uno dei due è l'altro

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mercoledì 8 luglio 2015

Il ricatto del debito

Presento qui una Recensione di Andrea Fumagalli  del  libro di Andrew Ross "Creditocrazia e rifiuto del debito illegittimo"pubblicato da Ombre Corte.
Non soddisfatto, di seguito presento anche la prefazione all'edizione italiana. 
Approfitto dell'occasione per ringraziare il popolo greco che ancora una volta, e probabilmente non sarà l'ultima, ci ha insegnato cosa sia la democrazia. 



Nuove frontiere di comando e di subalternità (di sussunzione?) si stanno prepotentemente affacciando alla ribalta del nuovo millennio. Non è altro che il “lato oscuro” (dark side) del rapporto capitale-lavoro, il quale è sottoposto a una torsione come raramente si è verificata nella storia contemporanea, soprattutto in Europa 
e in Italia.
Il rapporto di sfruttamento oggi fuoriesce dal semplice atto lavorativo per andare a intaccare una sfera molto più vasta, quella della vita, o meglio, del modo di vivere. Non è più immediatamente riscontrabile nel rapporto diretto: essere umano (forza-lavoro) vs “macchina”, lavoro vivo vs lavoro morto. Oggi sempre più assistiamo al divenire macchinico dell’umano e viceversa, in un connubio dove è difficile delineare una netta separazione tra la coscienza umana e il mondo artificiale. Da questo punto di vista, lo sfruttamento è sempre più auto-sfruttamento e se, da un lato, tracima verso forme di lavoro gratuito non pagato, rompendone, in tal modo, la gabbia salariale, [ma non nel senso che molti di noi auspicavano con la parola d’ordine del “rifiuto del lavoro (salariato)”, anzi…], dall’altro, lo alimenta tramite nuove forme di precarietà di vita 
e di indebitamento.


Il nuovo libro di Andrew Ross (Creditocrazia e rifiuto del debito illegittimo, Ombre Corte, Verona, 2015, pp. 194, euro 18,00) analizza il rapporto debito-credito come nuovo strumento e dispositivo centrale nel processo di governance neoliberista (quindi di sfruttamento). Diversamente da Maurizio Lazzarato (La fabbrica dell’uomo indebitato, Derive Approdi, Roma, 2012), Andrew Ross sottolinea come la condizione debitoria non rappresenti un fine in sé per perpetuare il dominio dell’uomo sull’uomo ma piuttosto uno strumento per consentire una maggior dipendenza del lavoro dal capitale all’interno del processo di valorizzazione contemporaneo.
In una fase dove sempre più la contrattazione individuale diventa il perno della regolazione dei rapporti sociali, l’accesso a molti servizi di prima necessità comporta inevitabilmente un processo di indebitamento, che tende ad ampliarsi tanto più procede il processo di smantellamento, finanziarizzazione e privatizzazione del sistema di welfare.

Da questo punto di vista il rapporto debito-credito diventa una delle modalità principali con la quale si attua il rapporto di sfruttamento del lavoro. Siamo di fronte ad una novità. Nel capitalismo fordista, la forza-lavoro difficilmente era in grado di indebitarsi, se non in casi particolari e ben monitorati (esempio, il mutuo per l’acquisto della casa), in quanto il vincolo di bilancio condizionava pesantemente la possibilità di disporre di moneta liquida. L’accesso al credito era possibile solo a chi poteva vantare delle proprietà che andavano oltre il mero possesso del proprio corpo. Di conseguenza solo lo Stato e le imprese erano in grado di registrare situazione debitorie, che potevano finanziare e garantire con la proprietà dei mezzi di produzione (nel caso delle imprese) e con il monopolio di creazione della moneta (nel caso dello Staro). La condizione lavorativa era così sganciato dal rapporto debito-credito e dal potere sociale esercitato dall’accesso alla moneta-credito (cfr. lemma “Debito” in Piccola Enciclopedia Precaria, a cura di Cristina Morini e Paolo Vignola, Agenzia X Edizioni, Milano, 2015).
Nel primo capitolo “Siamo tutti revolver”, non a caso, Andrew Ross analizza come il processo di finanziarizzazione abbia in modo pervasivo condizionato la vita quotidiana delle famiglie americana. Al riguardo, vengono presentati numerosi dati relativi alla diffusione delle carte di credito come sottile e necessaria catena psicologica di subordinazione alla finanza per mantenere inalterato il livello di consumo, soprattutto per quella fascia di popolazione americana che ha visto il proprio potere reale d’acquisto ridursi di quasi il 20% nell’ultimo trentennio. Il termine revolver fa riferimento alla possibilità, tramite una seconda carta di credito o la stessa, di dilazionare il pagamento effettuato con il credito al consumo: “in altre parole, il titolare della carta ha la possibilità di pagare a rate il saldo dell’estratto conto mensile” (pag. 33). Si noti che tale meccanismo si sta diffondendo in molti paesi del mondo e recentemente, in seguito alla crisi economica, anche in Italia. 


Nel nostro paese, nel 2013, il tasso medio effettivo globale su base annua (taeg) era del 17,20% per prestiti fino a 5.000 euro, con un tasso soglia del 25,2% (il tasso oltre il quale scatta l’usura), il più alto in assoluto rispetto a tutte le altre tipologie di finanziamenti: un prestito personale si aggira intorno al 10-12% di tasso medio, con un tasso soglia del 17-19% [oggi i tassi sono più ridimensionati, ma sono comunque 8-10 volte superiori a quelli ufficiali]. Numeri succulenti per banche e finanziarie che magari il prestito non lo danno ma la  revolving spesso la spediscono direttamente a casa.

La finanziarizzazione della vita quotidiana diviene così la norma e viene introiettata completamente nella psiche, come nuova forma di assoggettamento. Nel secondo capitolo, dal significativo titolo “Economia morale del nucleo familiare”, Ross ricostruisce, a partire dall’ideologia dell’individuo proprietario di bushiana memoria, il percorso ideologico-politico che ha creato le premesse di quella che possiamo definire la moderna forma di accumulazione primitiva, ovvero quella finanziaria. Tre sono le traiettorie che caratterizzano l’ideologia proprietaria. Al credito al consumo (proprietà privata della merce), già ricordato, occorre aggiungere l’illusione della casa di proprietà (proprietà privata dello spazio), che è stata alla base della convenzione finanziaria della bolla dei subprime, e l’accesso all’istruzione (proprietà privata della conoscenza).

Quest’ultimo aspetto è oggetto del terzo capitolo, “L’istruzione gratuita”: negli Usa, il debito studentesco delinea in modo drammatico il percorso degli studi universitari, in grado di creare quella sudditanza finanziaria che potrà essere estinta solo in base alla realizzazione delle aspettative sui redditi futuri di lavoro. Il debito studentesco sta assumendo proporzioni sempre maggiori e si realizza tramite due modalità che possiamo definire intergenerazionali. Da un lato, una famiglia media americana che intende avviare agli studi universitari i figli partecipa ad un fondo assicurativo alla loro nascita in modo da disporre di un capitale iniziale per l’iscrizione. Di fatto, si sviluppa la finanziarizzazione privata del diritto allo studio. Dall’altro, nella maggior parte dei casi, tale capitale forzosamente risparmiato non è sufficiente e ne consegue che lo stesso studente debba aprire un rapporto di debito con l’università di iscrizione, ancora una volta mediato dalle istituzioni finanziarie.

L’esempio del debito studentesco, oltre a nutrire una bolla speculativa, spiega in modo chiaro come il rapporto di debito e credito rappresenti un’ipoteca sui redditi futuri. In un contesto dove anche negli Usa il lavoro non pagato aumenta (si vedano i dati raccolti da Ross nelle pp. 123ss), occorre ricordare che: “nella migliore delle ipotesi, nel nostro tempo il compenso non viene rubato ma rinviato ad un momento indefinito del futuro. A questo riguardo, non è il lavoratore ad essere considerato in debito; in realtà, è il datore di lavoro ad esserlo. Come sottolinea Michel Denning (“The Fetishism of Debt”, in Social Text, settembre 2011), il principio del lavoro salariato è che i dipendenti sono nella posizione di essere creditori, perché ‘ogni giorno prestiamo senza interessi la nostra forza lavoro ai padroni’” (p. 130).
Nel momento stesso in cui la vita viene messa a lavoro e quindi a valore e la condizione precaria non è più solo condizione lavorativa ma condizione esistenziale, il debito individuale diventa parte integrante del rapporto di lavoro e tende sempre più a sostituirsi al salario. A fronte di una riduzione dei salari e del loro potere d’acquisto, si allenta la morsa del vincolo di bilancio a favore di un processo di indebitamento crescente, che non a caso viene sempre più incentivato. Assistiamo al processo di finanziarizzazione della vita individuale, con l’effetto di introdurre nuovi meccanismi di dipendenza e di subalternità, non più confinati nella semplice condizione lavorativa. L’ipoteca (finanziaria-debitoria) sul futuro aumenta in tal modo le tenaglie del controllo sociale e induce nuove forme di sfruttamento e di alienazione, sino a vere e proprie forme di assoggettamento schiavistico che possono portare anche a scelte estreme e autodistruttive.


La violenza dei mercati finanziari agisce quindi direttamente sulle nostre vite, condizionandone l’evoluzione. Da questo punto di vista, il debito diventa strumento della governance sociale, sostituendosi ai meccanismi disciplinari della tempistica della fabbrica. Debito e precarietà si accomunano nell’intermittenza di reddito e nell’obbligo di rispettare comunque i tempi di restituzione dei propri debiti. Perché più si liberalizza l’accesso al debito con l’obiettivo di alimentare costantemente la finanziarizzazione dell’esistenza, più diventano ferrei e disciplinari i meccanismi che regolano le modalità e i tempi della restituzione del debito.
A fronte di questa situazione, che fare? Nell’ultimo capitolo, Ross descrive alcune iniziative che sono state organizzate per ridurre la dipendenza del debito: dalla campagna RollingJubilee al Network Strike Debt. La prima è intervenuta per ridurre la cartolarizzazione dei debiti individuali, raccogliendo fondi per l’acquisto dei crediti inesigibili, consentendo la fine dell’indebitamento dei soggetti coinvolti. Dopo un periodo che va dai 90 ai 180 giorni, infatti, le banche e gli altri istituti possono vendere i crediti non “onorati”.
 A tal fine, si è sviluppato un mercato ombra popolato da profittatori (costituito da finanziarie e/o hedge funds che spesso appartengono alle stesse banche che si disfano di tali crediti) che acquista a buon mercato (di solito ad un valore inferiore della metà) i crediti inesigibili e cerca di riscuotere l’intero importo. Il margine di profitto è enorme. L’idea base del RollingJubilee è quella di comprare e eliminare una parte di questi debiti scontati.
Il Network Strike Debt ha invece pubblicato – nel settembre 2012, primo anniversario di Occupy Wall Street – un manuale di istruzione pubblica e di servizio per fornire consigli pratici ai debitori su come ridurre i propri debiti: Debt’s Resistor Operator Manual.
Si tratta di primi esempi che mostrano come sia possibile esercitare il diritto all’insolvenza, pratica che necessariamente dovrà entrare nella cassetta futura degli attrezzi del conflitto sociale, accompagnandosi alle campagne per un reddito minimo incondizionato, l’accesso ai commons, così come lo sciopero e il picchetto erano le armi più temuti dai padroni nel secolo scorso.


Prefazione all'edizione italiana

Dal punto di vista dei responsabili economici, le opzioni all’orizzonte sono piuttosto nette. O la Banca centrale europea comincia a comprare i debiti dell’Italia, oppure il paese lascia l’eurozona. Una terza traiettoria conduce al default e potrebbe essere la più probabile. Ed è forse anche la più giustificabile, almeno se l’Italia è sufficientemente coraggiosa da seguire l’esempio dell’Ecuador, dove nel 2008 è stato commissionato un audit dei cittadini per determinare quali dei debiti esteri del paese fossero legittimi (e dovessero essere onorati) e quali illegittimi (e dovessero essere rifiutati). Il governo argentino ha di recente annunciato che istituirà una commissione simile per sostenere i suoi sforzi nell’allontanare la speculazione dei fondi predatori sui debiti in sofferenza. Misure simili sono state prese in considerazione in Grecia e in Spagna. Gli audit dei cittadini sul debito sono un’alternativa al triste spettacolo dei governi che agiscono come agenzie di riscossione del debito a vantaggio dei creditori stranieri. Contrariamente al gonfiarsi del debito pubblico, il rapporto dell’indebitamento delle famiglie italiane rispetto al reddito disponibile è il più basso nell’eurozona, e significativamente inferiore alla media OCSE. Uno dei fattori che determinano questo rapporto è sicuramente il livello di risparmio relativamente elevato del paese. Un altro fattore, meno facile da quantificare, potrebbe essere l’abituale propensione all’economia familiare. Ora ci si aspetta che i figli rimangano più a lungo nell’orbita delle famiglie, stando a casa dei genitori fino ai trent’anni e imponendo un onere finanziario che viene assorbito in forme che non lo mostrano come debito personale. 

Questo “debito morale” preserva i giovani dall’assumere prestiti per intraprendere una vita indipendente. Negli Stati Uniti, come nella maggior parte dei paesi industrializ zati, i livelli del debito familiare hanno registrato un declino dopo il 2008. Una parte considerevole della riduzione della leva finanziaria è dovuta ai bassi tassi di interesse e a una riduzione del debito ipotecario, anche se non è chiaro quanto il calo sia dovuto alla cancellazione dei prestiti delinquenziali delle banche o alla fiducia nel rimborso. Nel terzo trimestre del 2012 questo declino è finito e il debito ipotecario ha ricominciato a salire, di 56 miliardi di dollari. L’ultimo trimestre ha mostrato un balzo dell’1,9 per cento dei mutui e del 3,9 per cento del debito familiare non destinato alla casa. Anche i prestiti per l’auto e i saldi delle carte di credito hanno cominciato a risalire e la tendenza è continuata nel primo trimestre del 2014, con un avanzo dell’1,1 per cento, con un debito familiare complessivo negli Stati Uniti di 11.650 miliardi di dollari. Cifre simili sono state registrate per la maggior parte delle economie industrializzate, anche se nessuna può essere paragonata agli incredibili dati degli Stati Uniti in materia di peso del debito studentesco, che non è affatto diminuito nei sei anni dal 2008 e, nel corso del 2014, ha superato i 1.300 miliardi di dollari, con una media di default pari a un milione all’anno. Se questi numeri continuano a crescere, allora è chiaro che la tendenza alla deflazione del debito si è rivelata non ancora così profonda. 




Una volta che le persone saranno convinte di essere al sicuro, inizieranno nuovamente a chiedere prestiti e i tassi di interesse saliranno: è un invito per le banche a fermare l’accaparramento delle loro riserve di cassa e intraprendere una nuova stagione di prestiti predatori. Questo invito alle banche è sostenuto dalla comprovata volontà dei governi di intervenire in loro aiuto, anche a fronte di alti tassi di default personale e dell’immiserimento di massa dei cittadini. Tali garanzie, sempre controllate dalle banche, sono fondamentali per ogni calcolo creditizio sulla sostenibilità del servizio del debito. Il divario tra il valore deflazionato e quello previsto, e sperato, nell’estrazione della rendita è ora sufficientemente ampio da consentire alle stesse banche di ritornare al meccanismo del credito per un ammontare che nessuna politica di quantitative easing (1) sarebbe stata in grado di fare.  Altrettanto funzionale per i creditori è il consenso tra gli economisti – anche di quelli critici nei confronti del neoliberismo – sul fatto che il cosiddetto “eccesso di debito” a partire dal crollo del 2008 sia ampiamente stato risolto e che ricominciare a prendere prestiti è non solo sicuro ma anche necessario, se la crescita basata sul Pil deve tornare al suo solito sviluppo. Non si tratta né di una buona analisi, né di un buon consiglio. Eccesso di debito è uno di quei concetti evasivi che gli economisti utilizzano per razionalizzare una condizione altrimenti insostenibile o ad alto rischio. 

Per quanto riguarda la crescita basata sul Pil, l’evidenza mostra che ogni programma economico è una ricetta per il collasso ecologico. Grazie a Il capitale nel XXI secolo di Thomas Piketty (2) (e la ricerca da lui condotta nel corso degli anni insieme a Emmanuel Saez) si è dedicata molta attenzione all’accumulazione della ricchezza nella parte superiore della piramide sociale. I dati sul reddito che i due studiosi hanno raccolto mostrano come la fonte principale di accumulazione per l’1 per cento si presenti ora sotto forma di rendite economiche (leva del debito, plusvalenze, uso dei crediti attraverso i derivati e altre forme di ingegneria finanziaria). La corrispondente accumulazione del debito familiare (non si può avere l’una senza l’altra) è stata tuttavia trascurata, nonostante continui ad aumentare, minacciando la capacità delle democrazie di proteggere i propri cittadini dai danni economici imposti dalla classe creditrice. Questa diagnosi riflette il tipo di società in cui viviamo, che questo libro descrive come una creditocrazia, in cui l’autorità della classe creditrice sembra quasi inattaccabile e i rappresentanti eletti non sono in grado di controllarne il potere. In una creditocrazia ideale, la maggioranza della popolazione è immersa fino al collo in un debito che non può essere ripagato, né si suppone che lo sia. La risposta d’istinto liberal è: “Non è giusto, nessuno dovrebbe avere debiti che non possono essere ripagati, e poi, perché mai le banche lo vorrebbero?”. Ma così non so coglie il punto fondamentale. È importante comprendere che i nostri creditori non vogliono farci pagare interamente i debiti. Se lo facessimo, non saremmo più utili come fonti di profitto. L’obiettivo è di tenerci all’amo il più allungo possibile, rinnovando i debiti in continuazione e creando reddito nella forma di interessi fino al giorno in cui moriamo. I modelli del profitto capitalista sono sempre più legati
alla continua estrazione finanziaria dal servizio del debito.
La cosiddetta trappola del debito, che ha soffocato le aspirazioni di tanti paesi in via di sviluppo negli anni Settanta e Ottanta, negli ultimi anni si è spostata verso il mondo industrializzato, e ora colpisce
stati sovrani e famiglie di tutto il Nord del mondo. Questo libro spiega come si è verificato questo cambiamento e perché sta producendo “democrazie fallite”.



 I rappresentanti eletti hanno avuto più di
sei anni per ridurre il debito ai loro cittadini, e hanno dimostrato di non poterlo fare. In tali circostanze, le persone hanno tutte le ragioni a mettere in atto azioni di disobbedienza economica. Il rifiuto del debito, sperimentato dal movimento per il giubileo nel Sud del mondo, deve essere adottato come un atto di protezione della democrazia nelle economie avanzate. Per sostenere tali azioni, deve nascere un movimento di debitori, proprio come è avvenuto per il movimento operaio. Quando questo accadrà, vedremo se i rapporti impersonali del debito e del denaro possono davvero essere trasformati in caldi obblighi sociali che ci impegnano reciprocamente, in altre parole, nell’essere in debito gli uni con gli altri nell’esercizio delle nostre libertà. 
Sino a oggi, gran parte del lavoro di resistenza al debito è stato
rivolto a erodere la moralità del recupero da cui il settore finanziario dipende per rafforzare le proprie pretese estrattive. Data l’esposizione della popolazione alla fraudolenza del settore finanziario dal 2008, l’atto di rivolgere le armi del moralismo contro il creditore è diventata una risposta sempre più ammissibile. A parte le generali accuse rivolte a Wall Street e ad altri centri bancari, è diventata la norma credere che i veri delinquenti sono gli istituti di credito che rilasciano prestiti nella piena consapevolezza di non poter essere rimborsati. In questo caso, il rimborso aggraverà semplicemente il rischio morale, incoraggiando la continuazione del loro comportamento scorretto. Nelle pagine che
seguono, i lettori potranno incontrare alcune delle più creative iniziative praticate all’interno del movimento americano per destreggiarsi nell’equazione tra moralità e debito.

Permettetemi di concludere con un esempio italiano. San Precario, il santo patrono del movimento contro la precarietà, è stato evocato per la prima volta nelle mobilitazioni della May Day del 2004. Nel 2011 Santa Insolvenza, sua amica intima, si è incaricata di guardare agli interessi dei debitori, annunciandosi sulla scena pubblica. Ecco una preghiera rivolta alla santa da poco rivelatasi:

Santa Insolvenza,
protettrice delle precarie e dei precari,
dacci oggi il nostro reddito quotidiano
e allontana da noi i nostri debiti
perché non siamo noi i veri debitori.
Santa Insolvenza,
piena di rabbia, frega per noi peccatori
la ricchezza che produciamo ma altri detengono
perché abbiamo diritto a casa,
mobilità, saperi e desiderio.
Santa Insolvenza,
che sei nei nostri pensieri,
sia generalizzato il tuo nome
e venga lo sciopero precario.
Non privarci della tentazione
ma liberaci dalla banca e dall’ufficiale giudiziario.

New York City, dicembre 2014




1 Con quantitative easing (“alleggerimento quantitativo” o “facilitazione quantitativa”) si
indica una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta da parte della Banca
centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto, nel sistema finanziario ed
economico. La Banca centrale può ricorrere al quantitative easing per il salvataggio di un
istituto di credito, per eliminare dal mercato e dai bilanci delle banche “titoli tossici” con
elevati gradi di rischio o con bassa remunerazione, per fornire liquidità al sistema quando
le banche non si prestano denaro e famiglie e imprese subiscono una stretta creditizia.
[N.d.T.].

2 Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, trad. it. di S. Arecco, Bompiani, Milano 2014.


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