Lo Edwin M. Stanton
Seduto al volante, Maury
stava finendo il suo sigaro Corina Sport. Si rilassò sullo schienale e disse:
“Che cosa hanno in mente
gli americani, oggi?”
“Sesso,” risposi.
“No.”
“Dominare i pianeti
interni del sistema solare prima che lo facciano i russi.”
“No.”
“Dimmelo tu, allora.”
“La Guerra Civile del
1861.”
“Per l’amor di Dio!”
esclamai.
“E’ la verità, fratello.
Questa nazione è ossessionata dalla guerra fra gli stati. E ti dirò perché. E’
stata la prima e unica epopea nazionale cui abbiano partecipato gli americani,
ecco il perché.” Mi soffiò in faccia il
fumo del suo Corina Sport. “Ci ha fatto maturare, noi americani." […]
Accesi le luci interne
della macchina e, girandomi, vidi sul sedile posteriore una lunga scatola di
cartone avvolta in fogli di giornale. Aveva la forma di uno di quei fantocci
per vetrine, un manichino. Dalla mancanza di rigonfiamenti all’altezza del
petto conclusi che non doveva trattarsi di un manichino femminile. “E allora?”
domandai.
“E’ il frutto del mio
lavoro.” […]
“Ti dirò esattamente
quello che ho. Là dietro, avvolto in quei giornali,
ho Edwin M. Stanton.”
“E chi è?”
“Era il Segretario per la
Guerra di Lincoln.”
“Eh?”
“E’ la verità.”
“Quand’è morto?”
“Molto tempo fa.”
“Proprio come immaginavo.”
“Ascolta,“ insistette
Maury. “Là sul sedile posteriore, ho un simulacro elettronico. L’ho costruito
io, o meglio, l’ho fatto costruire da Bundy. Mi è costato seimila dollari, ma
ne valeva la pena. Fermiamoci laggiù a quella stazione di servizio con bar e lo
tirerò fuori e ti darò una dimostrazione; è l’unica maniera."
Mi venne la pelle d’oca. “Sono
convinto che lo farai.” […]
Maury parcheggiò la
Jaguar, si voltò e fece il giro per infilarsi nella parte posteriore. Cominciò a strappar via i giornali da quel fagotto in forma umana. Un attimo dopo, perdio
se non ne emerse un anziano signore, gli occhi chiusi e la barba bianca, le
mani intrecciate sul petto, che indossava un abito dalla foggia arcaica!
“Vedrai quanto è convincente
questo androide,” dichiarò Maury, “quando ordina la sua pizza!”
Cominciò a trafficare coi
pulsanti sulla schiena.
All’improvviso, il volto
della cosa assunse un’aria seccata e taciturna e bofonchiò: “Amico mio, le
dispiace togliermi le mani di dosso?” […]
Tutti e tre al
ristorante, mangiammo una pizza troppo cotta ai bordi. Edwin M. Stanton fece
una rumorosa scenata e minacciò col pugno il proprietario e dopo aver
finalmente pagato il conto, ce ne andammo. […]
Il simulacro del Lincoln aveva cominciato ad agitarsi, sbattendo in aria le sue grandi mani nel tentativo di mettersi seduto. Ammiccò, sogghignò; i suoi lineamenti marcati si contrassero. Maury ed io balzammo in avanti e lo aiutammo a sostenersi; accidenti se pesava come il piombo. Ma alla fine riuscimmo a sistemarlo in posizione seduta, e lo appoggiammo contro la parete per impedire che scivolasse di nuovo.
Si lamentò.
C'era qualcosa in quel suono che mi fece rabbrividire. Voltandomi verso Bob Bundy, dissi:
"Che cosa ne pensi? Sta bene? Non Sta soffrendo, vero?"
"Non lo so." Bundy si passò nervosamente le dita fra i capelli, più volte; vidi che le mani gli stavano tremando.
"Posso verificarlo. I circuiti del dolore."
"I circuiti del dolore!"
"Già, deve averli, altrimenti andrà a sbattere contro una parete o qualunque altro dannato oggetto, e si massacrerà."
Bundy puntò di scatto un dito verso lo Stanton, che stava guardando in silenzio.
"Anche lui li ha. Che altro vuoi, per l'amor di Dio?"
Non c’era dubbio che
stessimo assistendo alla nascita di una creatura vivente.
Ora aveva cominciato ad accorgersi di noi; i suoi occhi, neri come il carbone, si muovevano su e giù, e da un lato all’altro, includendoci tutti, una visione completa di tutti noi. Quegli occhi non mostravano alcuna emozione, soltanto la pura percezione. Una circospezione che andava oltre la capacità immaginativa dell’uomo. L’astuzia di una forma di vita venuta da oltre i confini del nostro universo, da una terra completamente diversa. Una creatura precipitata con un tonfo nel nostro tempo e nel nostro spazio, cosciente di noi e di sé, della sua esistenza tra noi; quegli occhi neri e opachi rotearono, mettendo a fuoco senza tuttavia riuscirci, vedendo tutto e in un certo senso incapaci di distinguere una sola, singola cosa. Come se essenzialmente fosse ancora in sospensione; aspettando con una tale, infinita riservatezza, che potevo intravedervi la terribile paura che provava, una paura così grande che non poteva neppure essere definita emozione. Era la paura in termini di esistenza assoluta: la base stessa della sua vita. L’avevamo separato, strappato da qualche fusione che non potevamo sperimentare… non ancora, almeno. Forse, un giorno, tutti noi avevamo tranquillamente riposato in quella fusione. Per noi, la frattura apparteneva a un lontano passato; per il Lincoln era appena accaduta… aveva luogo in quel preciso istante.
Ora aveva cominciato ad accorgersi di noi; i suoi occhi, neri come il carbone, si muovevano su e giù, e da un lato all’altro, includendoci tutti, una visione completa di tutti noi. Quegli occhi non mostravano alcuna emozione, soltanto la pura percezione. Una circospezione che andava oltre la capacità immaginativa dell’uomo. L’astuzia di una forma di vita venuta da oltre i confini del nostro universo, da una terra completamente diversa. Una creatura precipitata con un tonfo nel nostro tempo e nel nostro spazio, cosciente di noi e di sé, della sua esistenza tra noi; quegli occhi neri e opachi rotearono, mettendo a fuoco senza tuttavia riuscirci, vedendo tutto e in un certo senso incapaci di distinguere una sola, singola cosa. Come se essenzialmente fosse ancora in sospensione; aspettando con una tale, infinita riservatezza, che potevo intravedervi la terribile paura che provava, una paura così grande che non poteva neppure essere definita emozione. Era la paura in termini di esistenza assoluta: la base stessa della sua vita. L’avevamo separato, strappato da qualche fusione che non potevamo sperimentare… non ancora, almeno. Forse, un giorno, tutti noi avevamo tranquillamente riposato in quella fusione. Per noi, la frattura apparteneva a un lontano passato; per il Lincoln era appena accaduta… aveva luogo in quel preciso istante.
I suoi occhi si
muovevano, ma non si erano illuminati; ancora posati in nessun posto e su
niente, rifiutavano di percepire un determinato oggetto. “Perbacco,” mormorò
Maury. "Ci fissa in modo davvero strano.”
C’era qualche profonda
facoltà radicata in quella cosa. Era stata forse Pris a impartirgliela? Ne
dubitavo. Maury? Fuori questione: nessuno dei due l’aveva fatto, né poteva
essere stato Bob Bundy, il cui unico concetto di divertimento consisteva nel
guidare come un pazzo fino a Reno per giocare e andare a puttane. Avevano
riversato la vita nell’orecchio di questa cosa, ma era soltanto un
trasferimento, non un’invenzione; avevano comunicato la vita, ma essa non aveva
avuto origine in nessuno di loro, o in tutti loro insieme. Era un contagio;
essi ne erano rimasti vittime una volta, e ora questa materia inerte l’aveva
contratto a sua volta… per un po’. E che trasformazione. La vita è una forma
assunta dalla materia… mi afferrai a questo concetto mentre la cosa-Lincoln
acquistava coscienza di noi e di sé stesso. E’ questa una cosa che fa la
materia. La più sbalorditiva… l’unica veramente sbalorditiva forma dell’universo;
quella che, se non fosse esistita, non avrebbe potuto essere né predetta né
immaginata.
E, mentre guardavo il
Lincoln che gradualmente riusciva a stabilire un rapporto con ciò che vedeva,
capii qualcosa: la base della vita non è la brama di esistere, e neppure un
qualunque desiderio. E’ la paura, la paura che vedevo qui. No, neanche la
paura; qualcosa di molto peggio. Terrore
assoluto. Un terrore talmente paralizzante da farlo sprofondare nell’apatia.
Tuttavia il Lincoln si muoveva, stava uscendo da tutto questo. Perché? Perché doveva
farlo. Il movimento, l’azione erano impliciti alla dimensione del terrore. Una
simile condizione, per la sua stessa natura, non era sopportabile.
L’intera attività della
vita era uno sforzo teso a mitigare questa condizione. Il tentativo di
alleviare quello stato che ora compariva davanti ai nostri occhi.
La nascita, decisi, non è
piacevole. E’ peggio della morte; è possibile filosofare sulla morte… e
probabilmente voi lo farete: tutti l’hanno fatto. Ma la nascita! Non c’è alcuna
possibilità di filosofare, di addolcire la condizione. E la prognosi è
terribile: tutte le vostre azioni, tutti i vostri atti e pensieri non avrebbero
fatto altro che coinvolgervi costringendovi a vivere ancora più intensamente.
Il Lincoln si lamentò di
nuovo. E quindi, con un rauco grugnito, borbottò alcune parole.
“Cosa?” disse Maury. “Che
cosa ha detto?”
Bundy ridacchiò. “Diavolo,
è la voce del nastro. Ma sta scorrendo alla rovescia!”
Le prime parole dette
dalla cosa-Lincoln: pronunciate alla rovescia, a causa di un errore nei cavi.
*Tratti da A.LINCOLN, ANDROIDE – 1974. Andrea De Carlo Editore.
Traduzione di Gianpaolo Cossato e Sandro Sandrelli.
Titolo originale WE CAN BUILD YOU (A.LINCOLN SIMULACRE), 1972
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