a distanza di due giorni dalla bocciatura del referendum
costituzionale. Arrivati al 6 dicembre, il governo tedesco non ha più nessuna
necessità di tacere sulle condizioni economiche dell’Italia per assecondare
Renzi; come l’Eurogruppo, superato il referendum, non si è più
fatto scrupoli a chiedere una manovra aggiuntiva a Roma per
rientrare nei parametri del Patto di Stabilità6. Altre
tasse, altri tagli alla sanità, altre privatizzazioni? Od un commissariamento tout
court da parte della Troika UE-BCE-FMI? E poi perché? Per allungare di
qualche altro anno ancora le sofferenze di una società già stremata e
(pericolosamente) insofferente?
È quasi certo che le dimissioni di Matteo Renzi non
comporteranno le elezioni in primavera e si vada, per la felicità del The
Economist e dei mercati finanziari, verso un governo tecnico o “politico” che
traghetti l’Italia sino al 2018: ciononostante, la resa dei conti si avvicina e
lo scenario di un’implosione dell’eurozona è ormai apertamente
contemplato nel mondo finanziario e politico. Quando il premier-cazzaro tornerà
dal suo anno sabbatico negli Stati Uniti, difficilmente cambierà i dollari in
euro.
1http://www.huffingtonpost.it/2016/12/06/de-bortoli-renzi_n_13451008.html
2https://www.lastampa.it/2016/12/06/italia/speciali/referendum-2016/renzi-adesso-tentato-dallanno-sabbatico-voglio-togliermi-di-torno-kATY6fBnabLNA3whmz5BoN/pagina.html
3http://www.huffingtonpost.it/2016/12/06/sergio-mattarella_n_13458774.html?utm_hp_ref=italy
4https://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2016/d-e-r-quattro-banche/#faq8761-13
5http://www.huffingtonpost.it/2016/12/06/volker-wieland-esm_n_13453694.html
6http://www.repubblica.it/economia/2016/12/05/news/referendum_la_via_al_posto_di_padoan_a_bruxelles-153486764/
1http://www.huffingtonpost.it/2016/12/06/de-bortoli-renzi_n_13451008.html
2https://www.lastampa.it/2016/12/06/italia/speciali/referendum-2016/renzi-adesso-tentato-dallanno-sabbatico-voglio-togliermi-di-torno-kATY6fBnabLNA3whmz5BoN/pagina.html
3http://www.huffingtonpost.it/2016/12/06/sergio-mattarella_n_13458774.html?utm_hp_ref=italy
4https://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2016/d-e-r-quattro-banche/#faq8761-13
5http://www.huffingtonpost.it/2016/12/06/volker-wieland-esm_n_13453694.html
6http://www.repubblica.it/economia/2016/12/05/news/referendum_la_via_al_posto_di_padoan_a_bruxelles-153486764/
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